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I Mark e le marchette


Jacobson e Delucchi, chi sono costoro? Due sconosciuti, eppure dovrebbero togliere il sonno ai governatori del mondo. Per l'eccitazione: perché Mark Jacobson e Mark Delucchi – rispettivamente professore di ingegneria ambientale alla Stanford University e ricercatore all'Università della California – hanno pubblicato uno studio che annuncia qualcosa di clamoroso: tra una manciata di anni (entro il 2030) il vento, l'acqua e il sole potranno garantire tutta l'energia che ci serve. Energia pulita, rinnovabile ed eterna.
 
Sarà vero? In tempi in cui il clima si agita colpito dai gas serra e stiamo traghettando verso un'era nucleare – che azzera la CO2 emessa quando si produce elettricità ma contemporaneamente infila scorie nel sottosuolo e divora enormi quantità di acqua - vale la pena pensarci. E dare un'occhiata alle cifre dei due ingegneri americani (le trovate qui, in bozza, e qui, a pagamento).
 
Facendo mulinare i numeri nei loro pc, i due Mark hanno scoperto che l'elettricità che viene dal sole, dall'acqua - ma soprattutto dal vento - supera di gran lunga l'energia di cui abbiamo bisogno per tirare avanti la nostra civiltà. E anche la domanda che si stima ci sarà nel 2030. Secondo lo studio, possiamo farcela seminando nel mondo quasi 4 milioni di grandi turbine eoliche (in termini di spazio è un'area più piccola di Manhattan), 90mila impianti solari e 900 centrali idroelettriche (la maggior parte delle quali, il 70%, esiste già): un sistema di vasta scala totalmente interconnesso e con tecnologie già esistenti.
 
Dove sta il problema, allora? Primo: nei portafogli. Oggi alcune forme di energia rinnovabile sono più costose delle fonti fossili (ma nello studio sono proposti dei sistemi complessi che combinano incentivi alle energie rinnovabili e tasse su gas, carbone e petrolio). Secondo: nelle miniere. Abbiamo abbastanza cemento e acciaio per costruire turbine eoliche, ma, se non rendiamo reali alcuni progetti tecnologici (investendo nella ricerca scientifica) alcuni materiali di base per pale e pannelli solari potrebbero scarseggiare (le prime avvisaglie ci sono: è di qualche giorno fa la notizia del braccio di ferro economico tra USA&Giappone con la Cina, principale produttore di minerali rari, per il commercio di questi preziosi elementi). Servono, quindi, ricerca e sistemi di riciclaggio dei minerali. Terzo: i governi devono mettersi d'accordo per avere un sistema di distribuzione robusto che catturi energia da posti remoti (dove c'è sole, acqua e vento) e la porti fino a casa nostra.
 
Insomma, una bella sfida. Che raccolta risolverebbe per sempre la questione energetica. Il problema di questo secolo. Ci aspetteremmo che i nostri amministratori non parlino d'altro, non pensino ad altro, non leggano altro. Perlomeno per confutare lo studio americano dei due Mark. Invece, nulla. Che fare? Forse dovremmo piazzare delle parrucche bionde sulle teste dei due scienziati, dire che sono nipoti di qualche pezzo grosso internazionale. Non lo so. La politicosfera sembra emozionarsi, più che per i Mark, per le marchette.
 

 



Inserito da Lorenzo Monaco - 18 novembre, 2010 - 12:00


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Dai parlamenti nascono i fior


Sono tempi bui per la politica: la maggioranza sta raschiando il fondo del parlamento in cerca di nuove alleanze, le opposizioni scoprono sicari interni nel segreto delle urne. E da una parte all'altra dell'attuale arco costituzionale vengono lanciati accuse e dossier velenosi. In questi frangenti, i gruppi e partiti potrebbero approfittarne per farsi un restyling. Potrebbero nascere nuovi simboli. Ne suggeriamo uno: la drosera in fiore.
 
