Sui binari e tra i vagoni, Donne in guerra vede snodarsi i racconti d'umanità di alcune piccole protagoniste di quel drammatico periodo che accompagnò il secondo conflitto mondiale in Italia. Laura Sicigliano rivede la Storia dalla parte di chi cioè le battaglie le combatteva dal fronte interno
di Sergio Buttiglieri
Non è semplice parlare ancora dell'Italia alla fine della seconda guerra mondiale. Ci riuscirono Pavese, Fenoglio e poi ancora il primo Calvino, ma erano testi che respiravano il clima del nostro dopoguerra e oggi di sicuro quegli autori non scriverebbero nello stesso modo. Forse pensavamo di avere sedimentato troppi (bellissimi) film neorealisti in passato e troppe (mediocri) rivisitazioni televisive di recente per poterci emozionare ancora tanto visceralmente sulla genuinità di un racconto ambientato in questo momento cardine della nostra storia, com'è quello tutto decl
Dietro l'accento strano che sta nel titolo del terzo libro di Rosario Palazzolo, romanziere e autore teatrale, c'è una storia di abusi e una collezione di istantanee disconnesse. E' una via crucis di tante vicende che forse sono sempre la stessa
di Stefano Nicosia
Per cominciare: cattiverìa, non cattiveria, e non vi diciamo perché. Lo troverete alla fine del libro, ma non ci provate neppure ad andare sfogliare le ultime pagine, bisogna arrivarci quadro dopo quadro. Che sì, è come dire passo dopo passo, ma il romanzo di Palazzolo vi mette davanti a delle scene, e sembra che siate proprio lì, al margine del palcoscenico dove si svolge un rosario di rappresentazioni, sgranate dalle voci narranti. Quadri stranianti – sennò dove sta il bello – che non scorrono cronologicamente ordinati, uniformi, rassicur
L'irriverente monologhista Daniele Timpano continua la sua "storia cadaverica d'Italia", mettendo alla berlina nientemeno che il segretario della DC rapito dalle brigate rosse. Laddove gli altri incenserebbero, il suo teatro non conosce pietà.
di Igor Vazzaz
Stralunato, strampalato, stranito. Arriva in scena completo e cravatta scuri, quasi iena, tradito da un'andatura che fa del disequilibrio matrice poetica ed espressiva. Infantile e arguto, saettante e maligno, dà vita a un monologo estenuato, puntuto, in smarcatura perenne da quella coltre di retorica che sembra moneta unica in corso da parte di coloro che si prendono la briga di parlar di quegli anni Settanta così lontani (per orizzonti ideologici, pratiche sociali, rivendicazioni culturali) e così vicini (perché i problemi son quasi gli stessi e per aver costitui
Già ai tempi di Goldoni andare in scena non era cosa da niente. Il commediografo ne ha dato saggio ne L'impresario delle Smirne, testo ficcante su un allestimento incompiuto declinato all'attualità dalla regia di Roberto Valerio, che ricompone i cinque atti originali in simultanea. E nel farlo, perde per strada un po' di umorismo
di Igor Vazzaz
Il Settecento veneziano non conosceva certo i tagli al Fondo Unico dello Spettacolo né le bizantine politiche culturali della futura Repubblica Italiana: ciononostante, allestir spettacoli, già all'epoca di Carlo Goldoni, rappresentava autentica impresa, dai rischi non limitati al mercato, quanto alle ubbie degli artisti, le cialtronate dei vari addetti ai lavori, gli sprechi assortiti d'un sistema pletorico malavvezzo al buonsenso. È tra 1758 e 1759 che il commediografo veneto compone un testo ficcante, disincantata rappresentazione del coevo mondo dello spettacol
In Don Giovanni a cenar teco... Sergio Latella dà al leggendario seduttore una punizione esemplare. Rinchiuso al focolare domestico, ogni sera alla stessa tavola con la stessa moglie. Uno spettacolo che è un pensiero sull'amore assoluto e sulla sua irrealizzabilità
di Nicola Arrigoni
La condanna di Don Giovanni non è bruciare nelle fiamme dell’inferno, ma è trascinarsi nella vecchiaia, vivere a lungo, magari con la stessa donna… Don Giovanni a cenar teco di Antonio Latella si chiude con la scena del gran seduttore invecchiato, seduto a tavola con Sganarello, Don Elvira e gli altri personaggi in una cena dalle luci caravaggesche, destinato a condividere nell’abbruttente vecchiaia quell’invito ‘a cenar teco’ del titolo che per tutto lo spettacolo ricorre ossessivo. Proprio come la presenza in scena di due tavoli su cui tutto
Dal nazionalpopolare della serie tv al teatro contemporaneo più chiaccherato delle nostre scene. Ricci/forte è la coppia d'autori del momento e imitationofdeath la loro ultima provocazione. Sedici figure seminude elencano trivialità su una scena spoglia: ma è vera gloria?
