Quando la banda della Regia Marina suonava il ragtime e i futuristi anticipavano il free degli anni '60. In Sincopato Tricolore, manuale breve ma non superficiale, Guido Michelone spiega come fu che i ritmi afroamericani conquistarono il paese dei melodrammi
di Marco Buttafuoco
Per una singolare coincidenza il mercato librario propone in queste settimane due uscite di opere sullo stesso argomento ma fra loro diversissime. Al monumentale lavoro di Adriano Mazzoletti sul Jazz italiano, un libro di più di 600 pagine edito da EDT, si affianca questo agilissimo, smilzo Sincopato tricolore di Guido Michelone. Un’operina perfetta per chi voglia farsi un quadro d’insieme rapido e allo stesso tempo non superficiale sulla storia del jazz in Italia fino al 1960. Michelone non è nuovo a questi lavori divulgativi. Da pochi mesi è uscito anche una sua densissima Breve storia della musica jazz, destinata anch’essa ai neofiti.
La brevità, la concisione, la capacità di condensare in poche pagine decenni di storia della musica e del costume italiano è ovviamente la forza di Sincopato Tricolore. Le prime pagine che raccontano l’ Italietta dei primi due decenni del secolo scorso, anni “densi di pruriginosa curiosità verso i suoni esotici” sono addirittura suggestive. Raccontano come in un Italia tradizionalista e legata al melodramma ed alla grande canzone napoletana si facessero strada gli echi di quella strana musica che veniva da oltreoceano.
Vi si parla fra l’altro di Filippo Tommaso Marinetti e di Enrico Caruso, dei primi spettacoli di vaudeville negro (allora si diceva così), di Josephine Baker e di una mitica incisione di ragtime americano effettuata dalla banda della Regia Marina Italiana, di balli esotici e di un libro del 1916, L’arte dei rumori, scritto dal futurista Luigi Russolo che sembra prevedere e teorizzare il free jazz degli anni 60. Interessanti anche le annotazioni sull’ atteggiamento sprezzante che quasi tutti i musicisti accademici italiani (con l’ eccezione di Alfredo Casella) mostravano nei confronti del jazz.
Tutto il libro è comunque documentato e piacevole. A chiusura tre belle interviste a protagonisti della scena jazzistica come Lino Patruno, Giorgio Gaslini e Franco Cerri che raccontano splendidamente il clima di curiosità ed entusiasmo che si creò dopo la seconda guerra mondiale intorno alla musica afro-americana.
Certo nel lodevolissimo sforzo di sintetizzare la materia Michelone trascura qualche particolare non secondario. Ad esempio è vero che il fascismo osteggiò il jazz e che, soprattutto negli anni '40, questa musica costituiva una valvola di sfogo contro il plumbeo clima che la guerra aveva imposto al paese, ma è anche vero che, nonostante tutto, si era diffusa trasversalmente ai vari ambienti. Il figlio stesso di Mussolini, Romano, ne fece la sua professione. Ed è anche vero che a sinistra il jazz fu visto come musica decadente e pericolosa. Gramsci dedicò parole appassionate nel definirla un pericolo per la cultura occidentale. E’ che quell’ arte, improvvisata e selvaggia, andava contro tutte le concezioni idealistiche che dominavano la cultura italiana di quei decenni.
Ciò nonostante Sincopato tricolore susciterà nel lettore interessato la voglia di andare ad approfondire questo ed altri temi e fornisce una bibliografia molto accurata e vasta. L’ intento dichiarato dall’ autore di scrivere un "utile manualetto" è, quindi, ben riuscito.
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Guido Michelone, Sincopato Tricolore, Effequ edizioni 2010, P. 128, euro 7.50

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