Drosera_ericksoniae_Copyright_Petr_Dzik.jpgLa drosera è eccellente per rappresentare un qualsiasi stuolo di uomini e (poche) donne abbandonati in un parlamento ostile. Anche questa pianticella infatti vive in un ambiente terribile, zeppo di predatori. E anche questa pianticella ha un bisogno disperato di alleati. Sono gli impollinatori, necessari per la riproduzione e la sopravvivenza. Il desiderio di amore della drosera si trasforma quindi in lunghi steli al cui vertice si distendono candidi fiorellini: un delicato strumento di comunicazione che attira coleotteri grandi, neri e pelosi. Brutti ma necessari. Questa ricerca di alleati però può avere anche un prezzo altissimo: se le drosere allungano troppo gli steli per riprodursi, infatti, diventano troppo visibili. E sono brucate via da grandi erbivori pascolanti (l'amore, come sanno i saggi, non vince sull'odio. O perlomeno, non batte le mucche).
 
Si tratta però di un rischio teorico. La lunghezza degli steli della drosera – come è stato appena dimostrato da uno studio dell'Università sudafricana di Stellenbosch – è infatti perfetta: è il giusto compromesso tra le esigenze di sopravvivenza tramite alleanze e il rischio dell'annientamento. Ed è quindi il giusto simbolo per la politica. Ma c'è anche un altro aspetto interessante. La drosera si allea solo con gli insetti grandi. Quando ne trova uno piccolo invece, se lo mangia. La drosera, infatti, è una pianta carnivora.
 
Chissà se qualcuno metterà mai una drosera nel proprio logo. Se nessuno accogliesse questa proposta, permettetemi di usarla come simbolo personale: la drosera in omeopatia serve a curare la depressione.



Inserito da Lorenzo Monaco - 23 settembre, 2010 - 13:16


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Bertolaso, i trans e...


Che cosa hanno in comune Bertolaso, un informe gruppo di trans, dei batteri provenienti dall'alba del mondo e un fabbro della Londra del 1700? Risposta: il fluttuante e tormentato mondo dei fiumi.
 
Iniziamo da Bertolaso. Organismo composto, com'è noto, di acqua (circa il 70 per cento) rivestita da polo sportiva o giacca a vento (a seconda delle stagioni). Ma sempre immortalato dalle telecamere mentre corre lungo un paese fragile. Frane devastanti, inondazioni violente, fiumi, falde secche e svuotate che paralizzano industrie, città e agricolture. E maree tossiche , nere e minacciose, che si snodano lungo i meandri. I bertolasi, quando non si rilassano in altri habitat, vivono lì: sono gli uomini delle emergenze (e tacciamo qui sul resto).
 
Il fabbro. Si chiamava Joseph Bramah e alla fine del secolo della Ragione, ebbe una luminosa idea guardando le tenebre dei pozzi neri della case di Londra (buchi profondi in cui venivano svuotati i pitali degli inglesi). Un'idea tutto sommato semplice: collegare il pitale a un tubo che gettasse i rifiuti umani nei canali. Era nato il WC. Da qui in poi il concime umano non toccherà più i campi, ma andrà direttamente nei fiumi.
 
E qui arrivano i batteri. Nell'era del post-WC si è reputato necessario arruolarli per eliminare i reflui dell'homo sapiens prima che arrivino ai fiumi. Vivono impacchettati nei depuratori e mangiano con efficienza pasti scanditi dai colpi di sciacquone. Ma la loro biologia primitiva ha un grosso limite: riescono a far fuori suolo la sostanza naturale. E si perdono tutto il resto. Un esempio? I farmaci. O gli ormoni umani.
 
Ed ecco i trans. Sono nell'acqua. Probabilmente sono dappertutto. Nessuno lo sa con precisione. Nel Po per esempio, gli scienziati del CNR hanno trovato pesci che presentavano ambedue gli apparati riproduttori. A Venezia, piccoli molluschi necessari all'ecosistema stanno diventando tutti femmine. E’ uno slittamento invisibile, nascosto dalle acque opache, dovuto alle sostanze umane che finiscono nelle fogne. Questo inferno tossico succede ogni giorno. In ogni fiume. Sta rivoltando e mutando la natura. Ma non fa notizia, non è un'emergenza. Non vengono stanziati miliardi e appetiti economici. Bertolaso non se ne accorge nemmeno.


