Arriva dalla Norvegia la sua tromba guida un trio nelle atmosfere sognanti di Baboon Moon. Contaminazioni con suoni elettrici ed elettronici contribuiscono a creare un'aria irreale e sospesa, da "mondo prima della fine del mondo"
di Marco Buttafuoco
“La prima volta che ho visto Nils Petter Molvaer suonare dal vivo, ho pensato che il mondo si stava avvicinando alla fine... la musica era così urgente, pulsante, inquietante. A suggerire quest’immagine era il soffio di un angelo - ma non si trattava di quegli angeli dolci dei quadri romantici. Era un Arcangelo potente che brandiva una spada ardente, era il suono della tromba”.
Così Fiona Talkington del terzo canale radio alla BBC, presentando questo disco. Ecco, la musica di Mollvaer scatena simili reazioni anche nella compassata radio d’oltre Manica. Per chi, come me, ha ascoltato questo disco prima dal vivo (al festival di Parma Jazz Frontiere) e poi su cd, il trasporto onirico della giornalista inglese è tutt’altro che fuori luogo. E dire che la sera del concerto parmigiano l’influenzato trombettista norvegese non aveva dato il massimo di sé.
Baboon moon è semplicemente splendido. Alterna momenti di lirismo glaciale e straziante (soprattutto dalla tromba del leader), a cupe ondate sonore (le sollevano le chitarre di Sian Westerhus ma anche le percussioni di Erland Dahlen), a pennellate di suoni elettronici, talora tempestose, talora sognanti - dal vivo si ascolta anche la voce un po' bluesy del batterista: peccato che nel disco non sia mai utilizzata.
Certo Baboon Mooon non racconta la fine dei tempi, ma evoca, almeno in chi scrive queste note, un “mondo alla fine del mondo”; sembra raccontare il sentimento del paesaggio del grande nord, dove la foresta cede il passo alla tundra e chilometro dopo chilometro il gran deserto artico si annuncia al viaggiatore. Sembra suggerire la luce cruda ed indecifrabile delle notti estive boreali, cantare la voce dei fiordi, dire delle accese aurore boreali causate dalle tempeste dei venti solari.
E’ inutile alla comprensione di questa musica utilizzare categorie critiche imprecise e vacue come quella del nu jazz; inutile tornare sui passi fin troppo percorsi della commistione dei generi In Baboon Moon c’è tanto rock (il vecchio caro progressive in particolare) e c’è molto jazz e profuzione di techno: per certi versi la musica di Molvaer riporta alla memoria le incisioni di Miles Davis con l’orchestra di Gil Evans, con l’ovvia e non piccola differenza che è l’elettronica a fare da fondale al discorso dei solisti. Ma quello che infine conta è, unicamente, la grande capacità di evocare, di far sognare, di raccontare l’indicibile, sia esso l’apocalisse finale o il silenzio artico.
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Nils Petter Molvaer trio, Baboon Moon, Sony 2012
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