I Mark e le marchette
Facendo mulinare i numeri nei loro pc, i due Mark hanno scoperto che l'elettricità che viene dal sole, dall'acqua - ma soprattutto dal vento - supera di gran lunga l'energia di cui abbiamo bisogno per tirare avanti la nostra civiltà. E anche la domanda che si stima ci sarà nel 2030. Secondo lo studio, possiamo farcela seminando nel mondo quasi 4 milioni di grandi turbine eoliche (in termini di spazio è un'area più piccola di Manhattan), 90mila impianti solari e 900 centrali idroelettriche (la maggior parte delle quali, il 70%, esiste già): un sistema di vasta scala totalmente interconnesso e con tecnologie già esistenti.
Dai parlamenti nascono i fior
Sono tempi bui per la politica: la maggioranza sta raschiando il fondo del parlamento in cerca di nuove alleanze, le opposizioni scoprono sicari interni nel segreto delle urne. E da una parte all'altra dell'attuale arco costituzionale vengono lanciati accuse e dossier velenosi. In questi frangenti, i gruppi e partiti potrebbero approfittarne per farsi un restyling. Potrebbero nascere nuovi simboli. Ne suggeriamo uno: la drosera in fiore.
La drosera è eccellente per rappresentare un qualsiasi stuolo di uomini e (poche) donne abbandonati in un parlamento ostile. Anche questa pianticella infatti vive in un ambiente terribile, zeppo di predatori. E anche questa pianticella ha un bisogno disperato di alleati. Sono gli impollinatori, necessari per la riproduzione e la sopravvivenza. Il desiderio di amore della drosera si trasforma quindi in lunghi steli al cui vertice si distendono candidi fiorellini: un delicato strumento di comunicazione che attira coleotteri grandi, neri e pelosi. Brutti ma necessari. Questa ricerca di alleati però può avere anche un prezzo altissimo: se le drosere allungano troppo gli steli per riprodursi, infatti, diventano troppo visibili. E sono brucate via da grandi erbivori pascolanti (l'amore, come sanno i saggi, non vince sull'odio. O perlomeno, non batte le mucche).
Si tratta però di un rischio teorico. La lunghezza degli steli della drosera – come è stato appena dimostrato da uno studio dell'Università sudafricana di Stellenbosch – è infatti perfetta: è il giusto compromesso tra le esigenze di sopravvivenza tramite alleanze e il rischio dell'annientamento. Ed è quindi il giusto simbolo per la politica. Ma c'è anche un altro aspetto interessante. La drosera si allea solo con gli insetti grandi. Quando ne trova uno piccolo invece, se lo mangia. La drosera, infatti, è una pianta carnivora.
Chissà se qualcuno metterà mai una drosera nel proprio logo. Se nessuno accogliesse questa proposta, permettetemi di usarla come simbolo personale: la drosera in omeopatia serve a curare la depressione.
Bertolaso, i trans e...
I tristi scaffali della scienza
I libri di scienza non si vendono, recita un cupo refrain ripetuto con scossoni di capo nelle stanze delle case editrici. Di conseguenza, si riducono le superfici degli scaffali dedicati alla materia di Einstein e Newton. In una libreria ho visto la sezione Scienza accanto a Religioni, a pochi passi da Parapsicologia e Occulto. Inutile dire chi avesse più spazio.
Eppure i libri scientifici hanno cambiato la storia, dal Sidereus Nuncius di Galileo all'Origine delle specie di Darwin, passando per il De humani corporis fabrica di Vesalio, il primo libro che abbia gettato luce all'interno del corpo umano regalando illustrazioni e permettendo ai medici di immaginare. E la scienza dovrebbe interessare a chiunque viva nel mondo contemporaneo. La minaccia alle economie dell'euro si muove seguendo algoritmi matematici. Il nostro destino è regolato dalle scienza che sta alla base della produzione di cibo e dalla diffusione dell'acqua. Solo per fare qualche esempio. Insomma, la scienza permea la vita quotidiana più degli adolescenti di Moccia. Dovremmo rispecchiarci in essa e nei libri che la spiegano.
E invece nulla. La scienza manca della capacità di raccontare storie, ripetono nelle stanze delle case editrici. In molti ci stanno riflettendo. Con questo assillo, infatti, una moltitudine di science writer – ispirati da Primo Levi, chimico e scrittore - si è data appuntamento a Milano (all'Osservatorio astronomico di Brera) per intrecciare trame di racconti sull'ordito della scienza (qui il programma, l'ingresso è gradito e gratuito).
In realtà, quanto detto finora non corrisponde perfettamente al vero. I libri di divulgazione, infatti, vendono. Ho avuto un lungo colloquio con un editor specializzato. Che, dati alla mano, mi ha illustrato, tra gli orridi, anche i picchi del settore Scienza. Tutto sta nell'azzeccare le variabili giuste. Esiste infatti, un mercato florido. E' quello per i ragazzi. Gli adulti invece sono interessati alla cosmologia e ai libri di bioetica. Le possibilità di vendita aumentano poi se l'autore è straniero.
