• Seguici su:
ritratto di Michela Murgia
di Michela Murgia

Detersivi 2.0


Sono lontani i tempi in cui il vecchio claim degli anni Settanta faceva canticchiare agli italiani che "con Nelsen piatti li vuol lavare lui", stupendoli col paradosso di un maschio che si proponeva nientemeno che di fare un lavoro domestico, femminile per definizione.
Per capire come i tempi siano cambiati, basterebbe osservare gli ultimi anni di spot di Dixan con Fabio De Luigi. Prima l’avevano costretto a interpretare lo spot storico della marca, il famoso cambio del fustino alla casalinga ossessionata dal candore; nell’ultimo spot invece è diventato lui il target - imbranato come si conviene a chi da generazioni trova le camicie inamidate già nell’armadio - e si consuma sul dilemma di come sbiancarsi dopo un bagno di sugo tipo accoltellamento al ventre.
Se la pubblicità non è avanguardia, ma registra la realtà a cambiamento avvenuto, l’esistenza di questo spot è segno certo che chini dinanzi alla lavatrice ci sono adesso un bel po’ di uomini. Imbranati forse. Però ci sono. E per chi pensa che una rondine non faccia primavera, l’altra sera ho beccato uno spot analogo, ma ancora più "sovversivo", di un’altra marca di cui non ho fatto in tempo a segnare il nome: lui e lei al cinema, filmone da pianto greco, lei che cerca la consolazione della sua spalla maschia, lui che esita interrogandosi se il fondotinta si possa tirar via dalla camicia. Ma poi gli sovviene provvidente il ricordo del suo detersivo che tutto cancella, e via di abbracci confortanti. Lo ammetto, mi sono commossa anche io a vedere un lui non imbranato al pensiero di avviare un ciclo di lavaggio, e una lei che del lavoro domestico è causa, non comoda soluzione. Certo, di stirare e lavare per terra per gli uomini degli spot ancora non se ne parla. Magari qualche moglie di pubblicitario potrebbe provare a darsi malata per un po’, hai visto mai.



Inserito da Michela Murgia - 8 febbraio, 2010 - 12:48


ritratto di Michela Murgia
di Michela Murgia

La faccia tosta dell'Eni


Siamo all’inizio dell’anno e già sembra urgente elargire riconoscimenti. Come non assegnare infatti la Medaglia Faccia Tosta d’oro alla pubblicità dell’Eni? A meno che Fabrizio Corona non diventi testimonial di una campagna ministeriale per il diritto alla privacy, difficilmente qualche altro spot nel corso dell’anno potrà far meglio di questo in ipocrisia.
Per realizzarlo la multinazionale ha prezzolato Ilana Yahav, famosa performer che lavora con la sabbia, perché interpretasse a modo suo le tre parole chiave della filosofia dell’azienda. A parte il cinismo di scegliere la sabbia per glorificare un colosso che sventra montagne di sabbia alla ricerca di idrocarburi, la parte più sconcertante risiede nelle tre parole chiave in cui Eni identifica la sua mission aziendale: Internazionalità, Ricerca e Rispetto.
Come è noto, l’internazionalità per Eni si declina nello sfruttamento delle risorse di altre nazioni, come quello discutibilissimo che interessa le sabbie bituminose del Congo Brazzaville e l’uso dei suoi terreni fertili per produrre bio-combustibili, con un impatto ambientale stimato a doppio zero. Altrettanto conosciuto è il fatto che la ricerca di marca Eni conduca sovente a cause legali per disastro ambientale, tentata strage e altre piacevolezze, talvolta culminate in pesanti condanne, come quella emessa dal tribunale di Torino nel 2008 per aver riempito di Ddt il Lago Maggiore. Il rispetto secondo Eni è stabilire cartelli con altre aziende per fare monopolio dei prezzi, o cercare di impedire ad altri soggetti lo sfruttamento delle risorse energetiche su cui riesce a mettere le mani, come il gas algerino su cui l’Antitrust nel 2008 l’ha riconosciuta colpevole di abuso di posizione dominante.
Non basta far cantare ai Fleetwood Mac Don’t stop thinking about tomorrow per lavarsi la faccia da questo nero.



Inserito da Michela Murgia - 28 gennaio, 2010 - 14:39


ritratto di Michela Murgia
di Michela Murgia

Tutte geishe con Alitalia


Italianità è stata per anni una parola usata con pudore, perché indicava il cocktail di stereotipi che costituiva la carta d’identità dell’italiano medio all’estero; per intenderci, cose tipo mamma, spaghetti, mafia, gesticolare compulsivamente e strillare come al mercato. Quando è scoppiato il caso Alitalia, l’italianità è stata risemantizzata perché potesse passare da elemento di imbarazzo internazionale a questione di prestigio nazionale. Così adesso la parola vuol dire mamma, spaghetti, mafia, gesticolare compulsivamente, strillare come al mercato e comprare l’attivo di una compagnia aerea lasciando i debiti allo Stato, più brevemente detto “cordata”.
Non paga di questo, lo spot televisivo con cui l’Alitalia sta cercando di rilanciarsi agli occhi del popolo aggiunge al calderone l’ulteriore stereotipo della donna ideale vista dall’italiano: la docile serva. Per trenta secondi ammiriamo infatti Raoul Bova che, dopo aver impartito otto richieste consecutive a una hostess capace di dire solo “sì, certo, come desidera, signore”, confida soddisfatto al compagno del sedile accanto di sentirsi in aereo meglio che a casa sua. Poco importa che la hostess sia anche sua moglie, perché a casa l’infingarda non si comporta affatto così, cioè non lo serve come una geisha soddisfacendo acriticamente ogni minima necessità del suo signore e padrone. Decretato pertanto che la moglie dei sogni nazionalpopolari è una creatura servile, decorativa, obbediente e priva di volontà propria, l’italianità è ora davvero completa. Poi uno dice, perché non viaggi Alitalia.


Inserito da Michela Murgia - 23 dicembre, 2009 - 16:54


ritratto di Michela Murgia
di Michela Murgia

L'uomo senza peli


C’è qualcosa negli spot dei rasoi della Gillette che mi destabilizza. Non capisco come la guancia implume, con la pelle nuda e indifesa alla luce dei neon dello specchio impietoso, possa essere simbolo di una mascolinità appetibile, piuttosto che un’ammissione di debolezza autoprovocata. Ci sarà pure un motivo se un tempo per definire un maschio ancora da farsi si diceva che era imberbe, e questo motivo sta nel fatto che la peluria sul viso è segno di virile maturità, e rivela il percorso di una vita con la stessa autorevolezza con cui i cerchi dell’olivo in sezione ne dichiarano gli inverni. Dietro ogni pelo c’è una decisione, per ogni ciuffo uno sbaglio da cui si è imparato, un pizzetto è una mezza maturità, la mosca un vorrei-ma-non-posso, i baffetti un accenno di consapevolezza, e la basetta lungo la mascella è una vistosa tensione al decisivo dunque. Poi certo, uno può anche scegliere di tenersi la faccia libera per questioni di igiene e di estetica, mica tutti stanno bene con la barba. Ma per favore, evitiamo di andare in giro a far credere che l’ignudo risultato del rasoio è il meglio di un uomo, magari facendolo accreditare allo stesso Tiger Woods che si fa menare dalla moglie a colpi di mazza da golf per questioni di corna. La verità è ben altra: un uomo senza peli è un uomo senza argomenti.


Inserito da Michela Murgia - 10 dicembre, 2009 - 12:53