Fragments come "frammenti": di tradizioni, di storie, di stili e generi differenti. Per lo strumento della musicista e performer morava passano scorci di mondi musicali diversi, aforismi sonori brevi ma suggestivi, come "una poesia senza parole"
di Marco Buttafuoco
“E ‘difficile, almeno per ora, definire con precisione il mio stile musicale” dice Iva Bittova. Potremmo aggiungere che non solo è difficile, ma anche sostanzialmente inutile. L’artista morava utilizza materiali musicali disparati, sente le influenze del folklore della sua terra (quello gitano in particolare) come della musica contemporanea, della vocalità spagnola come di quella orientale e via elencando. In altre parole la sua ricerca artistica è simile a quella di tanti musicisti dei nostri giorni. Essere artisti di frontiera non è di per
Melodia l'è morta? Il ventunesimo secolo in musica apre le porte ai dubbi e alle dissonanze, ma per fortuna qualcuno resiste. Il nuovo disco per il trio del grande jazzista si intitola Indicum e prosegue il discorso inaugurato da Cantando, melodico sì ma mai sentimentale. Un lavoro eclettico che possiede la tempra per resistere agli anni
di Marco Buttafuoco
"L’arte di scrivere melodie se n’è volata via” lamentò una volta Jarrett in una conversaziona con Joshua Rosembaum. “Perché la melodia è morta? Ci sono forse un migliaio di risposte. Quando Dio è morto, la melodia è morta. Quando siamo diventati dubbiosi, il dubbio ha cominciato a regnare. In un’epoca scandita dagli impulsi dell’immagine, la melodia diventa una possibilità più remota, perché non abbiamo la concentrazione per ascoltarla nella sua interezza”. Così parl&ogr
Arriva dalla Norvegia la sua tromba guida un trio nelle atmosfere sognanti di Baboon Moon. Contaminazioni con suoni elettrici ed elettronici contribuiscono a creare un'aria irreale e sospesa, da "mondo prima della fine del mondo"
di Marco Buttafuoco
“La prima volta che ho visto Nils Petter Molvaer suonare dal vivo, ho pensato che il mondo si stava avvicinando alla fine... la musica era così urgente, pulsante, inquietante. A suggerire quest’immagine era il soffio di un angelo - ma non si trattava di quegli angeli dolci dei quadri romantici. Era un Arcangelo potente che brandiva una spada ardente, era il suono della tromba”. Così Fiona Talkington del terzo canale radio alla BBC, presentando questo disco. Ecco, la musica di Mollvaer scatena simili reazioni anche nella compassata radio d’oltre Ma
Di formazione colta e con collaborazioni di lusso negli ambienti del jazz tricolore, Simona Colonna sfugge alle definizioni e alle categorie: tantopiù quando se ne esce con un disco come Masca vola via, dove il dialetto piemontese e gli arrangiamenti per violoncello fanno capo a un'idea di folk di più alta estrazione
di Marco Buttafuoco
Voce, violoncello talora con parsimoniose sovraincisioni, dialetto piemontese e una sottile vena folk. Questi gli ingredienti essenziali per un disco insolito. La langarola Simona Colonna, dopo anni di esperienze di musica classica e prestigiosissime collaborazioni jazz (Enrico Rava e Stefano Bollani fra gli altri) si propone da sola con questo disco intessuto di coloratissimi fili musicali . Solo cinque brani, tutti in dialetto piemontese; quattro storie di langa ed una ninna-nanna. Difficile catalogare questi cinque pezzi sotto un genere preciso. Masca Vola via racconta di u
Torna una delle più grandi cantanti del nostro jazz, e non solo. In Donna di Cristallo la Radar Band accompagna una performance ispiratissima della mezzo soprano bolognese, alle prese anche con la stesura dei testi. Un'interpretazione, la sua, che nulla nasconde al microfono, nemmeno le imperfezioni
di Marco Buttafuoco
Si rischia sempre la banalità a parlare di Cristina Zavalloni. Di ripetersi, scrivendo una volta di più del suo virtuosismo che le permette di frequentare il repertorio di Monteverdi come quello di John Cage, di Lennon e McCartney, come quello degli standard del jazz o della pop music. O della sua carica emotiva, tutt’altro che celata da una tecnica vocale strabiliante. Potrei semplicemente affermare che è la migliore voce femminile italiana, che è la Cathy Berberian dei nostri giorni, consigliare l’ascolto di questo suo bellissimo disco, e di altri due