di Igor Vazzaz
È sempre un rischio recensire i fenomeni del momento, compagnie o spettacoli che assurgono, per meriti propri o di sistema, a monstre d'un peculiare tratto d'attualità. Attualità, sia chiaro, non Storia, benché pure a quest'ultima non siano attribuibili investiture prive di (almeno) un tentativo analitico. Il rischio ad incrociar il brando con chi-è-à-la-page consiste nel non potersi sottrarre a un insidioso, e di per sé urticante, tritacarne che vuole, specie in presenza del fenomenochefadiscutere, partire il mondo in sostenitori o detrattori,
Le parole non serviranno più ad aggiustare quell'umanità diroccata e menomata che l'autore irlandese cantava in Finale di Partita, ora riportato in scena dalla regia di Giancarlo Cauteruccio. Per questo i suoi Hamm e Clov parlano un dialetto siculo 'ripulito'. In anteprima a Scandicci fino al 10 febbraio
di Sergio Buttiglieri
"Non c’è niente di più comico dell’infelicità", dice, al centro della scena con le pareti ricoperte di stracci alla Burri, Hamm, il protagonista della commedia di Beckett. Un prezioso appuntamento con uno dei classici del teatro del Novecento, è quello che la Stagione del Teatro Studio di Scandicci ci ha da poco proposto in prima nazionale: Finale di Partita con la regia di Giancarlo Cauteruccio, che questa volta, rispetto al suo primo debutto del 1998 (U jocou sta’ finisciennu), ha impastato i dialoghi della celebre coppia con s
Treno Genova - Siviglia: i personaggi sono tutti in carrozza, tra cellulari e abiti alla moda. Una volta giunti a destinazione nella città ispanica prende il via la nota commedia del Barbiere rivisitata con un tocco di 'modernità' nell'allestimento dell'Accademia alla Scala diretto da Damiano Michieletto che allo spettatore richiede un notevole sforzo di fantasia
di Maria Rosaria Corchia
Il barbiere di Siviglia di Damiano Michieletto è uno spettacolo fatto con poco, che punta tutto, forse troppo, sulla fantasia dello spettatore per “costruire” lo spazio. Unica cornice all’allestimento, un viaggio in treno: l'espresso da Reggio Emilia a Siviglia annunciato prima dell’ouverture, rievocato sul finale primo atto, con ritorno sul finale secondo. I viaggiatori – cantanti e figuranti – salgono sul treno indossando abiti di oggi, giungono a Siviglia travestiti, e tornano a Reggio, nella vita di tutti i giorni, con jeans e cellulari: un i
Luca Ronconi firma il secondo capitolo di un'eptalogia tutta dedicata a Rafael Spregelburd, autore figlio dell'Argentina della crisi di inizio millennio. Tra scenografie "sghembe" e unioni che crollano, l'interpretazione degli attori è meritevole, anche se fin troppo imbrigliata in schemi registici risaputi
di Sergio Buttiglieri
L'ultima prova di Luca Ronconi, seconda tappa dell'Eptalogia sull’autore argentino Rafael Spregelburd, rappresenta per il regista un altro magnifico pretesto per "uccidere" la realtà nel modo che diverte sommamente noi, devoti delle sue maratone. Panico è uno spettacolo interpretato con grande trasporto da una serie di attori sopraffini, "trattenuti" nel delizioso manierismo ronconiano. Un testo che serve a decifrare il mondo e annientarne le illusioni. Ogni cosa, sembrano dirci all’unisono Ronconi e Spregelburd, ci illude nel momento stesso
La penna di Annibale Ruccello è tra quelle che hanno contribuito a rendere il dialetto partenopeo una vera e propria lingua franca per il teatro italiano. Il suo outsider Ferdinando torna a far mostra di sé, sotto la regia di un sapiente "direttore d'orchestra"
di Igor Vazzaz
Una delle maggiori ricchezze del teatro italiano è costituita, non da ieri, dalla dimensione plurilinguistica di un idioma per secoli costretto a un peculiare cabotaggio, costantemente affiancato, quando non superato, schiacciato o messo in crisi, dalla presenza massiva dei dialetti. Caleidoscopio di lingue, colori, sonorità, il nostro palcoscenico, assai più di altri ambiti espressivi, ha saputo piegare la propria natura a un campionamento degli accenti e delle calate, sfruttando la preziosa metamorfosi implicata nel processo tutto poetico che rende teatrale un idioma sot
