Si riforma il Clan di Celentano, ma stavolta è una squadra all star di musicisti di calibro: a Fabrizio Boso, Javier Girotto, Rita Marcotulli, Furio Di Castri e Mattia Barbieri si aggiunge la voce di Peppe Servillo. Memorie di Adriano è un omaggio (anche troppo) sentito, ma che non riesce ad aggiungere sapore agli orginali
di Marco Buttafuoco
Prendi quattro mattatori del jazz italiano (Fabrizio Bosso, Javier Girotto, Rita Marcotulli, Furio Di Castri), aggiungi un giovane, ottimo batterista coma Mattia Barbieri. Al loro fianco metti la migliore voce maschile della nostra canzone e mescola il tutto usando come amalgama alcune delle più celebri canzoni di Adriano Celentano. Come risultato finale avrai un disco (ed uno spettacolo) di sapore scipito, facilmente dimenticabile.
Memorie di Adriano è ovviamente un prodotto ben confezionato: spesso elegante e pieno di buoni spunti, soprattutto nella parte strumentale, ma anche un semplice esercizio stilistico su un materiale musicale abbastanza insignificante come quello delle canzoni del Molleggiato. Come dicono le note di copertina il gruppo, che aveva in anni precedenti lavorato anche su Frank Zappa e Domenico Modugno, ha scelto Celentano “ …per ritrovare le canzoni che cantavamo da ragazzi, guidando le nostre prime automobili o intorno ai falò sulla spiaggia – canzoni che hanno fatto anche la “nostra” storia e che non abbiamo mai dimenticato. Una sfida da trattare con quel senso di rispetto, disillusione ed ironia che che si è rivelato la vera magia del nostro incontro”.
In realtà a mancare a fine ascolto sono proprio disillusione, ironia e magia. La voce di Servillo, che avrebbe dovuto garantire per prima questi elementi essenziali, appare quasi sempre spaesata, didascalica, risaputa: contrariamente a come ci ha abituato in passato il cantante degli Avion Travel. Non incide mai sulla qualità dei brani, non lascia il suo marchio. Ma il problema non è solo il suo: anche nei pezzi strumentali la scintillante bravura degli interpreti (alcuni soli di Bosso e Girotto sono davvero deliziosi) non riscatta l’insipidità degli originali.
Celentano è certamente un grande uomo di spettacolo, come testimoniano le recenti performance, un showman carismatico, che buca lo schermo, ma non è certo un musicista straordinario. Nemmeno un profeta, ma visto che a lui si dedicano pagine e prime pagine dei quotidiani, non sarà forse fuori luogo una citazione da Il Secolo Breve di E.J. Hobsbawm: “Quanta parte della passione per un suono o per una immagine si basa oggi sull’associazione esistenziale?”.
Nello specifico italiano potremmo tradurre questo concetto con il sostantivo “veltronismo”, ovvero l’arte di rendere arte la banalità. Dispiace che in questa trappola siano caduti artisti autentici.
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