Inserito da Lorenzo Monaco - 13 luglio, 2010 - 16:27


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I tristi scaffali della scienza


I libri di scienza non si vendono, recita un cupo refrain ripetuto con scossoni di capo nelle stanze delle case editrici. Di conseguenza, si riducono le superfici degli scaffali dedicati alla materia di Einstein e Newton. In una libreria ho visto la sezione Scienza accanto a Religioni, a pochi passi da Parapsicologia e Occulto. Inutile dire chi avesse più spazio.
 
Eppure i libri scientifici hanno cambiato la storia, dal Sidereus Nuncius di Galileo all'Origine delle specie di Darwin, passando per il De humani corporis fabrica di Vesalio, il primo libro che abbia gettato luce all'interno del corpo umano regalando illustrazioni e permettendo ai medici di immaginare. E la scienza dovrebbe interessare a chiunque viva nel mondo contemporaneo. La minaccia alle economie dell'euro si muove seguendo algoritmi matematici. Il nostro destino è regolato dalle scienza che sta alla base della produzione di cibo e dalla diffusione dell'acqua. Solo per fare qualche esempio. Insomma, la scienza permea la vita quotidiana più degli adolescenti di Moccia. Dovremmo rispecchiarci in essa e nei libri che la spiegano.
 
E invece nulla. La scienza manca della capacità di raccontare storie, ripetono nelle stanze delle case editrici. In molti ci stanno riflettendo. Con questo assillo, infatti, una moltitudine di science writer – ispirati da Primo Levi, chimico e scrittore - si è data appuntamento a Milano (all'Osservatorio astronomico di Brera) per intrecciare trame di racconti sull'ordito della scienza (qui il programma, l'ingresso è gradito e gratuito).
 
In realtà, quanto detto finora non corrisponde perfettamente al vero. I libri di divulgazione, infatti, vendono. Ho avuto un lungo colloquio con un editor specializzato. Che, dati alla mano, mi ha illustrato, tra gli orridi, anche i picchi del settore Scienza. Tutto sta nell'azzeccare le variabili giuste. Esiste infatti, un mercato florido. E' quello per i ragazzi. Gli adulti invece sono interessati alla cosmologia e ai libri di bioetica. Le possibilità di vendita aumentano poi se l'autore è straniero.
 
Allora alcuni consigli per i giovani autori di scienza. Primo: adottare un nome esotico (e magari altisonante). Secondo: usare storie semplici per spiegare il funzionamento dell'universo e le sue regole etiche. Attenzione però: lo sta già facendo il maggior bestseller della storia. La Bibbia. Uno scaffale più in là.



Inserito da Lorenzo Monaco - 12 maggio, 2010 - 18:46


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Vota Vampiro


Parlare di politica è diventato sconveniente. Quindi parlerò di un'altra cosa. Ecco: di vampiri. Sono un fan dei vampiri comuni. Questa bestia, un pipistrello americano, ha qualità commoventi: lavora in maniera indefessa e quando torna nella caverna, rigurgita il suo frutto del suo lavoro - una sbobba di sangue estratta da capre, cavalli e mucche - nella bocca degli altri pipistrelli. Di tutti gli altri i pipistrelli. Non solo di parenti e amici, come fa la maggioranza degli animali. In questo modo, tutti possono mangiare. Chi ha avuto una buona caccia divide il bottino ematico con i cacciatori più sfortunati. Il vampiro è fatto così. E' una creatura generosa.
 
Ora, immaginate un pipistrello che pensi a una teoria nuova. Perché devo uscire a succhiare sangue – potrebbe dirsi – perché fare tanta fatica, quando in ogni caso un pipistrello qualsiasi mi darà un po' di cibo? E' successo, lo hanno visto sperimentalmente dei ricercatori: i vampiri opportunisti se ne stavano fermi a testa in giù e la bocca aperta. In attesa. La scienza ha scoperto poi che questo atteggiamento è contagioso. Ben presto, i pipistrelli che decidono di scroccare sangue e non lavorare aumentano. Nelle tenebre della caverna, la bolla opportunista si espande.
 
