Basta dirlo con un fiore?
I fatti: Silvio Berlusconi racconta una delle sue più stupide barzellette (ma non ne siamo certi, in genere potrebbero essere ancora più stupide) e, per una volta, viene ripreso da una videocamera. Il filmato fa il giro di Youtube a distanza di tempo e scoppia un putiferio. Perché la barzelletta si conclude con una parola simile a “orchidea” per assonanza, ma che in realtà, all’orecchio cattolico, è la peggior bestemmia che si possa pronunciare. Quella rivolta direttamente a Dio.
Una bestemmia "insopportabile", come scrive subito il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, mentre l’Osservatore Romano cita un appello "tristemente attuale" del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, che proprio la settimana prima ha dichiarato: "Il linguaggio in uso nella scena pubblica deve essere confacente a civiltà ed educazione. Fa malinconia l’illusione di risultare spiritosi o più ’incisivi’, quando a patire le conseguenze è tutto un costume generale".
A placare gli animi ci pensa monsignor Rino Fisichella, già rettore dell’Università Lateranense e neo presidente del Pontificio Consiglio per la Rievangelizzazione dell’Occidente, che fa ricorso alla logica e dice: "Bisogna sempre in questi momenti saper contestualizzare le cose". Vale a dire che una bestemmia può essere considerata tale o meno a seconda del contesto in cui viene pronunciata. Dunque, se è calata in un contesto blasfemo che denoti una certa intenzionalità è bestemmia, altrimenti, se pronunciata in un contesto scherzoso, porgendola magari insieme a dei fiori (le rose e le margherite della barzelletta) non lo è.
Ed è qui che la logica del prelato si incarta, perché se la bestemmia non è la parola in sé, il “contesto” è Berlusconi stesso ed è proprio questo contesto che la rende bestemmia. La vera bestemmia è un capo di governo che bestemmia.
Immaginazione al potere
Berlusconi sostiene che siamo tutti spiati, che i cittadini italiani sono i più spiati del mondo e più del 95% dei cittadini la pensa come lui e solo una piccola lobby di giornalisti e di giudici la pensa diversamente.
L'argomentazione fa leva sui peggiori istinti dell'italiano medio: una gran parte dei nostri concittadini sente di avere qualche cosa di cui vergognarsi, dai piccoli sotterfugi aziendali ai piccoli tradimenti coniugali, e il pericolo di essere intercettati telefonicamente viene agitato come il peggiore degli spauracchi. Per alimentare questa paura Berlusconi si propone come difensore del loro diritto di non essere spiati quando telefonano. Dunque sarebbe in atto un complotto per sputtanare gli italiani e per avvalorare questa idea Berlusconi rincara la dose: "Ci sono in Italia circa 150 mila telefoni sotto controllo: considerando 50 persone per ogni telefono, vengono fuori così 7 milioni e mezzo di persone che possono essere ascoltate”.
Anche se queste cifre e il modo di manipolarle sono state smentite da Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, sull'argomento purtroppo si è sentita soltanto la voce di Berlusconi a reti unificate. La proiezione matematica che permette di passare da 150 mila telefoni controllati a 7 milioni e mezzo di persone è scorretta perché presume che una magistratura impazzita indaghi automaticamente anche su chi, dall'altra parte del filo del telefono, scambi chiacchiere con l'intercettato. Anzi, presume che a desiderare di potersi impicciare dei fatti privati della gente ci sia una "piccola lobby" costituita dai giornalisti e dai magistrati: i primi per poter pubblicare tutti i fatti nostri e i secondi per punire anche le nostre minime malefatte portandoci in tribunale e perseguitandoci.
I tipi di argomentazione fin qui analizzati non rientrano nemmeno nei canoni classici delle fallacie e degli errori logici: assomigliano al modo di ragionare di un bambino.
Quel che è giusto è giusto
Chi dovrebbe educare il senso di giustizia degli italiani, oltre ai genitori? Chi dovrebbe contribuire a mantenerlo, dando l’esempio per primo? Le istituzioni. E, con esse, i massimi livelli del Governo, cioè chi amministra super partes il bene comune. Qui non si tratta solo del “bene comune” inteso in senso materiale, ma anche dell’etica comune, cioè di un bene immateriale che costituisce l’anima di una nazione civile. E chi dovrebbe essere più degli altri al di sopra delle parti oltre, naturalmente, al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio? Il Ministro della Giustizia, ovviamente. Ogni sua esternazione dovrebbe fornire un esempio di imparzialità e di limpida coscienza etica. Facciamo un esempio.