Allora alcuni consigli per i giovani autori di scienza. Primo: adottare un nome esotico (e magari altisonante). Secondo: usare storie semplici per spiegare il funzionamento dell'universo e le sue regole etiche. Attenzione però: lo sta già facendo il maggior bestseller della storia. La Bibbia. Uno scaffale più in là.
Vota Vampiro
Parlare di politica è diventato sconveniente. Quindi parlerò di un'altra cosa. Ecco: di vampiri. Sono un fan dei vampiri comuni. Questa bestia, un pipistrello americano, ha qualità commoventi: lavora in maniera indefessa e quando torna nella caverna, rigurgita il suo frutto del suo lavoro - una sbobba di sangue estratta da capre, cavalli e mucche - nella bocca degli altri pipistrelli. Di tutti gli altri i pipistrelli. Non solo di parenti e amici, come fa la maggioranza degli animali. In questo modo, tutti possono mangiare. Chi ha avuto una buona caccia divide il bottino ematico con i cacciatori più sfortunati. Il vampiro è fatto così. E' una creatura generosa.
Ora, immaginate un pipistrello che pensi a una teoria nuova. Perché devo uscire a succhiare sangue – potrebbe dirsi – perché fare tanta fatica, quando in ogni caso un pipistrello qualsiasi mi darà un po' di cibo? E' successo, lo hanno visto sperimentalmente dei ricercatori: i vampiri opportunisti se ne stavano fermi a testa in giù e la bocca aperta. In attesa. La scienza ha scoperto poi che questo atteggiamento è contagioso. Ben presto, i pipistrelli che decidono di scroccare sangue e non lavorare aumentano. Nelle tenebre della caverna, la bolla opportunista si espande.
Si tratta di un comportamento altamente criminale – pardon, si tratterebbe: criminale è un aggettivo umano e qui si parla di etologia animale - perché se tutti facessero così, la società vampiresca collasserebbe. Nessuno andrebbe a caccia. La tribù morirebbe. Per fortuna i pipistrelli possono fare scelte. Precise e mirate: i lavoratori danno da mangiare solamente agli altri lavoratori. Il sangue viene vomitato unicamente nella bocca degli individui più altruisti. Agli altri, agli opportunisti, non resta dunque che rimettersi in riga e ricominciare a succhiare le giugulari, come tutti. Il crimine viene sempre sconfitto.
Il risultato è che questa la società dei vampiri è perfettamente in equilibrio. Il segreto è la trasparenza: grazie a una fitta rete di ultrasuoni emessi dagli animali, infatti, non esistono segreti. Ogni individuo è noto, così come sono conosciute tutte le sue attitudini, sociali e antisociali. La grotta, apparentemente così oscura, è in realtà un luogo in cui è bandita la privacy e si esaltano le intercettazioni. Ne consegue un fatto: i leader non vengono scelti in base a slogan, foto, ceroni e calze di nylon sulle telecamere. Vengono selezionati unicamente per la loro capacità di succhiare sangue. Ossia per il loro altruismo, per il loro comportamento etico. Una bella lezione. Ma attenzione: di etologia. Non ho parlato di politica. Infatti.
Tokyo Felis
Ho cercato un emblema della tristezza contemporanea. L'ho trovato a Tokyo, un enorme Luna Park da 30 milioni di abitanti, in cui la scimmia coi calzini (Homo sapiens sapiens) è riuscita a coronare il suo sogno: schermarsi dalla natura. Ma dove farebbe di tutto per avere ancora un contatto animale.
Per esempio, per accarezzare un gatto (Felis silvestris catus). A Tokyo non costa molto: solo 500 yen (circa 4 euro). E l'iniziativa, ospitata in un piccolo locale - la Nekobukuro cat's House - sta avendo successo. Con una piccola cifra congrua si ha diritto anche a vedere un gatto dormire, camminare e mangiare. Oppure a farlo giocare. E' dunque con emozione che mi sono procurato un filo da agitare davanti ad un mammifero mangiatopi e mi sono diretto a Ikebukuro, lo scintillante quartiere al neon, dove vivono i felini.
Tokyo è un meraviglioso laboratorio dove poter osservare gli effetti del più grande esperimento condotto dall'uomo su sé stesso: l'aver impacchettato più di metà della popolazione umana nel cemento delle città, con il rischio che il mondo venga conosciuto solo tramite schermi e mediazioni tecnologiche. Un miraggio lontano. Ecco spiegato il successo dei gatti: gli uomini snaturati desiderano ancora pelo, fusa e coccole. Empatia.