Un attore fallito riciclato logopedista e un sovrano inglese che teme di non saper governare. Sul testo di David Seidler reso noto da una traduzione per il grande schermo, Luca Barbareschi firma una regia che lo vede protagonista anche in scena. Intrattenimento garbato, senza sorprese
di Nicola Arrigoni
Una riflessione sul linguaggio, la forza della parola teatrale che trasforma la realtà e, in controluce, la parola che salva dall’abisso del nazismo la civilissima Inghilterra: questo il sottotesto de Il Discorso del Re di David Seidler, portato all’onore della cronaca sul grande schermo da Tom Hooper (leggi la nostra recensione) con cast stellare e in teatro da Luca Barbareschi. E' la storia di Albert, futuro Giorgio VI (Filippo Dini), che salì al trono dopo aver sconfitto la balbuzie grazie al logopedista Lionel (Barbareschi), in realtà un attore aust
Tre uomini normali, risvegliati da un coma di diversi anni, smettono di essere pezzi di legno e tornano a "volare" grazie alla magia teatrale della compagnia Babilonia Teatri. Tra provocazione e surrealismo, la formazione veneta si conferma una delle realtà più interessanti del nostro teatro contemporaneo
di Sergio Buttiglieri
Il tema è spinoso: è lecito mettere in scena persone che hanno sofferto? E’ strumentale utilizzarli come attori? E’ legittimo riderne se, in certi momenti, le battute lo richiedono? E’ corretto emozionarsi se in altri momenti le riflessioni si fanno impietose? O proprio così si rischia di cadere nel pietismo? Queste le riflessioni che mi tormentano quando osservo la Prima Nazionale al Teatro Storchi di Modena dello spiazzante lavoro dei Babilonia Teatri, una delle più interessanti e vitali formazioni del nuovo teatro italiano. La gio
Pirandello secondo Placido. L'attore e regista cinematografico porta a teatro uno dei testi più famosi dell'autore suo conterraneo, puntando sulla forza della scenografia, l'efficacia del recitato e l'attualità della pièce in sé. Un esordio non negativo ma troppo scolastico, riuscito soltanto a metà
di Igor Vazzaz
Sono i frantumi aguzzi d’un gigantesco specchio soverchiante la scena l’emblema più nitido, forse persino didascalico, della rilettura di Così è (se vi pare) offerta dalla regia di Michele Placido. Frantumi d’una verità inconoscibile e beffarda, d’una società sgretolata dalla maldicenza, dilaniata dalla curiosità pelosa d’un coro gracchiante di petulanti all’indirizzo di un ambiguo e malcapitato trio giunto da poco in città. La scenografia dell’ottimo Carmelo Giammello concretizza appieno la teor
Satira per attrice e pupazze sul lusso di essere donne, sottotitola lo spettacolo diretto e interpretato da Marta Cuscunà esponente di un presunto "teatro al femminile". Si apprezzano le doti attoriali ma il testo, ambientato in tempi antichi e cupi, specie per il gentilsesso, resta confinato nella caricatura
di Igor Vazzaz
Uno dei refrain più usati e abusati della nostra critica scenica, unitamente agli immancabili noncisonopiùautori, serriamolefilaadifesadelnostroteatro, comefaràlacriticaasopravvivere, è quello riguardante drammaturgia e spettacolo al femminile. Come se l’espressività sia inoppugnabilmente questione di gender. Non vogliamo liquidar temi complessi (sono i refrain a banalizzare), ma restiamo convinti, innamorati come siamo e non da ieri di alcune grandi “attautrici” (Franca Valeri e Lucia Poli su tutte), che la questione di cui sopra sia
Nella Livorno della ricostruzione, qualcuno erge palazzi e costruisce strade e qualcun altro va a fondo, per recuperare quello che i bombardamenti hanno fatto precipitare in mare. Il palombaro Scintilla, Andrea Gambuzza, è protagonista e autore (insieme a Gabriele Benucci) di Testa di Rame, una scrittura drammaturgica vernacolare tanto rara da essere preziosa
di Igor Vazzaz
Drammaturgia: croce e delizia del nostro teatro, d’una storia lunga, lunghissima, retta quasi esclusivamente sull’arte d’attore, sulla guittezza, quella furberia scenica che non è mera risorsa d’estemporaneo geniaccio, quanto sapere tecnico (fisico, corporeo, prim’ancora che teorico), bagaglio di risorse incarnate nel gesto più e meglio che nel pensiero. Va da sé che, in un panorama alla perenne cerca di pièce, così assetato di autori da gridare al miracolo non appena qualcuno indovini tre testi decenti in fila e così stor
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