La penna di Annibale Ruccello è tra quelle che hanno contribuito a rendere il dialetto partenopeo una vera e propria lingua franca per il teatro italiano. Il suo outsider Ferdinando torna a far mostra di sé, sotto la regia di un sapiente "direttore d'orchestra"
di Igor Vazzaz
Una delle maggiori ricchezze del teatro italiano è costituita, non da ieri, dalla dimensione plurilinguistica di un idioma per secoli costretto a un peculiare cabotaggio, costantemente affiancato, quando non superato, schiacciato o messo in crisi, dalla presenza massiva dei dialetti. Caleidoscopio di lingue, colori, sonorità, il nostro palcoscenico, assai più di altri ambiti espressivi, ha saputo piegare la propria natura a un campionamento degli accenti e delle calate, sfruttando la preziosa metamorfosi implicata nel processo tutto poetico che rende teatrale un idioma sottoposto all'elaborazione artistica.
E nella composita dialettica intessuta tra sedimentazione localistica, progressiva italianizzazione e tensione verso una dimensione nazionale, si sono giocate le numerose partite e partiture sonore dei nostri più grandi teatranti. Principe degli idiomi particolaristici, manco a dirlo, il napoletano, in grado, più e meglio d'altri, di fioriture periodiche, continui riadattamenti, risurrezioni felici, smentendo con puntualità le profezie di sventura, non prive di senso ad altre latitudini, circa il futuro dei dialetti.
Tra gli esponenti più interessanti del partenopeo contemporaneo, quell'Annibale Ruccello che la malasorte volle sottrarre, complice un incidente stradale nel 1986 in cui morì pure l'attore Stefano Tosi, alle scene, non prima d'aver firmato un pugno di testi inseritisi a pieno diritto nella grande drammaturgia italiana del Novecento e di cui Ferdinando costituisce, con tutta probabilità, il lavoro meglio riuscito. Si tratta d'un amarissimo e malizioso Kammerspiel dal notevole spessore poetico, il cui sfondo storico (la vicenda si svolge nel 1870, protagonista un'eccentrica baronessa ritiratasi in campagna) rappresenta l'occasione per un confronto serrato e viperino tra il dialetto dei tre personaggi di partenza (i reclusi: lei, la dama di compagnia e il prelato che le frequenta quotidianamente) e lo strumentale italiano del giovane Ferdinando, outsider mercuriale e conturbante, giunto a sconvolgere e smascherare la pupazzata costituita da sordidi equilibri e un addebitamento improprio.
"Nun voglio sentì 'o 'ttaliano dint'a sta casa…" grida la fintanobile distesa nel letto in cui giace ininterrottamente da mesi, a testimonio del lutto non elaborato per l'ammainarsi della "della gloriosa bannera 'e re Burbone", salvo poi lasciarsi infinocchiare dal compìto giovinetto che, alla catartica e tragicomica rivelazione conclusiva, finisce per denunciare anch'egli il proprio legame col napoletano, mettendo in evidenza la natura di lingua autentica e intima di ogni dialetto che sia reale e vivo.
È un gran piacere che nel recupero di questo testo sinuoso, ricco di interstizi sorprendenti, si sia impegnato un artista abile e raffinato come Arturo Cirillo, da anni teatrante tra i migliori italiani e artefice d'un accurato percorso in grado di rivolgersi sia al classico (ricordiamo il magnifico episodio molieriano di Le intellettuali e un notevole Otello scespiriano) sia a significative escursioni d'area partenopea, con Petito, Viviani e Ruccello. Questo Ferdinando rappresenta, peraltro, la terza occasione di confronto tra l'attore e regista col drammaturgo al quale lo legano pure i comuni natali stabiesi. Come l'autore originale in occasione della prima messinscena, Cirillo riserva a sé la parte dell'ambiguo don Catello, con Sabrina Scuccimarra nei panni della baronessa (ruolo reso grande da Isa Danieli), Monica Piseddu in quelli di Gesualda e Nino Bruno a render l'efebico fanciullo che dà nome alla pièce.
Scena fissa, dominata dal rosso spento d'un immenso tappeto inclinato dall'alto del fondale sino al pavimento in proscenio: un letto sulla sinistra, un divano all'altro lato, un lampadario dorato e orfano di luci sospeso a destra. La sensazione è di polvere, una stasi del tempo, stagnazione che corrisponde a quella umana del trio impegnato in un menage intriso di malcelati malanimi, ipocrisie rituali, pulsioni nascoste. La disarmonia è sottolineata dalle musiche, stranianti nella sovrapposizione sonora, dal sapore espressionistico, ottimamente sposate alla recitazione spigolosissima e puntuta di Sabrina Scuccimarra: alla sua Clotilde tutta strappi, impennate nasali, ai limiti d'uno sciente e opportuno birignao, s'oppone una Gesualda più ampia, a tratti gutturale, terrena.
Maggior pregio della prova delle attrici sta però nell'evoluzione che il testo prevede per i personaggi muliebri, a seguito dell'irrompere in scena dell'adoncino che scompaginerà tutto: al mutare della situazione ben corrisponde il cambiamento di calibro delle interpreti, a respirar di concerto alla commedia. In questo senso, la regia di Cirillo è perfetta nella sua tutta apparente neutralità, affidata così alla scherma dei caratteri che, in barba alle presunte insidie del dialetto, strappa numerose risate, sino a veri propri scrosci d'applausi a scena aperta.
Capolavoro d'istanze, Ferdinando, e questo di Cirillo in particolare, che ben registra la gran copia di consonanze di cui il testo è ricco: il Palazzeschi di Le sorelle Materassi, una tensione pasoliniana nel precipitare sensuale della situazione, reminiscenze da Fassbinder, col pregio, però, di un'omosessualità per una volta non colpevole o problematizzata, ma, anzi, ludica, perché a suo modo trionfante, agente di smascheramento. Come nelle grandi partiture musicali, la direzione di Cirillo ha il grande pregio di render facile e naturale quel che facile e naturale non è, regalando una commedia ricca e che potrebbe tranquillamente regger l'urto di ulteriori visioni. Applausi ancor più sonori alla fine, cui sommiamo i nostri.
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Ferdinando di Annibale Ruccello, regia di Arturo Cirillo
Il resto della locandina: Dario Gessati, scene; Gianluca Falaschi, costumi; Badar Farok, disegno luci; Francesco De Melis, musiche; Roberto Capasso, regista assistente; Patrizia Monti, assistente alla regia; Karl Wittke, macchinista; Maria Chiaravalle e Roberto Ingenito, assistenti volontari; Stefania Pisano, assistente costumista; Rosanna Grammatico, delegato di produzione; produzione esecutiva, Pasquale Liguori; produzione Fondazione Salerno Contemporanea - Teatro Stabile d'Innovazione in collaborazione con Benevento Città Spettacolo
Prossimamente: Massa, Teatro dei Servi, 11-12/1; Ancona, Spazio Lirio Arena, 6-10/2; Milano, Teatro Tieffe Menotti, 12-17/2; Venezia, Teatro Goldoni, 23-24/2; Padova, Teatro Verdi, 26-28/2; Taranto, Teatro TaTà, 5-6/3; Manfredonia, Teatro Comunale, 7/3; Bari, Kismet, 8-9/3; Marsciano (Pg), Teatro Concordia, 14/3; Napoli, Teatro San Ferdinando, 20-24/3
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