In tempo di cartoni ultratecnologici, i registi francesi Aubier e Patar sanno ancora giocare con i pupazzi e divertirsi come bambini. In Panico al villaggio riscoprono i piaceri della stop motion e dell'animazione vecchio stile
di Andrea B. Previtera
Eccola! Eccola! E’ l’ondata di ritorno! Lo dicevo che sarebbe arrivata. Quanto, quanto l’avevo attesa. Magari esagero, magari è appena un po’ di spuma, ma a me sembra di scorgerla questa piccola flessione verso il passato dopo la notte degli eccessi. Queste pellicole dense e intime che si fanno strada tra i grandi kolossal centomilionari, questi pezzi di plastica e plastilina che tornano sul grande schermo sgomitando fra i figli di Toy Story.
Allora, dopo Coraline, dopo Fantastic Mister Fox ecco Panico al villaggio. Un altro lungometraggio in stop motion, certamente, ma anche e soprattutto un trionfo ulteriore della semplicità sotto ogni aspetto, purtroppo non esente da alcuni difetti tipici – bisognerà ammettere – del cinemà à la française. Un prodotto d'oltralpe tratto da serie tv franco-belga, la cui logica è quella del pavimento: siamo di nuovo bambini, stesi a pancia in giù sulle piastrelle della cameretta, e da questa premessa in poi ogni cosa è possibile.
Così, i protagonisti della storia sono un indiano, un cowboy, e un cavallo, i cui nomi propri non andranno oltre la descrizione monoverbale dei personaggi. La storia stessa è una non-storia con tutte le connotazioni dell’infanzia, dietro cui più che uno storyboard sembra essere una serie di “facciamo che” tra i due registi Aubier e Patar. Facciamo che Cowboy e Indiano e Cavallo erano amici. Facciamo che Indiano voleva regalare un barbecue a Cavallo. Facciamo che ordinava dei mattoni e poi lo costruivano insieme. Però facciamo che sbagliava e gli portavano mille milioni di milioni di mattoni. Pero poi, facciamo che arrivavano gli alieni.
E’ un film “per i più piccoli”? Dei più piccoli, direi, godibilissimo comunque dagli adulti che sappiano strizzare un occhio alla comicità surreale di Jacques Tati o che abbiano spiato qualche volta dalla porta della cameretta i figli far combattere astronavi contro calciatori, o sposare Barbie con uno stegosauro.
Anche la realizzazione insiste su quest’ottica, dunque non c’è alcuna pretesa di proporzione laddove Cavallo si asciuga la criniera con un phon più grande di lui o Indiano è grande quasi il doppio dell’amico Cowboy – solo perchè così è uscito dalla bustina. E del resto, la maggior parte dei personaggi conserva la basetta di plastica irregolare tipica di quei soldatini in via d’estinzione, le connotazioni facciali sono ridotte al minimo, e tutta l’espressività è costruita con dinamiche motorie.
Eccola, la nota stonata: inizia proprio da una necessità espressiva emotiva in assenza di occhi e bocche, ma anche, come dicevamo in principio, dalla matrice francese nella produzione. Si agitano, Cowboy, Indiano e i loro amici. Si agitano moltissimo, scomposti e frenetici. Parlano senza sosta e strillano e si sovrappongono: basta un quarto dei settantacinque minuti di proiezione perchè il fiato si faccia un po’ corto e venga voglia più di un cachet che di popcorn.
Ma è un pegno che tutto sommato si può pagare. Perchè quella di Panico al villaggio è una semplicità salvifica e ispirante per tutti gli animatori, anche quelli che non abbiano alle spalle la lezione di Tim Burton o Wes Anderson, il marchio made in USA o i budget di Hollywood. Siamo in sala, lo schermo è grande, grandissimo - e ridiamo con dei pezzetti di plastica che somigliano ad un cavallo e ad un indiano: c’è qualcosa di giusto in tutto questo, non lo sentite anche voi?
Tags: 3d, Andrea B. Previtera, animazione, bambini, cartoni, cartoni animati, Francese, Jacques Tati, Panico nel villaggio, Stephane Aubier, stop motion, tim burton, Toy Story, Vincent Patar, Wes Anderson,
Panico al Villaggio, di Stéphane Aubier e Vincent Patar, Francia 2010, 75 m.
Commenti
E poi i pavimenti in estate
E poi i pavimenti in estate sono belli freschi in genere. Di freschezza non ve n'è molta in giro, sole o non sole, ombrello o non ombrello. Questo filmotto fresco lo era senza dubbio.
Ma che bella invenzione,il
Ma che bella invenzione,il film da pavimento.Basta questo punto prospettico ad altezza di bambino per fare di una recensione qualche cosa che vale la pena di essere letto..
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