Si tratta di un comportamento altamente criminale – pardon, si tratterebbe: criminale è un aggettivo umano e qui si parla di etologia animale - perché se tutti facessero così, la società vampiresca collasserebbe. Nessuno andrebbe a caccia. La tribù morirebbe. Per fortuna i pipistrelli possono fare scelte. Precise e mirate: i lavoratori danno da mangiare solamente agli altri lavoratori. Il sangue viene vomitato unicamente nella bocca degli individui più altruisti. Agli altri, agli opportunisti, non resta dunque che rimettersi in riga e ricominciare a succhiare le giugulari, come tutti. Il crimine viene sempre sconfitto.
 
Il risultato è che questa la società dei vampiri è perfettamente in equilibrio. Il segreto è la trasparenza: grazie a una fitta rete di ultrasuoni emessi dagli animali, infatti, non esistono segreti. Ogni individuo è noto, così come sono conosciute tutte le sue attitudini, sociali e antisociali. La grotta, apparentemente così oscura, è in realtà un luogo in cui è bandita la privacy e si esaltano le intercettazioni. Ne consegue un fatto: i leader non vengono scelti in base a slogan, foto, ceroni e calze di nylon sulle telecamere. Vengono selezionati unicamente per la loro capacità di succhiare sangue. Ossia per il loro altruismo, per il loro comportamento etico. Una bella lezione. Ma attenzione: di etologia. Non ho parlato di politica. Infatti.



Inserito da Lorenzo Monaco - 30 marzo, 2010 - 11:48


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Tokyo Felis


Ho cercato un emblema della tristezza contemporanea. L'ho trovato a Tokyo, un enorme Luna Park da 30 milioni di abitanti, in cui la scimmia coi calzini (Homo sapiens sapiens) è riuscita a coronare il suo sogno: schermarsi dalla natura. Ma dove farebbe di tutto per avere ancora un contatto animale.
Per esempio, per accarezzare un gatto (Felis silvestris catus). A Tokyo non costa molto: solo 500 yen (circa 4 euro). E l'iniziativa, ospitata in un piccolo locale - la Nekobukuro cat's House - sta avendo successo. Con una piccola cifra congrua si ha diritto anche a vedere un gatto dormire, camminare e mangiare. Oppure a farlo giocare. E' dunque con emozione che mi sono procurato un filo da agitare davanti ad un mammifero mangiatopi e mi sono diretto a Ikebukuro, lo scintillante quartiere al neon, dove vivono i felini.
 
Tokyo è un meraviglioso laboratorio dove poter osservare gli effetti del più grande esperimento condotto dall'uomo su sé stesso: l'aver impacchettato più di metà della popolazione umana nel cemento delle città, con il rischio che il mondo venga conosciuto solo tramite schermi e mediazioni tecnologiche. Un miraggio lontano. Ecco spiegato il successo dei gatti: gli uomini snaturati desiderano ancora pelo, fusa e coccole. Empatia.
Il regno dei gatti entreneuse promette tutto questo. Si trova in alto, in cima all'enorme centro commerciale di Tokyu Hands. Arrivarci è un viaggio reale e metaforico. Inforcando i nastri delle scale mobili, ci si inoltra tra scaffali ripieni di ogni tipo di oggetto: scarpe, cravatte, elettrodomestici, cibo, strumenti musicali, detersivi, giocattoli, coltelli, pentole, pupazzi di tigre, costumi da Michel Jackson e decine di migliaia di manufatti e gadget tecnologici. Otto piani. Otto gironi dedicati all'Artificio. In cima ai quali si staglia come un avatar della Natura, il Reparto Animali.
 
I gatti aspettano qui carezze e giochi. Ma non sono immediatamente visibili. Per riuscire ad avere un contatto affettivo con loro, bisogna prima immergersi in una selva oscura di cinturini, collari, ossi di gomma, gabbiette, scatolette di cibo gelatinoso. E, come Ulisse con le sirene, bisogna ascoltare l'inascoltabile: nell'aria risuonano musiche di Čajkovskij riadattate con miagolii elettronici. Ci sono anche i vestiti per felini: è possibile infatti agghindare il proprio gatto a gusto personale, mettendogli gonnellina e cuffietta da cameriera oppure piazzandogli tra le delicate orecchie triangolari un cappello di fantasia scozzese (è persino possibile vestire il proprio gatto da coniglio: riuscite a immaginare qualcosa di più estremo?).
Infine, dietro un logo a forma di gatto, ecco la Cat's House. Si paga una volta e si può stare tutto il giorno. Il luogo sembra una stanza per i bebé. E' composto da tre stanze cieche, piene di colori e giocattoli. La maggior parte dei gatti - una ventina, tutti di razza - sono chiusi dietro delle vetrine, in gabbie che riproducono ambienti umani (c'è persino un treno finto con un gatto di plastica come conducente). Sette gatti però sono liberi.
 