Il regno dei gatti entreneuse promette tutto questo. Si trova in alto, in cima all'enorme centro commerciale di Tokyu Hands. Arrivarci è un viaggio reale e metaforico. Inforcando i nastri delle scale mobili, ci si inoltra tra scaffali ripieni di ogni tipo di oggetto: scarpe, cravatte, elettrodomestici, cibo, strumenti musicali, detersivi, giocattoli, coltelli, pentole, pupazzi di tigre, costumi da Michel Jackson e decine di migliaia di manufatti e gadget tecnologici. Otto piani. Otto gironi dedicati all'Artificio. In cima ai quali si staglia come un avatar della Natura, il Reparto Animali.
I gatti aspettano qui carezze e giochi. Ma non sono immediatamente visibili. Per riuscire ad avere un contatto affettivo con loro, bisogna prima immergersi in una selva oscura di cinturini, collari, ossi di gomma, gabbiette, scatolette di cibo gelatinoso. E, come Ulisse con le sirene, bisogna ascoltare l'inascoltabile: nell'aria risuonano musiche di Čajkovskij riadattate con miagolii elettronici. Ci sono anche i vestiti per felini: è possibile infatti agghindare il proprio gatto a gusto personale, mettendogli gonnellina e cuffietta da cameriera oppure piazzandogli tra le delicate orecchie triangolari un cappello di fantasia scozzese (è persino possibile vestire il proprio gatto da coniglio: riuscite a immaginare qualcosa di più estremo?).
Infine, dietro un logo a forma di gatto, ecco la Cat's House. Si paga una volta e si può stare tutto il giorno. Il luogo sembra una stanza per i bebé. E' composto da tre stanze cieche, piene di colori e giocattoli. La maggior parte dei gatti - una ventina, tutti di razza - sono chiusi dietro delle vetrine, in gabbie che riproducono ambienti umani (c'è persino un treno finto con un gatto di plastica come conducente). Sette gatti però sono liberi.
E' con loro che decido di instaurare un rapporto empatico. Con una certa difficoltà: quattro, al mio passaggio, scappano in alto su delle mensole. Gli altri tre mi fissano, come Buddha felini, insensibili a qualsiasi filo o topo finto che possa agitare.
In effetti, dopo qualche minuto, me ne accorgo: niente si muove nella Cat's House. Né i gatti, ipernutriti e spaparanzati su cuscini, né gli avventori, seduti con sguardo malinconico su delle panchette a vedere i gatti tramite la fotocamera del telefonino. L'unico movimento della stanza è in uno schermo su una parete. Mi siedo, dunque, e guardo la tv. E' a forma di muso di gatto e trasmette immagini di gatti. Che bello: si muovono. Agito il mio filo davanti allo schermo.
La solitudine dei numeri premier
Qualche volta però il berluscomputer lascia perplessi. “Quante dita ha una mano?”, ha chiesto qualche giorno fa ai bambini terremotati d'Abruzzo. Si tratta di un noto scherzo da scuola elementare. “Quante dita ha una mano?”, si chiede. Cinque, è l'ovvia risposta. “Quante dita hanno due mani?”. “Dieci”. “E quante dita hanno dieci mani?”. “Cento”, conclude chi per la fretta non è riuscito a far bene i calcoli. E tutti sbottano in grandi risate per la facezia.
Anche il nostro premier dunque ha voluto provare questa divertente trappola con alcune classi di Paganica, a pochi passi dall'epicentro. “Quante dita ha una mano?”, ha chiesto sorridendo agli studenti stipati in un'aula allestita fortunosamente. “Cinque”, hanno risposto i bambini eccitati. “Quante dita ne hanno due?”, ha continuato il Presidente. “Dieci!”, hanno urlato in coro gli scolari. “E quante dita hanno dieci mani?”. “Cento!”, è stata l'immediata risposta. Secondo il copione. Ma il testo non pare essere stato metabolizzato perfettamente dal Cavaliere. “Perfetto! – ha infatti sbottato un Berlusconi lievemente stupito – Rispondono tutti cinquanta! Faccio i miei complimenti alla preside”. Subito dopo, recitano i comunicati stampa, il Presidente ha ripassato le tabelline con i bimbi.
C'è chi ha subito ironizzato, ascrivendo queste uscite ai postumi del trauma da souvenir milanese. Si tratta di stupideboutade. Già da tempo il premier è sulla stessa linea: “All'Abruzzo saranno garantite le stesse risorse date all'Irpinia, aveva detto il nostro presidente a Porta a porta (puntata del 15 settembre). “Allora sono stati stanziati ben 60 miliardi di vecchie lire – aveva detto sbirciando su dei fogli di carta – quindi 30 miliardi di euro attuali”. Imbarazzo palpabile in tutto lo studio. Rotto da Vespa che, curvo sotto il peso delle equivalenze matematiche, aveva peggiorato la situazione, suggerendo: “Forse sono 3 miliardi di euro”. “No, no, no, no – aveva risposto infastidito Berlusconi – 3 miliardi di euro sono 6mila miliardi di lire (giusto, NdR). Quindi 30 miliardi di lire sono 60 miliardi di euro”.