Claudio Cojaniz, pianista jazz e monkiano di razza, seduto di fronte all'antico ed imponente strumento a canne di Santa Maria dei Frari a Venezia vi improvvisa una suite intitolata Shadows of Colours, che gradualmente trascolora fino ad arrivare al.."giorno perfetto" di Lou Reed
di Marco Buttafuoco
Il jazz, per la sua storia e la sua natura, è anche musica rituale ed il rito è sempre, in qualche maniera evocazione e memoria. Data questa premessa proviamo ad immaginare un improvvisatore innamorato di Thelonius Monk e “dipendente “ dal blues come Claudio Cojaniz davanti ad un organo; non un hammond, o una tastiera elettronica, ma un vero organo da chiesa, strumento principe di altre e diversissime ritualità. Per di più un organo importante, quello della Chiesa de’Frari a Venezia, uno strumento costruito nel 1927/28 e considerato uno dei capolavori dell’arte organaria. L’evento risale al maggio del 2010 ed è stato recentemente e meritoriamente riversato su disco, quasi interamente live.
"L'organo - dice il pianista friulano- è lo strumento più all'opposto del pianoforte che io conosca: mentre col piano tutto viene deciso al momento dal pianista e dal suo corpo(quindi nel divenire) con l'organo timbrica e dinamica la si devono decidere a priori, ovvero tutta la sequenza in questione la si imposta organizzando le canne con i tiranti, che molto difficilmente possono essere adoperati nel corso dell'esecuzione. Per cui viene esaltato l'aspetto armonico e melodico, mentre il colore del tutto lo si decide prima".
Non a caso la suite documentata in questo disco è divisa in 8 movimenti ognuno dei quali ha il nome di un colore. Ogni colore ha una sua valenza simbolica. Il viaggio comincia con il verde come classico simbolo della speranza, passa per il nero che è il centro della coscienza e della danza, per arrivare all’indaco, segno di sensibilità estrema e di pienezza espressiva.
Va detto subito che Cojaniz sfugge a qualsiasi forma di cerebralità, pur non potendo utilizzare, come detto, la dimensione corporea dell’improvvisazione. Un rapporto fisico con lo strumento permane: "amo anche l'organo come strumento - dice - suonarlo è innanzitutto un'esperienza sensuale, eccitante. Sentire l'aria che fuoriesce dalle canne è meraviglioso". Il risultato finale è una musica ora tellurica, ora gioiosa e leggera. A tratti sembra evocare, per citare Rilke, “la cupa potenza di Dio”. Altre volte diventa, come dice il Cantico dei Cantici, “temibile come un esercito schierato a battaglia”; in altri ancora fa danzare angeli moreschi su antiche scale musicali andaluse. L’approccio di Cojaniz allo strumento è spesso sulfureo, ma fa risuonare anche la gioiosa memoria della musica europea fra il XVI ed il XVII secolo e quella della musica del novecento da Olivier Messiaen a Bruno Maderna, da Duke Ellington a Thelonius Monk, oltre che, naturalmente, tutta la tradizione dei corali luterani che l’artista friulano ha sempre amato.
una già insolita sessione che si chiude in maniera sorprendente con l’esecuzione di un brano di Lou Reed, A pefect Day, che già il pianista aveva utilizzato in uno dei suoi migliori cd di piano solo (Intermission Riff del 2007). Nessuna rilettura particolare in questo caso. Solo un piccolo omaggio alla figlia che si sarebbe sposata qualche giorno dopo. Dischi tanto originali sono merce rara, in questi tempi di contaminazioni di maniera e di buon mercato, di noiosi patchworks musicali. Shadows of colours è un disco assolutamente originale e coinvolgente.
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Claudio Cojaniz all'Organo della Chiesa di S. Maria de’ Frari a Venezia, Shadows of colours, Claigola Records, 2013
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