Se è vero che l'aspirazione massima di ogni scrittore è inventarsi una lingua che sia soltanto sua, allora l'autore di Ischia ci sta andando vicino: in Lu Campo di Girasoli il napoletano italianizzato dei libri precedenti diventa una 'fusion pan meridionale', che lo rende il suo lavoro ancora più interessante
di Dario De Marco
Cosimo Argentina racconta, in dialetto tarantino strettissimo, la miseria dei lavoratori di una fabbrica metallurgica. Vicolo dell'acciaio non si sforza di essere comprensibile a tutti, ma va anche oltre il regionalismo da marketing
di Lorenza Trai
Per chi scrive quando scrive Cosimo Argentina? Anche io, che ho respirato la sua stessa aria soffocante di estati tarantine anni Settanta, incespico un pochino nel dipanare le battute in dialetto. Per chi scrive? Forse solo per i suoi concittadini? O forse solo per se stesso? Per rispondere a una urgenza interiore di confrontarsi con i suoi fantasmi personali che parlano tarantino, dialetto violento e volgarissimo, abbaiare reciproco, dialogo all’insegna dell’insulto triviale più o meno cameratesco che costituisce l’ossatura della sua narrazione? Una cosa va de
Un giallo di bambini scomparsi, tra la Parigi del 1750 e un condominio di Lucca di fine '900. Insegnante di italiano al suo esordio letterario, in Dall'aprile a Shantih stravolge la lingua (e il dialetto) in un unico flusso di coscienza, che mescola Gadda e altri grandi modelli. Una piacevole sorpresa
di Giulia Stok
Con buona pace della Lega, i dialetti in Italia si parlano ormai più nelle aule universitarie che nelle piazze. Anche per questo il nome del poeta milanese Carlo Porta è noto a pochi. Ma i suoi versi crudi e antiautoritari sono un'eredità che la nostra cultura dovrebbe riscoprire, al di là ogni barriera regionale
di Giampaolo Rugarli
Me vojo sarva’ – Nessuno ci guarda è un monologo in romanesco in cui la talentuosa attrice interpreta più voci, amare e comiche, di outsider afflitti dalla vita
di Igor Vazzaz
Scena spoglia, cruda nella desolata laconicità di fondali neri, come reduce dallo smontaggio d’un dopo spettacolo. Le tavole del palco sembrano ancor più consumate, colte quasi alla sprovvista dal calare dell’ombra e dall’irruzione fonica di un James Brown d’annata che, nella brulla nudità del quadro visivo, suona ancor più ruvido e dolente. Una figura femminile, snella ed elastica, disegna orbite circolari intorno al tenue fascio luminoso proiettato dall’alto: passi nervosi, estenuati, a mancare il centro, suggerendo l’assenza d&