
Detersivi 2.0
Sono lontani i tempi in cui il vecchio claim degli anni Settanta faceva canticchiare agli italiani che "con Nelsen piatti li vuol lavare lui", stupendoli col paradosso di un maschio che si proponeva nientemeno che di fare un lavoro domestico, femminile per definizione.
Per capire come i tempi siano cambiati, basterebbe osservare gli ultimi anni di spot di Dixan con Fabio De Luigi. Prima l’avevano costretto a interpretare lo spot storico della marca, il famoso cambio del fustino alla casalinga ossessionata dal candore; nell’ultimo spot invece è diventato lui il target - imbranato come si conviene a chi da generazioni trova le camicie inamidate già nell’armadio - e si consuma sul dilemma di come sbiancarsi dopo un bagno di sugo tipo accoltellamento al ventre.
Se la pubblicità non è avanguardia, ma registra la realtà a cambiamento avvenuto, l’esistenza di questo spot è segno certo che chini dinanzi alla lavatrice ci sono adesso un bel po’ di uomini. Imbranati forse. Però ci sono. E per chi pensa che una rondine non faccia primavera, l’altra sera ho beccato uno spot analogo, ma ancora più "sovversivo", di un’altra marca di cui non ho fatto in tempo a segnare il nome: lui e lei al cinema, filmone da pianto greco, lei che cerca la consolazione della sua spalla maschia, lui che esita interrogandosi se il fondotinta si possa tirar via dalla camicia. Ma poi gli sovviene provvidente il ricordo del suo detersivo che tutto cancella, e via di abbracci confortanti. Lo ammetto, mi sono commossa anche io a vedere un lui non imbranato al pensiero di avviare un ciclo di lavaggio, e una lei che del lavoro domestico è causa, non comoda soluzione. Certo, di stirare e lavare per terra per gli uomini degli spot ancora non se ne parla. Magari qualche moglie di pubblicitario potrebbe provare a darsi malata per un po’, hai visto mai.

La faccia tosta dell'Eni
Siamo all’inizio dell’anno e già sembra urgente elargire riconoscimenti. Come non assegnare infatti la Medaglia Faccia Tosta d’oro alla pubblicità dell’Eni? A meno che Fabrizio Corona non diventi testimonial di una campagna ministeriale per il diritto alla privacy, difficilmente qualche altro spot nel corso dell’anno potrà far meglio di questo in ipocrisia.
Per realizzarlo la multinazionale ha prezzolato Ilana Yahav, famosa performer che lavora con la sabbia, perché interpretasse a modo suo le tre parole chiave della filosofia dell’azienda. A parte il cinismo di scegliere la sabbia per glorificare un colosso che sventra montagne di sabbia alla ricerca di idrocarburi, la parte più sconcertante risiede nelle tre parole chiave in cui Eni identifica la sua mission aziendale: Internazionalità, Ricerca e Rispetto.
Come è noto, l’internazionalità per Eni si declina nello sfruttamento delle risorse di altre nazioni, come quello discutibilissimo che interessa le sabbie bituminose del Congo Brazzaville e l’uso dei suoi terreni fertili per produrre bio-combustibili, con un impatto ambientale stimato a doppio zero. Altrettanto conosciuto è il fatto che la ricerca di marca Eni conduca sovente a cause legali per disastro ambientale, tentata strage e altre piacevolezze, talvolta culminate in pesanti condanne, come quella emessa dal tribunale di Torino nel 2008 per aver riempito di Ddt il Lago Maggiore. Il rispetto secondo Eni è stabilire cartelli con altre aziende per fare monopolio dei prezzi, o cercare di impedire ad altri soggetti lo sfruttamento delle risorse energetiche su cui riesce a mettere le mani, come il gas algerino su cui l’Antitrust nel 2008 l’ha riconosciuta colpevole di abuso di posizione dominante.
Non basta far cantare ai Fleetwood Mac Don’t stop thinking about tomorrow per lavarsi la faccia da questo nero.

Tutte geishe con Alitalia
Non paga di questo, lo spot televisivo con cui l’Alitalia sta cercando di rilanciarsi agli occhi del popolo aggiunge al calderone l’ulteriore stereotipo della donna ideale vista dall’italiano: la docile serva. Per trenta secondi ammiriamo infatti Raoul Bova che, dopo aver impartito otto richieste consecutive a una hostess capace di dire solo “sì, certo, come desidera, signore”, confida soddisfatto al compagno del sedile accanto di sentirsi in aereo meglio che a casa sua. Poco importa che la hostess sia anche sua moglie, perché a casa l’infingarda non si comporta affatto così, cioè non lo serve come una geisha soddisfacendo acriticamente ogni minima necessità del suo signore e padrone. Decretato pertanto che la moglie dei sogni nazionalpopolari è una creatura servile, decorativa, obbediente e priva di volontà propria, l’italianità è ora davvero completa. Poi uno dice, perché non viaggi Alitalia.
