In The we way talk il fisarmonicista Simone Zanchini e il chitarrista Ratko Zjaca guidano un complesso jazz cosmopolita, combattuto fra tradizione e sperimentazione. Tutti musicisti di grande qualità, ma in quanto a fantasia e inventiva, il nostro connazionale parla un'altra lingua
di Marco Buttafuoco
Better alone, recitava il titolo di un disco che il fisarmonicista Simone Zanchini fece uscire nel 2009. Un cd in solitaria con lo stralunato supporto di effetti elettronici e di una segreteria telefonica. Non era un atteggiamento narcisistico, il suo, ma la consapevolezza che certi sentieri accidentati della sperimentazione è bene percorrerli in solitudine. In questo The way we talk, l’esploratore di nuovi suoni, lo spericolato pioniere dell’incontro fra fisa e musica contemporanea, torna su sentieri più conosciuti: quelli del mainstream jazzistico, del be bop in particolare, stile nel quale Zanchini affonda le radici della sua musica.
Ad affiancarlo un terzetto cosmopolita composto dal chitarrista Ratko Zjaca, che è anche co-titolare del progetto e autore di molti brani, dal bassista macedone Martin Giaconovski e dal batterista statunitense Adam Nussembaum. Tre partner di buon valore ma che non riescono a far decollare il progetto.
In effetti Zanchini (che per inciso è anche solista della Scala di Milano) pare essere sempre un passo più avanti dei suoi partner. Il suo accordion è in grado di suggerire sempre strade nuove e inaspettate. In un pezzo totalmente improvvisato come Morgagni Est riesce ad evocare, grazie anche ad un uso delizioso dell’ elettronica, scenari musicali ricchi di fascino e di originalità (fra gli ingredienti echi di didjeridoo e remote assonanze d’Oriente) mentre i tre comprimari, pur bravissimi e piacevoli da ascoltare, rimangono su territori più convenzionali. Ne La stanza di Arturo, brano che respira atmosfere di un jazz più tradizionale, la differenza fra gli assoli della fisarmonica - ventate di freschezza e fantasia - e quelli della chitarra spiegano più che a sufficienza l’assunto del recensore.
Elemento di maggiore interesse in questo disco è la convivenza fra due anime del jazz contemporaneo. Quella neo (o "post" che dir si voglia) bop, legata alla grande tradizione d’oltreoceano, e quella più libera, aperta e sperimentale su cui lavorano molti musicisti per lo più europei. L'incontro talora dà luogo ad episodi molto belli come il già citato Morgagni Est o la quinta traccia Frida is Vanished, senza riuscire, però a trovare una sintesi complessiva convincente. The way we talk è un disco sicuramente ben suonato, interessante, ma in cui l'unico segno davvero indelebile lo lascia Zanchini. Better Alone.
Tags: be bop, Better Alone, fisarmonica, jazz, Marco Buttafuoco, Ratko Zjaca, recensione, Scala di Milano, Simone Zanchini, The way we talk,
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