Ah, la misère
Per una turista europea che si reca in Marocco, avere l'impressione di avere pagato poco ciò che si è comprato dopo ore di contrattazione è senz'altro una delle soddisfazioni maggiori della vacanza.
Così, arrivata da poco a Rabat, tutta contenta mi porto a casa per cinque euro una collanona di legno di argan, e vado a prendere un caffè per festeggiare l'acquisto. Nel bar ci trovo Mehdi, diciassette anni, marocchino, che si presenta e si complimenta per i miei braccialetti, quelli che ho comprato a Torino per cinquanta centesimi da Said, che ti fa esprimere un desiderio mentre te li annoda. “Puro artigianato italiano”, mi dice.
Chiacchieriamo, lui mi racconta che è fortunato, ha un lavoro di dodici ore al giorno per il quale è pagato cinque euro. “All'ora?”, chiedo io, lui mi guarda come se fossi matta. “In tutto fanno centocinquanta al mese”, mi spiega. Insiste per pagare il caffè, ho letto sulla guida che qui può sembrare scortese rifiutare un'offerta, ma la guida vai a sapere chi l'ha scritta, così insisto, invano.
Gli dico che devo andare in autobus a Beni Mellal, e lui mi accompagna al taxi, allunga una banconota all'autista, specificando che gli sta lasciando una mancia perché mi tratti bene. I miei soldi non li vuole, “Ici en Maroc vous êtes les invitées”. Faccio un rapido calcolo, ha appena speso per me l'equivalente di due giornate e mezza di lavoro, ciò che io guadagno dando quarantacinque minuti di ripetizioni di latino. Prima che io parta ci avvicina un signore, chiedendoci una moneta. Ho letto sulla guida che da queste parti dare offerte potrebbe significare essere inseguiti per ore da mendicanti che cercheranno in tutti i modi di venderti qualcosa, allora mi scuso, non ho nulla. Mehdi lo rincorre e gli lascia una manciata di monete. Poi torna da me, mi sorride, mi apre la porta del taxi e augurandomi buon viaggio sussurra “Ah, la misère”.
L'unico modo per non lavorare
Il giorno dopo, prima di ripartire, mi ha detto “Mi sono accorta di non averti ancora chiesto che cosa fai nella vita”. Io ho risposto che studiavo Lettere, ma che cercavo comunque di avere una vita interessante. “E tu?”. “Faccio la prostituta”, mi ha detto sorridendo, già sulla porta. “Sono fortunata, appartengo a quell’uno percento che lo fa per piacere. È l’unico vero modo per non lavorare.”.
La vera crisi
La panettiera di quella piccola ridente cittadina della provincia torinese, diceva sempre di essere una che aveva viaggiato molto. Aveva cambiato tre case in cinquant'anni, spiegava, e una volta si era ritrovata persino ad abitare in provincia di Alessandria, cosa rara per quelli della sua generazione.
Due personaggi in cerca di editore / seconda parte
Riceviamo e pubblichiamo:
Due personaggi in cerca di editore / prima parte
Cambiare aspetto alla pasta
Daniel e Tabita: “Raccontate la nostra Africa”
È appena salita una signora stracarica di borsoni, ha l'aria seccata nel vedere che il regionale delle otto di domenica mattina è ancora più pieno del solito. Daniel e Tabita, congolesi, viaggiano davanti a me, si alzano per cederle il posto, la vecchia tira dritto fingendo di non avere sentito.