La mostra del MamBO, Lampi di Design, è l'omaggio che Bologna rende al suo geniale cittadino scomparso tre anni fa. Un percorso a tappe tra le creazioni di chi per primo portò l'arte negli spazi domestici e urbani, convinto che la bellezza deve essere per tutti
di Mirko Nottoli
“La produzione è il mezzo di comunicazione più efficace del nostro tempo”. Così scriveva Dino Gavina, imprenditore illuminato che partito da una piccola bottega di tappezzeria è diventato uno dei personaggi chiave del design italiano del Novecento. Dai mobili all’illuminazione all’arredo urbano, era fondamentalmente un’idea di democrazia quello che lo guidava, l’utopia di portare la bellezza ovunque, di farne un bene alla portata di tutti.
“Sappiamo che l’equilibrio psicologico dell’uomo dipende in gran parte dalle influenze dell’ambiente. Chi allora decide per l’urbanistica, l’architettura, i luoghi pubblici deve acquistare consapevolezza”. Con questa missione in testa ha agito, utilizzando e coinvolgendo i migliori artisti sulla piazza. Lucio Fontana, Marcel Duchamp, Man Ray, Sebastian Matta, Meret Oppenheim. Con i fratelli Castiglioni realizza alcune lampade rimaste immortali, rintraccia Marcel Breuer per rimettere in produzione alcuni suoi progetti dei tempi del Bauhaus, tra cui la celebre sedia Wassily (a sinistra); insieme ad Enzo Mari nel 1974 anticipa Ikea ideando una serie di mobili costituiti da semplici kit con tavole di legno e chiodi da assemblare in maniera fai-da- te.
Chiama Carlo Scarpa a progettare il suo negozio, in centro a Bologna, tuttora meta di turisti e studenti d’architettura. Alla metà degli anni ’50 scopre Kazuhide Takahama col quale intraprende un sodalizio che lo porterà nel 1983 ad una delle sue ultime imprese, coronamento e approdo ideale della filosofia sottesa al suo operato, ovvero Paradisoterrestre: iniziativa che investe lo spazio urbano per cui studia un catalogo di arredi per l’esterno ripensati in chiave contemporanea nei materiali, nelle linee e nel gusto. Sono panchine, fioriere, lampioni, cestini, portabiciclette, pensiline degli autobus, le stesse che ancora si possono vedere per le vie di Bologna.
Scomparso nel 2007, oggi Bologna gli dedica una vasta e puntuale retrospettiva che ne ripercorre la straordinaria avventura imprenditoriale e umana. Non facile rendere la varietà di un personaggio così multiforme, figura difficilmente inquadrabile di industriale e artista, di editore e promotore, di innovatore e istigatore di costumi, voce dissonante e anticonformista nel panorama culturale odierno, omologato e omologante. Ma la mostra, curata da Elena Brigi e Daniele Vincenzi ci riesce. Mostra forse “tecnica”, forse per addetti ai lavori, ma doverosa e necessaria.
Si parte da una prima sala dedicata all’attività grafica e di comunicazione, centrale nell’opera di Gavina, per passare attraverso tutte le sue imprese lungo una serie di sale tematiche che rendono conto dello sviluppo cronologico del suo lavoro. Un percorso a tappe, punteggiato dai nomi degli artisti, delle industrie, dei progetti legati al marchio Gavina, dove sono esposti alcuni pezzi simbolo che hanno fatto la storia del design (oltre alla già citata Wassily, la sedia Tripolina, la Digamma, il divano Suzanne, la lampada Arco, Saori, luminoso omaggio di Takahama ai tagli di Fontana): alcuni strafamosi, altri irrimediabilmente datati, con intorno quell’aura futuribile d’antan che oggi fa un po’ tenerezza. (Sotto a destra Les Grands Trans-parents di Man Ray,1938-1971, esposto nella Ultramobile collection)
Ultimamente la piega che aveva preso il mondo dell’arte gli piaceva poco. Nel 2004 quando inaugurò la Galleria Accursio nei vecchi sottopassaggi di piazza Nettuno, lo fece con un’esposizione da lui curata e colse l’occasione al volo: invitò artisti sconosciuti o dimenticati, evitò i nomi più cool, snobbò gallerie e galleristi e, ovviamente, sparò a zero su tutti. Seguirono polemiche. Così scrisse in catalogo: “Da Bologna parte l’idea di reagire a tutto quello che da troppo tempo ci viene presentato inopinatamente come arte: quasi sempre uomini e lavori assurdi contrabbandati come grandi opere contemporanee”.
Eccola l’utopia di Gavina, quella per cui ha lottato fino alla fine, quella per cui non ha mai smesso di inveire, quella per cui cede il suo stabilimento nel 1968, quella che lo porta a fondare il Centro Duchamp, centro senza fini di lucro, di sperimentazione per artisti, designer e ricercatori: l’utopia di portare la bellezza ovunque, affrancata dal mercato, dall’avidità, da loschi giochi di potere.
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Dino Gavina. Lampi di Design, MamBO, via Don Minzoni 14, Bologna
Fino al: 12 dicembre 2010
Orari: dal martedì al venerdì dalle 10 alle 18. giovedì dalle 10.00 alle 22.00. sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00, chiuso il lunedì
Ingresso: 6 euro, ridotto 4 euro
Curatori: Elena Brigi e Daniele Vincenzi
Catalogo: Atlante Gavina, Corraini Edizioni, 2010, pp.109, € 18
Info: tel. 051/6496611, www.mambo-bologna.org
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