E' con loro che decido di instaurare un rapporto empatico. Con una certa difficoltà: quattro, al mio passaggio, scappano in alto su delle mensole. Gli altri tre mi fissano, come Buddha felini, insensibili a qualsiasi filo o topo finto che possa agitare.
In effetti, dopo qualche minuto, me ne accorgo: niente si muove nella Cat's House. Né i gatti, ipernutriti e spaparanzati su cuscini, né gli avventori, seduti con sguardo malinconico su delle panchette a vedere i gatti tramite la fotocamera del telefonino. L'unico movimento della stanza è in uno schermo su una parete. Mi siedo, dunque, e guardo la tv. E' a forma di muso di gatto e trasmette immagini di gatti. Che bello: si muovono. Agito il mio filo davanti allo schermo.



Inserito da Lorenzo Monaco - 9 marzo, 2010 - 14:09


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La solitudine dei numeri premier


Sono affascinato dal cervello del nostro premier. In realtà, sono affascinato dalla materia grigia contenuta nella calotta cranica di ogni Capo di governo: la quantità di dati, analisi e previsioni che questi organi devono elaborare, per fare andare avanti un'intera nazione, è impressionante. E il nostro Presidente del consiglio ha un cervello così straordinario che – sia esso protetto da colbacchi di Putin, bandane o semplici capelli sintetici – riesce a farlo lavorare anche per 20 ore al giorno. O così assicura.
 
Qualche volta però il berluscomputer lascia perplessi. “Quante dita ha una mano?”, ha chiesto qualche giorno fa ai bambini terremotati d'Abruzzo. Si tratta di un noto scherzo da scuola elementare. “Quante dita ha una mano?”, si chiede. Cinque, è l'ovvia risposta. “Quante dita hanno due mani?”. “Dieci”. “E quante dita hanno dieci mani?”. “Cento”, conclude chi per la fretta non è riuscito a far bene i calcoli. E tutti sbottano in grandi risate per la facezia.
Anche il nostro premier dunque ha voluto provare questa divertente trappola con alcune classi di Paganica, a pochi passi dall'epicentro. “Quante dita ha una mano?”, ha chiesto sorridendo agli studenti stipati in un'aula allestita fortunosamente. “Cinque”, hanno risposto i bambini eccitati. “Quante dita ne hanno due?”, ha continuato il Presidente. “Dieci!”, hanno urlato in coro gli scolari. “E quante dita hanno dieci mani?”. “Cento!”, è stata l'immediata risposta. Secondo il copione. Ma il testo non pare essere stato metabolizzato perfettamente dal Cavaliere. “Perfetto! – ha infatti sbottato un Berlusconi lievemente stupito – Rispondono tutti cinquanta! Faccio i miei complimenti alla preside”. Subito dopo, recitano i comunicati stampa, il Presidente ha ripassato le tabelline con i bimbi.
 
C'è chi ha subito ironizzato, ascrivendo queste uscite ai postumi del trauma da souvenir milanese. Si tratta di stupideboutade. Già da tempo il premier è sulla stessa linea: “All'Abruzzo saranno garantite le stesse risorse date all'Irpinia, aveva detto il nostro presidente a Porta a porta (puntata del 15 settembre). “Allora sono stati stanziati ben 60 miliardi di vecchie lire – aveva detto sbirciando su dei fogli di carta – quindi 30 miliardi di euro attuali”. Imbarazzo palpabile in tutto lo studio. Rotto da Vespa che, curvo sotto il peso delle equivalenze matematiche, aveva peggiorato la situazione, suggerendo: “Forse sono 3 miliardi di euro”. “No, no, no, no – aveva risposto infastidito Berlusconi – 3 miliardi di euro sono 6mila miliardi di lire (giusto, NdR). Quindi 30 miliardi di lire sono 60 miliardi di euro”.
 