Alla notizia dell'apertura dell'indagine su Berlusconi per una intercettazione di altre persone indagate in altri crimini Alfano ha annunciato: "Oggi stesso invierò gli ispettori a Trani per andare a verificare cosa è successo. Ovviamente senza interferire nell’indagine, potere che non mi compete, ma solo per capire come possano verificarsi queste gravi patologie" (Ansa, 13 marzo, ore 12:38). Se Alfano si riferiva al caso su cui stanno indagando, è quasi pleonastico: capire come possano verificarsi queste gravi “patologie” è esattamente quello che già stanno facendo i magistrati per conto loro e l’intervento del Ministro è perlomeno superfluo (tuttavia, interpretare il crimine come “patologia”, ci lascia un po’ perplessi). Ma evidentemente l’affermazione riguardava i magistrati. E Alfano ha utilizzato un argumentum ad hominem circostanziale, ovvero un modello di argomentazione in cui anziché controbattere ad un’affermazione, ci si sofferma sul rapporto fra chi la fa e le circostanze in cui si trova. Lo schema è il seguente: La persona A fa l'affermazione X; La persona B attacca le circostanze in cui si trova A; Quindi l’affermazione X è falsa. Come dire: "I magistrati di Trani stanno per affermare qualcosa su Berlusconi. Ma poiché i magistrati agiscono all’interno di una patologia (visto che sono spesso protagonisti di gravi episodi patologici) quello che affermeranno alla fine non può essere vero" (Alfano non ha ancora detto questo ma ha posto le premesse per poterlo dire).
Il fatto che una persona abbia una motivazione particolare per fare un’affermazione non rende falsa l’affermazione, nemmeno se questa motivazione è una presunta patologia. Perfino un pazzo può dire la verità. Ma qui addirittura nessuno ha ancora affermato nulla! Il giudizio del Ministro arriva prima che la verifica dell’operato dei magistrati porti a stabilire se abbiano agito in modo “patologico” o meno. A questo punto sorge spontanea la domanda: la giustizia può essere sostenuta con argomentazioni non giuste e addirittura preventivamente? Di certo, anticipare con un giudizio di valore quello che sarà l’esito dell’inchiesta non incide minimamente sull’inchiesta stessa, ma serve a orientare l’opinione pubblica abituandola fin d’ora a considerare “patologico” quello che è semplicemente un legittimo approfondimento. Che fa parte del mestiere dei magistrati. Ma bisogna riconoscere che anche il ministro Alfano fa bene il suo mestiere, sostenendo la posizione del Premier per il quale tutti i magistrati sarebbero ingiustamente (o “patologicamente”) contro di lui. Quel che è giusto è giusto.
Promesse ambigue
Con una certa ciclicità si ripetono le promesse del governo a proposito delle tasse. Tutto è iniziato quando, dai suoi poster elettorali, Berlusconi promise: “Meno tasse per tutti”. Da allora molte tasse sono passate e ben poco è diminuito. Nemmeno le promesse di diminuire le tasse. Prodi non fece eccezione, promise anche lui ma, dopo aver tagliato il cuneo fiscale alle imprese, finì con l’aumentare le tasse per i cittadini. Dal suo primo mandato al secondo, Berlusconi ha continuato a promettere la diminuzione delle tasse mentre le aliquote Irpef da tre, erano diventate quattro. E oggi? Niente da fare, le tasse non si riesce ancora a diminuirle. Il fatto stesso che lo si continui a promettere significa che in effetti non sono mai state abbassate. Infine, Berlusconi ha dirottato il discorso sulla semplificazione del sistema delle aliquote promettendo che verranno ridotte a due (una del 23% e una del 33%).
Dunque, “Prometto che diminuiremo le tasse” può essere letto anche come: “Prometto che diminuiremo complessivamente il numero delle tasse”. Si tratta di una anfibolia, un modo di costruire un enunciato che gioca su un’ambiguità grammaticale o che, come in questo caso, consente una doppia interpretazione. Ecco un celebre esempio: Creso era indeciso se muovere guerra a Ciro, re dei persiani. Perciò si rivolse all'oracolo di Delfi, dal quale ebbe questo responso: “Se Creso muove guerra a Ciro, distruggerà un grande regno”. Creso interpretò il responso come favorevole alla sua impresa: avrebbe distrutto il grande regno dei persiani. Invece distrusse il suo regno. Un giorno gli annales di questa nostra oscura epoca potrebbero riportare: Berlusconi era indeciso se muovere guerra alle tasse, regine del Debito Pubblico. Perciò si rivolse a Tremonti, dal quale ebbe questo responso: “Se Berlusconi muove guerra alle tasse, distruggerà un grande regno”. Berlusconi interpretò il responso come favorevole alla sua impresa (anche in senso stretto): avrebbe distrutto il grande regno del Debito Pubblico. Invece, distrusse l'Italia. Questo è il rischio che comporta maneggiare incautamente un’anfibolia. A questo punto, è meglio che Berlusconi non mantenga le sue promesse, per carità.
A rigor di logica
Questa volta recensiamo un botta e risposta. Anzi, due risposte ad una botta. La botta l’ha data il pentito Spatuzza facendo il nome di Berlusconi in aula al maxiprocesso e gettando in cattiva luce l’onorabilità del presidente del Consiglio. La prima risposta è stata quella del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, secondo cui “il fatto che la mafia utilizzi i suoi esponenti per rilasciare dichiarazioni contro il presidente del Consiglio” è “del tutto logico”.