Il nuovo disco dal vivo, Rio, ripropone il piano solo ma frammentato in tanti brevi brani: proprio come in Facing you, l'album che segnò l'esordio del pianista ormai quarant'anni fa. Uno spunto per riflettere su quanto (poco?) sia cambiato nella musica e nell'arte del discusso jazzista americano
di Marco Buttafuoco
Quarant’anni fa, all’incirca, un pianista americano di ventisei anni entrò in uno studio di Oslo per incidere in solitaria alcune tracce basate su un’improvvisazione quasi totale. Si chiamava Keith Jarrett, l’etichetta tedesca che scommetteva su di lui era la ECM. Il disco, la cui incisione durò poco più di tre ore, fu intitolato Facing You. Citava e rielaborava, in otto brani, il jazz, il gospel, la canzone americana, l’avanguardia europea. Iniziò allora un dibattito feroce, e tuttora aperto, su Jarret e sulla sua arte. La
Solo tre anni fa il Sundance Festival lo accoglieva come l'ultima frontiera del cinema musicale. Oggi che agli occhialini ci siamo abituati, gli effetti del film appaiono dozzinali. Mentre la terza dimensione non fa che rendere lo show della band irlandese ancora più artificioso
di Federico Capitoni
Cosa c’è di più coatto di un concerto degli U2? Il film del concerto degli U2… in 3D! Siccome volevano dimostrarci che il 3D è applicabile a tutto (però a vedere i film pornografici tridimensionali la stampa non la invitano mai) e che, a questo punto, è giusto vedere tutto in 3D, ecco che spunta un prodotto inutile: U23D, “il primo film musicale in tre dimensioni che fa rivivere le emozioni di VertigoTour degli U2”, dice il comunicato che promuove il film. Interessante? No, per niente. Se possibile, il 3D (che dicono essere mo