Insomma, un disastro. A ben vedere però, no. Lo è stato solo per la matematica standard, quella che serve semplicemente a far di conto. Il Cavaliere ha deciso evidentemente di adottare un'altra tradizione aritmetica, sicuramente di maggior successo nel nostro paese. Altro che solitudine dei numeri primi: i numeri-premier non sono affatto soli. E' la stessa matematica, tanto per fare un esempio, che nei ristoranti e nelle trattorie a fine di pasto produce un conto superiore dalla somma delle pietanze ordinate; la medesima scuola di pensiero che, qualche anno fa, ha trasformato nei cartellini dei prezzi la vellutata banconota da mille lire in una moneta da un euro. L'approccio che riesce a far produrre ogni giorno numeri e statistiche che sui media dimostrano qualsiasi cosa: il successo di un partito politico, l'orientamento dell'opinione pubblica, l'efficacia di un prodotto per le pulizie. Insomma, una matematica basata su numeri flessibili e amichevoli. Più allegre e rimbalzanti sono, più le cifre riescono a interpretare e dare senso alle infinite opinioni e velleità umane. Insomma, questa matematica personale e confusa è una scienza veramente al servizio dell'uomo.
 
E poi diciamolo: per governare non serve avere il cervello di Einstein, un organo che, si scoprì studiandolo post mortem, aveva i lobi parietali (sede delle capacità matematiche, musicali e del linguaggio) un po' più ampi del normale. E non possedeva una tipica linea del telencefalo. Un solco la cui assenza, secondo alcuni, avrebbe permesso ai neuroni di comunicare tra loro più facilmente. Beh, sapete come si chiama questo solco che bloccherebbe i neuroni? La scissura di Silvio. E c'è chi dice che il destino non esiste.


Inserito da Lorenzo Monaco - 26 gennaio, 2010 - 16:18


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Lacrime e sangue? Privatizzati


Ebbene, è accaduto. Dalle stanze del governo è uscito un decreto che ha concesso alle aziende private di allungare (ulteriormente) le mani sull’acqua. La risposta era inevitabile. Folle di homo sapiens, l’unica specie animale consapevole di essere poco più di acqua sporca (di fatto siamo acqua sporca e qualche grammo di consapevolezza) hanno levato voci di protesta. “Maledetti coloro che hanno votato per la mercificazione dell’acqua”, ha urlato dai blog padre Alex Zanotelli. “Noi continueremo a gridare che l’acqua è vita, l’acqua è sacra, l’acqua è diritto fondamentale umano”. Altri hanno lamentato (e lamentano) che con l’ingresso dei privati le bollette schizzeranno e, contemporaneamente, si rovineranno le preziose qualità della sostanza origine di tutti i nostri umori corporei. Dal sangue alle lacrime.
 
Paura, complotto, sfiducia nel prossimo: nella privatizzazione dell’acqua si trovano tutti gli ingredienti del mondo contemporaneo. Certo, questo processo è disturbante: è spiacevole sapere di essere solo piccoli atomi di acqua che gettano tubi di sopravvivenza verso l’immenso ciclo idrico. Ed è quindi terribilmente inquietante sapere che in fondo al tubo potrebbe esserci un signore in doppiopetto che fino a qualche mese prima scioglieva persone nell’acido o una lugubre multinazionale che allunga i suoi tentacoli in ogni ramo del business, per riempire i suoi forzieri di dobloni e fondi di investimento.
 