Si riforma il Clan di Celentano, ma stavolta è una squadra all star di musicisti di calibro: a Fabrizio Boso, Javier Girotto, Rita Marcotulli, Furio Di Castri e Mattia Barbieri si aggiunge la voce di Peppe Servillo. Memorie di Adriano è un omaggio (anche troppo) sentito, ma che non riesce ad aggiungere sapore agli orginali
di Marco Buttafuoco
Prendi quattro mattatori del jazz italiano (Fabrizio Bosso, Javier Girotto, Rita Marcotulli, Furio Di Castri), aggiungi un giovane, ottimo batterista coma Mattia Barbieri. Al loro fianco metti la migliore voce maschile della nostra canzone e mescola il tutto usando come amalgama alcune delle più celebri canzoni di Adriano Celentano. Come risultato finale avrai un disco (ed uno spettacolo) di sapore scipito, facilmente dimenticabile. Memorie di Adriano è ovviamente un prodotto ben confezionato: spesso elegante e pieno di buoni spunti, soprattutto nella parte st
E' dedicato all'artista dell'action painting, che aveva fatto della pittura un'improvvisazione, questo progetto di due musicisti italiani, Marco Testoni e Nicola Alesini. Un collage sonoro che evita le banalità delle sperimentazioni più inascoltabili
di Marco Buttafuoco
In origine furono gli steel drums, metallofoni “melodici”, che gli abitanti di Trinidad e Tobago costruivano da vecchi fusti. Erano e sono la colonna sonora del carnevale di quel frammento di Caraibi. Si diffusero nel resto del mondo a partire dalla seconda guerra mondiale, quando le flotte militari americane usavano le isole di quel mare come base. Oggi la tecnologia e la creatività dei musicisti hanno rielaborato quelle sonorità esotiche. In Germania, ad esempio, è stato costruito il Caisa, che è un tamburo convesso, a differenza dei suoi concavi anten
La London Symphony Orchestra e la tromba di Fabrizio Bosso riuniti negli studi di Abbey Road rendono omaggio a uno dei più grandi compositori del cinema italiano, ormai patrimonio della nostra musica leggera (e non solo). In Enchantment i temi delle colonne sonore si inseguono e si fondono l'uno con l'altro
di Alessandra Chiappori
La serata dei grandi compositori italiani, piuttosto che la serata della semplice musica italiana. Così si potrebbe specificare meglio quello che è stato, qualche mese fa ormai, lo show della terza serata del Festival di Sanremo, che ha visto re-interpretare grandi pezzi italiani del passato con nomi importanti della scena musicale. Ma c’è un dettaglio, forse sfuggito a chi è stato rapito dal potere dell’apparenza. Tutti gli ospiti sono scesi in palco sulle note di celebri melodie, quelle colonne sonore immortali che hanno costruito l’identit&
Il nuovo disco dal vivo, Rio, ripropone il piano solo ma frammentato in tanti brevi brani: proprio come in Facing you, l'album che segnò l'esordio del pianista ormai quarant'anni fa. Uno spunto per riflettere su quanto (poco?) sia cambiato nella musica e nell'arte del discusso jazzista americano
di Marco Buttafuoco
Quarant’anni fa, all’incirca, un pianista americano di ventisei anni entrò in uno studio di Oslo per incidere in solitaria alcune tracce basate su un’improvvisazione quasi totale. Si chiamava Keith Jarrett, l’etichetta tedesca che scommetteva su di lui era la ECM. Il disco, la cui incisione durò poco più di tre ore, fu intitolato Facing You. Citava e rielaborava, in otto brani, il jazz, il gospel, la canzone americana, l’avanguardia europea. Iniziò allora un dibattito feroce, e tuttora aperto, su Jarret e sulla sua arte. La
S'intitola proprio Res Nova il secondo disco da bandleader del sassofonista Mattia Cingalini e si propone, per l'appunto, di battere sentieri ancora inesplorati. Una suite in sette parti che dalle radici bop progredisce fino a lambire l'Europa classica. Niente male per un ventunenne!
