Un giallo di bambini scomparsi, tra la Parigi del 1750 e un condominio di Lucca di fine '900. Insegnante di italiano al suo esordio letterario, in Dall'aprile a Shantih stravolge la lingua (e il dialetto) in un unico flusso di coscienza, che mescola Gadda e altri grandi modelli. Una piacevole sorpresa
di Giulia Stok
Una po’ Gadda un po’ Joyce, un po’ pastiche in salsa toscana un po’ flusso di coscienza. Un po’ presuntuoso, direte voi: perché fare tanta fatica per leggere un esordiente? Perché è bravo e, benché a tratti possa sembrare pretestuoso, con un’ottima padronanza linguistica finisce per aggomitolare il lettore in una storia non storia, in un avvilupparsi di congetture, movimenti minimi, chiacchiere e vite trascorse tra androne e cortile.
Il filo conduttore dei (pochi) eventi, che si svolgono tra la Parigi del 1700 e la Lucca dei giorni nostri, è la sparizione di bambini: l’orrore più grande, l’angoscia più soverchiante che possa attanagliare una famiglia. Ma, come si è detto, non tanto del destino dei bambini si tratta, quanto dei discorsi condotti sulla loro sparizione. E’ un libro fatto di personaggi, che vengono fatti entrare in scena e presentati al lettore uno alla volta. Tutti condomini, e tutti preda dei meccanismi perversi della vita di condominio: c’è chi spia dietro le tende, chi si rifiuta di credere al presunto passato glorioso del vicino che non lo saluta in ascensore, chi presume di conoscere la tresca della giovane dirimpettaia dallo stato dei suoi giacinti… La tendenza di ognuno a far prevalere la propria interpretazione dell’evento - la scomparsa dei bimbi - sull’evento stesso, finisce per far sparire la stessa scomparsa. E infatti non sapremo mai sei i due piccoli torneranno a casa.
Cecchini, professore di italiano, palleggia con destrezza lingua alta e bassa, ma anche luoghi comuni, meccanismi psicologici e tempi delle conversazioni, dimostrando di essere un ottimo osservatore del quotidiano. Tanto che i suoi personaggi li vedremmo bene in carne e ossa, magari su un palcoscenico. E così forse anche quella pesantezza, quell’assenza di narrazione, quella sovrabbondanza di tecnica che rende il libro a tratti eccessivamente ostico, prenderebbe vita e leggerezza, senza perdere nulla della sua preziosità.
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MICHELE CECCHINI, DALL’APRILE A SHANTIH, ERASMO EDIZIONI 2010, P. 152, EURO 14
La citazione/1: "Faubourg Saint Honoré, 15 aprile, mattina. Un uomo viene visto dare dei soldi alla figlia del baulaio Philippe Linotte perché vada a comprargli della frutta al mercato dei Quinze-Vingts. Immediatamente, gli abitanti del quartiere riferiscono alla madre che la bimba è stata avvicinata da un rapitore. Un’ora dopo l’uomo, ritenuto un poliziotto in borghese, viene circondato e massacrato". Dal prologo: quindi, sa scrivere anche così
La citazione/2: “A chiuder la faccenda provvide il crepitio della carta delle caramelle: un rumorino fastidioso che metaforicamente coprì le allusioni e giustificò le reticenze condominiali, che dal raggiro muovevano verso il rapimento, la depravazione, la tragedia. La voce ottenne immediato credito: ‘L’ho sempre detto, io!... Bisogna stare attenti… Non son mica più tempi!...’ Il geometra tratteneva a stento quotidiano, sigarette e invettive. ‘O maronnamiaverginesanta…’: la Marangoni in un gesto plateale cocciò forte avanti a sé i palmi delle mani per poi stringerle al petto. Già presagiva sevizie a danni dei due piccirilli quando, dall’alto del terrazzino, i coniugi Bertolini ebbero l’opportunità di appurare una circostanza non secondaria e al tutto dissonante dai lamenti della Marangoni”. E’ sempre lui, sì. Anzi, è il vero lui
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