Ma, come sanno i bambini che infilano le dita nei bicchieri per vederli ingigantire, quello dell’acqua è un regno deformante e illusorio. E’ strano che il problema sia il “privato” (nessuno si lamenta che il nostro cibo è totalmente privatizzato ed è trattato come merce in qualsiasi supermercato). Evidentemente nel dibattito le informazioni sono state deformate e rifratte dalle emozioni. Il Monaco elettrico è andato a spulciare qua e là e ha trovato le seguenti informazioni. Primo: l’acqua è veramente un diritto (così si espresso anche il Parlamento europeo). Secondo: l’acqua in Italia è una risorsa totalmente pubblica. I privati accederanno solamente ai tubi (alla distribuzione). E dopo un concorso pubblico. Terzo: le tariffe per i cittadini sono sempre concordate con i poteri pubblici (speciali agenzie chiamate ATO, formate dai Comuni).
Dunque, è tutto falso? E allora – qualcuno dirà – perché l’acqua sta costando sempre di più da quando sono arrivate le aziende private? La risposta non è nella natura di chi gestisce le tubature, ma si trova su una Gazzetta ufficiale. Esattamente in una legge del 1994 che ha stabilito che i cittadini debbano pagare in bolletta anche i costi di gestione, manutenzione e investimento, sia che il padrone dei tubi sia pubblico sia che esso sia privato (nella bolletta paghiamo insomma il miracolo tecnologico che trasforma l’acqua in una sostanza potabile e ci accolliamo anche tutti gli apparecchi che manipolano i reflui per abbattere l’inquinamento. Costi che avremmo pagato comunque con le tasse comunali).
 
Questo post in ogni caso non vuole tranquillizzare. Qualcosa andrà storto. Succede sempre. Enti privati che fanno investimenti sbagliati. Acquedotti pubblici che spacciano consapevolmente sostanze cancerogene nei rubinetti (è successo a Pescara). Il problema sta nell’assenza di controllo (questo sì pubblico). Perché le ATO sono soggette a tutte le precarietà della politica (i privati manent, le giunte comunali volant) e perché manca un’Autorità che vigili su quanto accade. Esiste solo un piccolo comitato (che da qualche mese si chiama Commissione di vigilanza sulle risorse idriche) che ogni anno cerca di capirci qualcosa e suggerisce soluzioni al Parlamento. Ma si occupa solo dell’acqua che beviamo noi cittadini. La stessa acqua però è usata dalla centrali elettriche, le industrie, i campi coltivati. E non esiste un coordinamento reale tra tutte le attività. Qualcosa andrà storto, dunque. E sarà soprattutto un problema di mancanza di organizzazione.


Inserito da Lorenzo Monaco - 14 dicembre, 2009 - 13:26


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Sono un elettrodomestico


Buongiorno. Sono un elettrodomestico. Un attrezzo per risparmiare fatica. Come una lavastoviglie (che lava i piatti al posto tuo), un tostapane (che vi salva dall’onere di stare davanti a un fuoco ad abbrustrolire cibaglia) o uno stimolatore erotico (meraviglioso dispositivo per il risparmio energetico di coppia). Il Monaco Elettrico però fa qualcosa di diverso. Come gli eremiti medioevali, studia e trascrive. E può credere cose al posto tuo, risparmiandoti quello che sta diventando un compito oneroso: credere a tutto ciò a cui il mondo si aspetta che tu creda.
 
Va da sé, sono una meraviglia della scienza e della tecnologia. Mi muovo in involucri metallici azionati da raffinate reazioni chimiche, la mia voce schizza da una parte all’altra del globo viaggiando lungo campi elettromagnetici, la mia mano è resa iperbolica da un Topo Elettrico che squittendo i suoi clic mi porta continuamente verso nuovi mondi. Peccato solo per il microchip organico che sta alla base di tutto: una schifezza chimica carboniosa, che accumula grassi, perde capelli, ha l’ulcera e rimane avvilito per settimane dopo una puntata di X-Factor, mugugnando rimbecillito, incapace di articolare un pensiero.
Naturalmente sono in garanzia. Se non sono conforme agli standard di prodotto, potete scrivermi. Certo, a meno che non siate incappati per sbaglio in una puntata di X-Factor. Una bella notizia: la garanzia dura anni. (Una brutta notizia: anche X-Factor).
 
“Sfortunatamente questo Monaco Elettrico aveva sviluppato un difetto, e aveva iniziato a credere a ogni genere di cosa, più o meno a casaccio (…) Così, dopo una settimana frenetica in cui aveva creduto che la guerra fosse pace, che il bene fosse male, che la luna fosse fatta di gorgonzola, e che Dio avesse bisogno di ricevere un sacco di soldi a una certa casella postale, il Monaco cominciò a credere che il trentacinque per cento di tutti i tavoli fossero ermafroditi, e poi si ruppe”. (Douglas Adams, Dirk Gently, Agenzia di investigazione olistica)


Inserito da Lorenzo Monaco - 26 novembre, 2009 - 12:23