di Marco Buttafuoco
ll suo primo disco da leader, Arriving soon, inciso con musicisti del calibro di Fabrizio Bosso e Tullio de Piscopo ha sfondato sul mercato giapponese. Nel paese del Sol Levante, dove il jazz è da sempre un culto, Mattia Cigalini è una star. A poca distanza da quel fortunato esordio il sassofonista piacentino fa uscire ora questo Res Nova, che già dal titolo racconta dell’ambizione di raccontare qualcosa di inedito nell’affollatissimo ma spesso piatto panorama jazzistico nazionale. Se Arriving Soon attingeva alla tradizione vasta dell’hard bop, Re
E' entrato in studio con qualche appunto appena buttato giù e dei manuali sulla pittura contemporanea. Ne è uscito con un disco, A dawn will come, che al di là delle sue ispirazioni, non suona nè "astratto" nè eccessivamente avanguardista, ma anzi richiama lo spirito del blues e quello di Thelonius Monk
di Marco Buttafuoco
Per incidere questo suo ultimo lavoro in solitaria, Umberto Petrin ha seguito una strada molto suggestiva, entrando in sala d’incisione con alcune idee appuntate sommariamente. Nello studio c’erano libri d’arte contemporanea (il pianista di Broni ne è un grande appassionato e conoscitore) che dovevano servirgli a catturare idee ed ispirazione per il suo lavoro musicale. Improvvisazione quasi pura, quindi, basata sulle suggestioni delle immagini di alcuni fra i pittori ed i performers più radicali come Joseph Beuys, Bill Viola, Marina Abramovic, Brice Marden. &n
La storiografia della musica afroamericana conta ormai un numero infinito di pubblicazioni, tra manuali e biografie. Per questo è interessante la "terza via" proposta da Franco Bergoglio (giornalista per Il Manifesto) nel suo Magazzino Jazz, una raccolta di articoli che raccontano la sua storia intrecciata a quelle delle altre arti
di Marco Buttafuoco
Dice Vittorio Giacopini, nella prefazione del suo bel romanzo Il ladro di suoni (da noi recensito qui) che la storia del jazz, almeno a livello biografico, non ha più molto da dare. "Sappiamo tutte le storie ed i fatti, le circostanze narrate e rinarrate diecimila volte …Le vite dei jazzisti sono come le vite dei santi: agiografia. Puoi trovare errori, buchi, imprecisioni: difficile imbattersi una vera sorpresa o nel brivido di un imprevisto sconcertante". In altre parole pare davvero molto difficile avere qualcosa di nuovo da raccontare. Anche la
In tempi di tagli alla cultura, c'è anche chi riesce a fare di necessità virtù: l'orchestra fondata da Pino Minafra, sempre poco apprezzata in patria, festeggia vent'anni di attività "in bilico" tra jazz, tradizione colta e popolare. L'ultimo Totally gone, ce li restituisce un po' più italian e un po' meno instabili del solito
di Marco Buttafuoco
“L’idea - dice Pino Minafra, fondatore della Italian Instabile Orchestra – era di mettere insieme alcuni dei più creativi musicisti italiani, personalità che avessero nello stesso tempo una cifra stilistica originale e la capacità di elaborare un nuovo linguaggio nel rispetto delle nostre tradizioni e dell’attualità. Un pool di musicisti capaci di avere una sana distanza dal linguaggio americano a cui dovevamo rispondere per difendere le nostre identità e la nostra storia“. Quell’idea non è invecchiata. Eppure sono p
Nel caotico e sovraffollato panorama odierno, il vecchio maestro del pianoforte sa ancora come dare la rotta. Il nuovo album del suo quartetto, Sorapis, mette insieme tradizione e avanguardia riuscendo a suonare al tempo stesso destabilizzante e rassicurante
di Marco Buttafuoco
Molti appassionati di jazz vivono questi anni con un certo senso di disorientamento. Certo, l’offerta è ricca, fin quasi debordante e mai forse la musica afro-americana è stata tanto praticata. Ogni anno solo in Italia escono centinaia di dischi. I festival, pur in presenza di una feroce crisi economica, continuano ad essere programmati un po’ dappertutto. Tempi felici, all’apparenza. In realtà il panorama musicale è abbastanza piatto. Proposte artistiche nuove ce ne sono davvero poche e nella produzione discografica predomina un mainstream ch
Stefano Pastor e Kash Killion, un violino e un violoncello che sembrano sax e conttrabbasso. In Bows percorrono i sentieri dell'improvvisazione fino a riscoprire il segreto della musica degli schiavi neri. Quello che Duke Ellington definiva "il suono viola"
di Marco Buttafuoco
All’origine era l’Africa e quel suono che Duke Ellington chiamò "suono viola". Vago, indistinto, aspro all’orecchio occidentale, che è abituato a tonalità definite: “Una nota non è mai attaccata direttamente, ma lo strumento e la voce le si avvicinano dall’alto o dal basso, giocano intorno alla sua altezza senza mai soffermarvisi, e se ne staccano lasciandola in tutta la sua ambiguità. Il timbro è velato, parafrasato, tramite mutevoli vibrati, tremolii ed effetti armonici” (Amiri Baraka, Il popolo del Blues
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