Visita al nuovo polo di arte contemporanea di Roma, progettato dall'architetto iracheno Zaha Hadid
di Federico Capitoni
Faticoso: pieno di scale, salite e – ovviamente - discese, il nuovo spazio museale di cui si fregerà Roma a partire da maggio del 2010, se visto vuoto, emana le suggestioni di un cantiere, ancorché pulito. È un Maxxi in bianco e nero quello di Zaha Hadid; il colore lo fanno le persone che lo visitano e la vetrata obliqua (anche questa in salita… o in discesa) che proietta la visione sulla via Flaminia, con i suoi palazzi rossi e gialli, con gli alberi e le siepi. E si scorge anche il campanile della chiesa di via Guido Reni, Santa Croce al Flaminio, testimone di una città pronta ad accogliere l’alieno arrivato da altrove - dal futuro - dentro al proprio passato, che a Roma coincide spesso col presente. Nessuna zona della capitale, con le strade dedicate ai grandi artisti (Vignola, Donatello, Tiepolo), poteva meglio essere messa alla prova come grembo per l’integrazione del progetto dell’archistar irachena. È importante che un elemento così estraneo venga a impiantarsi in un organismo così antico. Roma sicuramente non lo rigetterà.
A un’architettura studiata nei minimi dettagli però corrispondono purtroppo dei particolari curiosamente trascurati come i residui di silicone nelle giunture dei vetri. Visto l’uso intenzionale di materiali economici come il cemento armato, bisogna pensare a una grossolanità voluta? Le luci sinuose sono speculari al percorso del visitatore, lo guidano e lo spiano ma poi si perdono, come interrotte; gli spazi, irregolari e su tre livelli, lo privano di punti di riferimento. Il che è anche un bene: il concetto alla base del disegno è certamente quello del continuum. E dunque quello di uno spazio dai confini indefiniti, nel quale allestire le mostre sarà arduo compito.
Zaha Hadid, forse in un eccesso di autoreferenzialità, ha prodotto un edificio interessante - bello - ma autosufficiente. Allestire una mostra alla Galleria Borghese è sempre difficile per via di una ridondanza estetica; si finisce per mettere i quadri nei quadri. Il Maxxi da solo è già un’opera d’arte complessa. Ci si chiede allora quanto abbia l’artista tenuto in considerazione la funzionalità delle sale: le forme irregolari, le pareti inclinate e curve obbligheranno di certo a una fruizione diversa, moderna, sorpassando finalmente la dimensione dello spettatore frontale. E ben venga, l’assalto al nuovo è nel carattere del Maxxi! Però studiare esposizioni alternative a quelle a cui siamo abituati rischia di diventare non una possibilità, bensì un laccio.
Ossia: se non si trovano modi diversi di allestire mostre-spettacolo degne delle coreografie di Sasha Waltz (che con il suo Dialogue 09 ha inaugurato il museo), lo spazio – anche quando pieno – torna a essere vuoto. Staremo a vedere.
Tags: arte contemporanea, cantiere, Federico Capitoni, maxxi, musei, roma, sasha waltz, zaha hadid,
MAXXI, MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO, ROMA
Dove: via Guido Reni, 4, Roma
Info: http://www.maxxi.beniculturali.it
Commenti
E che dire del pavimento,
E che dire del pavimento, delicatissimo e coperto immediatamente da strisciate di scarpe al minimo contatto?
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