C'era una volta una città governata dai suoi abitanti, dove cultura e impegno sociale andavano a braccetto. Nel loro documentario Alessandro Rossi e Michele Mellara vanno alla ricerca di uno spirito sorto nel dopoguerra e che oggi sembra così lontano
di Alessandra Testa
Che pena la politica di oggi se paragonata a quella vissuta nell’ex città “rossa” per antonomasia e rappresentata nel bellissimo documentario di Michele Mellara e Alessandro Rossi, La febbre del fare. Bologna 1945-1980. Dalla liberazione alla lettura di Carmelo Bene dedicata “ai feriti” della strage del 2 agosto, il film ripercorre, attraverso immagini d’archivio e la voce dei protagonisti, la storia di un mito: quella Bologna che fu modello e simbolo della sinistra italiana, ma dove oggi nemmeno la Festa de l’Unità è più affollata come un tempo.
“La febbre del fare” sono le parole con cui Giuseppe Dozza, il sindaco più amato (qui sopra insieme a Palmiro Togliatti), indicò il clima che si respirava sotto le Due Torri negli anni della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale e che animò i bolognesi per almeno i trent’anni successivi. Quello che si realizzò a Bologna e in Emilia fu “un prospero paradosso”, di un comunismo che seppe dialogare persino con la Chiesa (alla maniera di Giovannino Guareschi, come se Peppone e don Camillo fossero davvero sindaco e parroco), ma che cominciò irrimediabilmente a sfibrarsi con i tumulti degli anni Settanta e il cambio di prospettiva delle nuove generazioni.
Fra il sogno del primo cittadino Guido Fanti di decentrare l’Università, fino alle lezioni di Gianni Celati al Dams, passando per il movimento studentesco, i carri armati di Francesco Cossiga e la morte di Francesco Lorusso, ci si trova a riscoprire un mondo che, con i suoi difetti ma soprattutto i suoi pregi, sembra ormai lontano anni luce.
Il docufilm, prodotto dalla Cineteca di Bologna e da Mammut Film con il sostegno dell’Archivio storico del Comune, è una visione da non perdere. Soprattutto di questi tempi in cui la politica ha perso il suo significato più vero, quello etimologico di “amministrazione della città”, e il senso civico ha smarrito la sua declinazione collettiva.
Mentre le telecamere dei due registi zoomano sulla partecipazione dei bolognesi alla cosa pubblica, sulla civiltà con cui ricordavano i propri caduti, sulle manifestazioni delle donne lavoratrici per la conquista dei primi asili nido e sulle discussioni che portarono a piani regolatori sapienti per la realizzazione di centri urbani a misura di uomo e di natura, la musica sottolinea la nascita di un uomo nuovo: sveglio, idealista, solidale. E così, sulle note di Bandiera rossa o L’internazionale, non resta che constatare come quel sogno di città perfetta, che affondava le sue radici in una letterale “febbre del fare” e che avrebbe potuto essere esportato anche altrove, sia progressivamente svanito. A dispetto della storia, di una medaglia d’oro per la Resistenza e delle piazze della lotta sempre piene.
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La febbre del fare, di Alessandro Rossi e Michele Mellara, Cineteca di Bologna 2010, euro 14.90 (dvd+libro)
Info: www.mammutfilm.it
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