Il regista di Mare dentro e The others esordisce con il cinema storico: Agorà racconta la vita della filosofa e scienziata di Alessandria d'Egitto, che fu trucidata da fanatici cristiani. Un personaggio di grande fascino, una ricostruzione superficiale
di Marinella Doriguzzi Bozzo
Alejandro Amenábar è regista e sceneggiatore di film diversissimi, come The others e Mare dentro. Senza sollevare la domanda se un autore debba avere o meno una sua riconoscibilità, affrontiamo, o per meglio dire sfioriamo un problema di tipo filologico, riguardante tutte quelle operazioni che ricostruiscono un contesto storico lontano dal nostro.
Antonio che declama “Friends, Romans, countrymen” con l’orologio al polso? Una svista marchiana da barzelletta. Un operatore in jeans che si aggira su di un campo di battaglia ne Il gladiatore? Una negligenza veniale. I kilt indossati in Braveheart? Un ininfluente anacronismo. Il robot Hal 9000 in Odissea nello spazio? Una commovente proiezione poetica, mai avveratasi. Insomma, salvo grossolanità terribili, quello della ricostruzione storica è un campo opinabile, fitto di curiosità che però difficilmente inficiano l’opera, e che si possono notare o meno in funzione della cultura, sempre assolutamente relativa - perchè strettamente contigua all’ignoranza - di ogni spettatore.
E la storia di Ipazia, grande protagonista di Agorà? Non vogliamo nemmeno verificarne la percentuale di arbitrarietà o veridicità, ma certo sembra uno stentato e ostentato temino da terza elementare. Perchè, anche senza scomodare Il mulino di Amleto di Giorgio de Santillana (che ci spiega come i saperi delle epoche molto remote fossero di gran lunga superiori a quelli che oggi ricostruiamo, basandoci su testimonianze incerte e indirette), non si può ridurre una figura storica e il suo sapere leggendario a quattro cordicelle stiracchiate in un catino di sabbia, per spiegare uno stratificato sapere matematico astronomico. O per dare conto di una posizione filosofica che vorrebbe dimostrare come solo la scienza, non potendo credere a prescindere e abbandonarsi ad un atto di fede, rappresenti un modo civile - in quanto laico - di stare al mondo. Mentre le religioni - e qui manca solo l’islamismo - sono viceversa accecate dal bisogno di imporre la propria verità, commettendo ogni forma di esecrabile nefandezza, mescolandosi impropriamente ai temi sociali, politici e civili del potere secolare, come oggi si suol quotidianamente, e ancora impunemente, verificare.
Un’imbarazzante sceneggiatura inserita in un contesto scenico piuttosto pacchiano, che non ha la poeticità né dei rifacimenti storico pauperistici di Pasolini né di quelli commoventemente hollywoodiani, presi di peso dagli arredi degli anni '50. Ma neppure di quelli "spaghetti cacio e pepe" dei nostri Maciste e i sette nani, dove le colonne scagliate rimbalzavano minacciose e strabiche con l’effetto gentilmente distratto della gommapiuma...
La colonna sonora, che incarognisce enfaticamente le scene di massa - fatte di blocchi rigidi sempre uguali - e fa da brusio di sottofondo alle scene tipicamente teatrali dedicate ai soli protagonisti, non dispone di un leit motiv riconoscibile ma resta, forse, una delle cose meno dilettantesche del film. Mentre neanche l’uso di cartigli esplicativi riesce a colmare la goffaggine delle ingenue cesure della narrazione. In cui gli imbarazzatissimi attori, con vistose ferite ricucite alla Frankenstein Junior, sembrano tutte le volte irrompere improvvisamente sul palcoscenico come le comparse che annunciano “Il pranzo è servito” fino ad accontentarsi, man mano che passa il tempo, del proverbialmente sempre più stracco “Pran serv”.
Cosa rimane? La teoricamente accattivante ruffianeria di un personaggio femminile, alto e quasi unico, ma qui dilapidato e lapidato fin dall'inizio; il titolo, che promette a ciascuno di saper di greco, se non di latino, e forse (forse) la scena della premorte finale. Ah, dimenticavamo: le ottime caramelle rabarbaro e lampone avidamente succhiate a titolo consolatorio e il profumo del nostro vicino di gomito: una gentile nuance mediterranea di -diremmo - Eau sauvage di Dior. Tanto, almeno in questo caso, nessuno ci può storicamente smentire.
