La Galleria Accademia di Torino espone ventidue dei suoi quadri, realizzati fra gli anni cinquanta e i novanta dal fondatore del movimento Forma. Come il grande scrittore, usò il metodo combinatorio e la razionalità geometrica per arrivare all'irrazionale
di Giulia Stok
Origami, navicelle spaziali, pterodattili, progetti di palazzi futuribili: questo è quel che suggeriscono al profano le tele di Achille Perilli. Sono forme geometriche che si sviluppano in assonometrie impossibili, stagliate su fondi monocromatici, spesso blu o rossi, che tagliano i volumi nello spazio (a fianco La teoria dei confitalia, 1985).
Nato nel 1927, Perilli ha attraversato il Novecento insieme ai più grandi protagonisti dell’arte contemporanea: allievo di Lionello Venturi, ha lavorato con Sottsass, Dorazio e Lucio Fontana, è stato autore, critico, scenografo e persino attore. Nel 1947, nel manifesto del movimento Forma, dichiarava che “la pittura astratta è malata di espressionismo”, e riconosceva nel formalismo “l’unico mezzo per sottrarci a influenze decadenti, psicologiche” e nella forma “il mezzo e il fine” dell’arte.
Nelle ventidue opere esposte ancora per qualche giorno alla Galleria Accademia di Torino si vede bene la compiuta evoluzione di questa teoria, che sfocia, negli anni Sessanta, in architetture eteree che usano tasselli geometrici razionali per arrivare all’irrazionale. Teoria e tecnica che, come nota Giuseppe Zaccaria in un’interessante appendice al catalogo della mostra, sono contigue a quelle seguite negli stessi anni da Italo Calvino nei suoi romanzi Il castello dei destini incrociati e Se una notte d’inverno un viaggiatore. Benché il metodo creativo di Perilli consista nel partire da un punto e farlo crescere indefinitamente, mentre quello di Calvino parta dalla struttura complessiva per svolgerla nei singoli nuclei narrativi, il macrometodo utilizzato da entrambi è quello combinatorio.
E, in letteratura come in arte, la conclusione è un avvertimento: la forma pura è l’unico modo di controllare l’informe del reale, ma anch’essa porta inevitabilmente a un ritorno del caso. Così le assonometrie sbagliate diventano draghi volanti e l’Orlando Furioso finisce in un mazzo di tarocchi. E l’opera è salva.
(Si ringrazia Mariotta Mana per la preziosa conversazione da cui è nato l'articolo)
Tags: Achille Perilli, formalismo, Galleria Accademia di Torino, Giulia Stok, italo calvino, Lionello Venturi, lucio Fontana, mostra, recensione,
Achille Perilli. Segno, spazio e forma, Galleria Accademia, via Accademia Albertina 3, Torino
Fino al: 20 novembre
A cura di: Achille Perilli e Luca Varsi
Quando: da martedì a sabato dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19.30
Ingresso: libero
Info: www.galleria-accademia.com, tel. 011/885408
In homepage: Amour bel oiseau, 1992
Commenti
Invia nuovo commento