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LIBRI - SAGGISTICA

Gli eroi italiani

Beato il paese che non ne ha bisogno? Allora quel paese è il nostro: questa è la tesi dell'ultimo libro di Stefano Jossa, che con L'Italia da Jacopo Ortis a Montalbano passa in rassegna i protagonisti della letteratura, che non sono diventati simboli del carattere nazionale.


di Stefano Nicosia


Dalla formazione scolastica si emerge – salvo rari casi – con la radicata idea che i processi che portano alla formazione delle nazioni attengano alla sfera degli avvenimenti storici (o meglio, della storia intesa come serie di avvenimenti storici), pensandoli come indipendenti o comunque predominanti su movimenti culturali, religiosi, sulle altre implicazioni che una storia formata non solo di fatti comporta. Derivano, da questa impostazione didattico-pedagogica (che ha alcune ragioni di essere nella suddivisione delle materie scolastiche ma anche nel ritardo di certi paradigmi culturali) almeno due effetti: il pensare la propria nazione come un dato storico immobile, negoziato una volta e per tutte; una sottovalutazione del ruolo della letteratura tanto nella formazione della nazione quanto in un discorso quotidiano sulla nazione stessa.

 

Naturalmente non sono solo le lettere a uscire appiattite da quel che si è detto, ma qui ci interessa in particolar modo questo aspetto perché Un paese senza eroi affronta la questione della nostra identità nazionale attraverso la letteratura che va dal primo Ottocento ai nostri giorni. Lo fa chiedendosi se e in che modo i personaggi principali dei romanzi del canone scolastico italiano siano stati proposti come simbolo per la costruzione del carattere italiano: «l’assunto di partenza è che la letteratura formi l’immaginario collettivo più di qualsiasi altro medium culturale a causa del suo primato nell’educazione» (p. VIII). Educazione e letteratura significano anche politica, che in un libro come questo viene chiamata in causa costantemente, rivendicando il bisogno di ricominciare a parlare «di contenuti e ideologie» nella critica letteraria.
 
Il bisogno di «eroi», da questo punto di vista, viene visto da Jossa come una debolezza, la predilezione per l’aspetto emotivo rispetto alla cura di una «coscienza civile». Le nazioni (le «comunità immaginate» di Benedict Anderson) e i loro caratteri identitari hanno in comune con i personaggi dei romanzi l’essere frutto di una finzione, il prodotto di una rappresentazione. Una comunità si basa sulla produzione e sull’invenzione costante di simboli, tradizioni, immaginari comuni, dei quali la letteratura è da parte sua generatrice. Per questo, parlare di opere letterarie significa sondare anche i motivi per e i modi con cui una comunità si tiene insieme, rifiuta dei simboli o permette loro di regolarne l’esistenza, combatte (materialmente o culturalmente: ma è poi così grande la differenza tra le due cose?) altri gruppi e così via.
 
Da lettori, un altro aspetto importante si colloca a valle della ricerca di Jossa. Questo libro è, indirettamente, una risposta alla domanda – che risuona dai banchi di scuola a quelli del Parlamento, ora svogliata ora sprezzante – sul perché studiare la letteratura (nostra e altrui). La decostruzione e la conoscenza profonda della nostra società passa anche dalla capacità di leggere i fenomeni culturali (e Jossa lo sa fare molto bene), mettendoli in relazione all’identità nazionale. È il caso, preso in esame dall’autore, dei monumenti, strumenti politici-pedagogici di trattamento dei miti; o quello delle produzioni cinematografiche e televisive tratte da opere-simbolo (Cuore, Ettore Fieramosca, Pinocchio…).
 
Il repertorio di «eroi» (personaggi principali) che non sono, in definitiva, diventati «eroi» (uomini-simbolo, modelli per la comunità) è interessante e ricco. A partire dal foscoliano Jacopo Ortis, passando da Ettore Fieramosca, Beatrice Cenci, dal Carlino Altoviti delle Confessioni, dal Daniele Cortis di Fogazzaro, fino a D’Annunzio, Collodi, Pirandello, Svevo, Calvino, Fenoglio, Tomasi... si arriva al commissario Montalbano, che non è (ancora?) nel canone scolastico, ma il cui impatto nell’immaginario culturale della comunità è indubbio (per inciso, è uno dei pochissimi tra gli eroi-personaggi cui è stata dedicata una statua). La sorte che li accomuna, tuttavia, è la medesima: «i personaggi dei romanzi canonici […] risultano troppo realistici e troppo individuali per venire ridotti a figure simboliche tanto larghe e comprensive da includere un progetto d’identità nazionale». Paradossalmente, pesa in questo “fallimento” (ma l’assenza di eroi nazionali è per Jossa, intelligentemente, un segno positivo) la forza dell’autore, a discapito del personaggio, che ne viene schiacciato (è il caso di Foscolo, su tutti).
 
La Prefazione e le Conclusioni di questo saggio – acuto senza essere sferzante, critico senza essere acrimonioso – troverebbero ottima collocazione nei luoghi di dibattito pubblico, proprio quelli presidiati da chi, al contrario, si preoccupa di alimentare un discorso pre-razionale sull’identità; e nelle scuole, dove indicherebbe direzioni e metodologie sulla storia della cultura che ancora hanno, anche là dentro, poca cittadinanza. È un ottimo punto di partenza per capire qualcosa di più del nostro «carattere nazionale», letterario e non, a partire dalla differenza tra «un eroe che è simbolo collettivo, funzione più o meno superficiale e vuota di processi di identificazione spersonalizzati […] e un eroe che è modello etico, capace di istituire principi di confronto e dialogo anziché adorazione acritica e passiva».



Tags: Laterza, Stefano Jossa, Stefano Nicosia, Un paese senza eroi,
12 Dicembre 2013

Oggetto recensito:

Stefano Jossa, Un paese senza eroi. L’Italia da Jacopo Ortis a Montalbano, Laterza 2013, 298 pp., € 22,00

Stefano Jossa (1966) insegna Letteratura e cultura italiane alla Royal Holloway University of London. Ha pubblicato numerosi saggi e articoli sulla letteratura italiana e sull’identità nazionale. Collabora con alias, supplemento culturale de il manifesto.

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