(su Ipazia, leggi la ricostruzione di Luisa Muraro)
Tags: Agorà, Alejandro Amenàbar, alessandria d'egitto, grecia, ipazia, laicità, mare dentro, Marinella Doriguzzi Bozzo, religione, ricostruzione storica, scienza, The others,
Agorà, di Alejandro Amenábar, Spagna 2009, 128 m.
Commenti
Care Marinella Doriguzzi
Care Marinella Doriguzzi Bosso e Luisa Muraro, siete per ottusità e violenza intellettuale le degne eredi di Cirillo, il patriarca che scatenò il terrore cristiano ad Alessandria, con uccisioni di massa, distruzioni e persecuzioni di ebrei e pagani. E che grazie a questi notevoli meriti si è guadagnato nel 1882 il titolo di dottore della Chiesa cattolica, così come il ricordo appassionato dell'attuale papa Ratzinger... Grazie di esistere, siete la conferma di quanto marcio c'è nella cultura (?) cattolica.
Gentile Marinella Bozzo, le
Gentile Marinella Bozzo, le invio in lettura una mia recensione sul film Agorà che il GU non ha publicato. Cordiali saluti. " Agora (scritto il 07/03/2010)
Quando arriverà in Italia (se arriverà, vista l’ostilità della chiesa a fare i conti con la storia), Agorà darà luogo alle solite, interminabili discussioni che sono il pane quotidiano dei media italiani, complice un governo paranoico-fascista che in venti anni ha fatto a pezzi e analfabetizzato oltre la metà dei cittadini, usando come armi la strafottenza, il fango mediatico-televisivo e la croce, decaduta a simbolo di ciò che il cives italicus è costretto a sopportare. Del resto, con un papa-pastore-tedesco che alla domanda se suo fratello è stato pedofilo, posta in questi giorni da chi indaga sul lercio abuso in casa-chiesa, se ne è uscito con un niet, nescio, non so nulla di queste cose... Ora, il film di Amenábar, potrà essere (per me lo è) un feuilleton al cui confronto, non dico Fabiola di Blasetti svetta come sublime monumento al kitch-peplum, ma anche film come i due Quo Vadis di DeMille, ma osteggiarne la visione sarebbe una censura ignobile. Mateo Gil, sceneggiatore abituale del regista spagnolo, d’altro canto, va giù pesante con una sceneggiatura approssimativa sulle vicende che portarono alla fine del IV secolo d.C. alla distruzione della biblioteca di Alessandria e alla persecuzione dei cristiani contro gli ebrei. Se e quanto sia veritiera la storia narrata in Agorà, lascio agli storici il compito di commentare e indagare: qui si parla di un film che a mio parere si prende troppo sul serio, narrando fatti che neppure la storiografia più illuminata ha del tutto svelato. È certo che la filosofa neo-platonica Ipazia è esistita (ne fanno menzione Suda, Damascio, che ne descrive la morte orrenda, voluta dal vescovo Cirillo, poi fatto santo della chiesa – niente di nuovo, anche il faccendiere Escrivà è stato santificato qualche anno fa, siamo certi che faranno santo anche il ministro Bondi, ne ha le fattezze paffute). Ipazia, si sa, ma mancano fonti certe fu matematica, filosofo, astronomo valente (una donna di duemila anni che somiglia molto a Margherita Hack è un controsenso oggi che in parlamento stazionano intelligenze come la Gelmini e la Binetti!). Vado a braccio, questo film è per me di scarso interesse estetico e filosofico e mi è piaciuto quanto una puntata di “Ulisse, Il piacere della scoperta” del figlio di Piero Angela, e mi pare di poter affermare che è un brutto film. Brutto come digitalizzazione della città di Alessandria, ricostruita come neppure Vespa fa con l’abituro di Cogne. Brutto perché, privo di verità storica, ambisce a dare lezioni di storia talmente da “Reader’s Digest” che il dotto Gianfranco Ravasi ne farà un boccone succulento di indagine storiografica comme il faut. Brutto perché, bisogna dirlo onestamente, l’accensione anticristiana, pure ammettendo che i fatti narrati siano verosimili, conduce il regista a raffigurare i cristiani come degli invasati (vedi Ammonio, monaco sdentato e fuori di testa). Brutto perché imita il modello hollywoodiano (il film è stato doppiato in lingua inglese per propinarlo ai figli dei Padri Pellegrini