Corpi maschili scultorei secondo l'ideale formale classico ma dotati di una vitalità rivoluzionaria figlia degli anni Settanta. Questo ritraggono le 178 fotografie di Robert Mapplethorpe portate a Milano dall'omonima fondazione di New York, a celebrare uno dei grandi ingegni del ventesimo secolo
di Anna Colafiglio
Autoritratto, 1975 ©Robert Mapplethorpe Foundation
Direttamente dalla Robert Mapplethorpe Foundation di New York, arriva a Milano la prima, grande retrospettiva su uno degli artisti più celebri e rappresentativi del ventesimo secolo. 178 opere fotografiche, perfettamente rispondenti a un approccio alla materia che, emblematicamente, l'artista riassume dichiarando: "se fossi nato cento o duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore, ma la fotografia è un mezzo molto veloce per vedere e per fare scultura".
Sin dalle prime Polaroid di inizio anni Settanta, che aprono la mostra, appare evidente il particolarissimo sguardo che anima i soggetti ritratti da Mapplethorpe: alla tensione verso il rigore formale, verso un ideale classico di perfezione anatomico-scultorea dei corpi rappresentati, fa da contraltare un anelito vitale che è completamente figlio del suo tempo. L'America in cui l'artista si muove è, dopotutto, quella rivoluzionaria degli anni Settanta e Ottanta, periodo di grandi tensioni sociali e sconvolgimenti individuali, culla di nuove arti visive e performative che sanno di Pop, New Dada e Body Art.
L'arte di Mapplethorpe è un coacervo di perfetta contraddizione: lo sguardo retrospettivo verso un ideale classico di bellezza, con la compostezza formale che ne consegue, si affianca alla sconcertante immediatezza dei soggetti rappresentati. Questo aspetto costituisce il fulcro dell'arte di Robert Mapplethorpe, ed è rintracciabile in ogni sua opera: le sette sezioni in cui è divisa la mostra, ben mettono in luce questo elemento di continuità.
Lo si riscontra nelle prime Polaroid e negli autoritratti, che sembrano far riferimento a modelli cinematografici senza tempo, mantenendo la loro aura anche quando, la consunzione portata dalla malattia, segna visibilmente il volto dell'artista; nelle autorappresentazioni en travesti, che si collocano sulla scia di Marcel Duchamp e degli esperimenti che Andy Warhol e Christopher Makos stanno effettuando negli stessi anni; nelle dettagliatissime e sconcertanti celebrazioni del corpo maschile, con il loro erotismo provocante, sublimato nella purezza della plasticità formale; nei ritratti di artisti e personaggi noti (tra i quali troviamo una Cindy Sherman sorprendentemente al naturale) e in quelli, commoventi, dei bambini: piccoli putti dal retrogusto rinascimentale, ma anche efebi classici che ricordano il Tadzio di Death in Venice. (a sinistra Derrick Cross, 1983)
Si giunge, così, ai numerosi ritratti di Patti Smith, compagna d'arte e di vita, per poi imbattersi nella serie di scatti su Lisa Lyon, una delle prime body builder, il cui vigore corporeo richiama una dimensione schiettamente androginica. Infine, le splendide nature morte, che ci appaiono in realtà vive, palpitanti e fortemente erotizzate (come non pensare, guardando i Due tulipani, alla celebre animazione che Gerald Scarfe aveva creato per The Wall?).
I soggetti ritratti da Mapplethorpe sono collocati in ambientazioni neutre e asettiche, nella cornice di un tempo vago e sostanzialmente inesistente; nell'atemporalità sospesa di un modello classico, che il volatile attimo di uno scatto riesce a riportare alla vita.
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Robert Mapplethorpe, Fondazione Forma per la Fotografia, Piazza Tito Lucrezio Caro, Milano
Fino a: 9 aprile 2012
Ingresso: 7.50 euro, ridotto 6.
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 20, giovedì e venerdì fino alle 22; chiuso il lunedì.
Sito: www.formafoto.it
La Fondazione Robert Mapplethorpe: partner della mostra, è stata fondata nel 1988 dallo stesso artista per promuovere la fotografia, supportare gli spazi che espongono arte fotografica e finanziare la ricerca scientifica nella lotta contro l'Aids (l'artista morirà nel 1989 per questa malattia).
Il giudizio: siamo in bilico fra i due e i tre soli; non esistendo le mezze misure, arrotondiamo per difetto, considerando la mancata adozione dei vetri antiriflesso.
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