che di persecuzioni e uccisioni di indiani sono esperti eredi di Cirillo e non vanno tanto per il sottile in questioni di filologia classica). Brutto perché ha cucito sulla affascinante Rachel Weisz un vestito che poco si addice all’attrice, altrimenti seducente, per farne nientemeno che una vergine martire, attribuendole in dote tre maschi cascamorti, dei quali uno solo pare sia realmente esistito (l’allievo e poi prefetto Oreste), laddove Sinesio è un intruso storico e lo schiavo Davos una pura invenzione mirante a servire un finale, la lapidazione di Ipazia, in cui l’uomo, prima che la filosofa sia uccisa, la soffoca perché quella non debba soffrire (in realtà, è accertato che Ipazia era sola quando fu scorticata viva con i gusci delle ostriche). Brutte le musiche di Dario Marianelli che imperversano con note improbabili, quando da tempo sono a disposizione (vedi Mario Panagua e il suo Ensemble “Musica Antiqua”) trascrizioni di inni e canti coevi; senza dire che l’aulòs non è un doppio piffero come si vede nel film. Alejandro Amenábar, regista altrove sensibile e raffinato (vedi le atmosfere goticheggianti alla Henry James in The Others e il notevole Mare Dentro) prende una cantonata con questo polpettone presentato all'ultimo festival di Cannes. Non so quali pericoli possa rappresentare per i vigilantes del governo in carica o per la pervasiva chiesa ratzingeriana; so quale pericolo possa rappresentare per il cinema l’approssimativo, scadente film di cartone digitale Agorà che ignora la lezione di ‘educazione’ storica, raffinata di Rossellini, Straub-Huillet, Ejzenstejn con un film pretenzioso e ridicolo: le scene con Ipazia che scruta il cielo e calcola e ragiona per oltre due ore se ha ragione Tolomeo o aveva ragione Aristarco, e scopre il movimento eliocentrico, proprio mentre la folla di lapidatori sta varcando la sua abitazione, è un’aberratio degna della Messalina di Alfred Jarry. Con la differenza che il sommo surrealista prendeva per il culo la storia mentre Amenábar prende quello come storia."
Gentile Lorenzo,un primo
Gentile Lorenzo,un primo problema,che riguarda però GU: è per puro caso che leggo la sua recensione,perchè stavo facendo vedere il sito ad un mio amico,e quindi sono tornata indietro di alcuni mesi,mentre il suo invio è recente. Sono sostanzialmente d'accordo sulla prosopopea e la bruttezza del film;semplicemente lo diciamo,credo, in modo diverso.Lei con maggior veemenza,io(forse) con più bon ton,come di fatto si addice alle signorine .Questo,inoltre, temo sia uno dei classici casi in cui si ritiene che basti l'argomento "alto" a generare automaticamente una pellicola di qualità,mentre anche un film sui vampiri puo' essere un bel film.Dipende da come lo si svolge( qui mi rivolgo ancora indirettamente anche all'amico Guido) Non so niente dei criteri che presiedono alla pubblicazione o meno delle recensioni;in questo senso lei dovrebbe rivolgersi alla redazione. Grazie comunque di avermi fatto leggere la sua,che in ogni caso ,almeno sotto questa forma,è riuscita a trovare un suo meritato spazio.Con viva cordialità
@lorenzo tendenzialmente
@lorenzo tendenzialmente pubblichiamo tutte le recensioni inserite dai lettori nell'apposito spazio, tranne che contengano insulti ingiustificati o siano scritte in lingue incomprensibili: non essendo nessuno di questi casi, può essere capitato un problema tecnico nell'inserimento o nella successiva elaborazione da parte dei robot. nessuna censura, e infatti eccola qui la sua recensione, tra l'altro nel luogo tematicamente più appropriato. @marinella riguardo al problema di "tenere d'occhio" gli articoli vecchi per sapere se vengono inseriti commenti nuovi, è un "problema" che non riguarda solo GU ma tutti i siti. da parte nostra stiamo studiando la possibilità di mettere un box in homepage con gli ultimi commenti inseriti. da parte del lettore e/o recensore, è possibile sopperire in modi più o meno artigianali, come ad esempio l'uso dei feed rss, o il semplice tornare sul luogo del delitto...
Gentile redazione, ringrazio
Gentile redazione, ringrazio Marinella Doriguzzi Bozzo e voi per la cortesi risposte: alla prima rispondo che sì, ha ragione, la mia recensione di "Agorà somiglia un po' a un 'corpo a corpo' che a una pacata critica; è il difetto di chi, non essendo del 'mestiere' è spesso sopra le righe nel criticare l''oggetto-film'. Di questo difetto sono ben conscio e avrò cura di usare una scrittura più consona, magari da 'signorina', che non guasterebbe. Alla redazione dico che la mia non era una lamentela, molte mie recensioni sono state pubblicate (anche integralmente) e di ciò non posso che ringraziare. Cordiali saluti. Lorenzo Velle
Gentili Guido e Arlindo,mi
Gentili Guido e Arlindo,mi scuso per aver letto solo oggi i vostri appunti. Direi che il dissenso è alla base di ogni qualsivoglia esercizio critico.Guai se tutti fossimo troppo spesso o anche solo sovente d'accordo.In particolare ,su una testata come questa Sotto un altro profilo,poi,penso che una recensione sia un po' come un oroscopo,che si legge senza crederci mai(spero) fino in fondo.E se il responso ci soddisfa ,bene, ci sentiamo in qualche modo(seppur irrazionalmente) corroborati.In caso contrario,ce lo lasciamo alle spalle con minore o maggiore leggerezza.Ciò premesso,concordo nel considerare l'argomento affascinante e degno di approfondimento.Ma proprio per questo ci saremmo aspettati un trattamento meno da" elementari "e più da "liceo"Sia sui saperi del tempo,che sulla figura eccezionale della protagonista,così come sulla ricostruzione storica al contorno;per non menzionare la credibilità architettonica dell'ambientazione.Ma è "un" parere",che vale per una unità,quella della mia persona.Grazie in ogni caso per l'attenzione.Al prossimo accordo o disaccordo
Ho trovato il film piuttosto
Ho trovato il film piuttosto approssimativo ma, da quando i fratelli Lumiere inventarono il cinematografo, i riferimenti alle fonti sono apparsi raramente quindi mi adeguo... Mi sono domandato anche del perchè sia stato prodotto questo film in questo periodo e cosa ha solleticato l'autore a rinverdire la storia antica di migliaia di anni. Ho ravvisato una certa pochezza nel testo, nella improbabile se non impossibile veridicità di dialoghi e di raffronti ad un epoca così distante nel tempo ma, e soprattutto, dalla nostra cultura tutto per la nostra necessità di trasporre ad un qualcosa di fruibile per il "grande pubblico". Niente invece da dire sulla possibilità che fatti simili al racconto cinematografico si siano verificati, visto che le fonti esistono abbastanza diffusamente. I fatti recenti di pedofilia coperti da silenzio, la strage degli ugonotti, le crociate, i talebani, gli integralismi e i fatti remoti ed alquanto incerti incerti di Ipazia ci potrebbero far pensare che non soltanto i fanatici religiosi siano capaci di misfatti ma che l'uso della religione fa parte di una regola di amministrazione del potere che tutti i potenti hanno usato per garantirsi una rispettabilità anche quando le azioni erano vere e proprie nefandezze, crimini contro la libertà di pensiero, contro il senso di umana compassione per "gli altri" che ogni persona dovrebbe provare indipendentemente dal Dio che crede o che non crede esistere. Il film puo' invitare i poveri di spirito a pensare diversamente... o forse anche solo a pensare... Tentar non nuoce... Quindi un buon voto perchè, altrimenti, cosa dovrei dare a quel nuovo film sui vampiri?
Il giudizio di Marinella
Il giudizio di Marinella Bozzo mi pare molto severo e, tutto sommato, alquanto ingiusto: "Agorà" non sarà un capolavoro (lo era invece, secondo me, "The Others"), ma neppure quella "schifezza" descritta dalla recensitrice: il film è bello, è SANO (anche se i "buoni propositi" contano poco o niente, in una seria valutazione), è avvincente e ci fa pensare... Sarà poco, ma per me è già abbastanza...
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