ARTE
Autoritratto dell'artista da morto
In mostra a Parigi James Ensor, il pittore belga noto per le maschere e i teschi. Fu solitario e sprezzante: ad impressionismo, fauvismo e cubismo preferiva se stesso
di Silvia Conti
James Ensor, Squelette peintre (1895)
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, mentre in Francia gli impressionisti inseguono le trasformazioni della natura, i neoimpressionisti scompongono i colori, i fauve rompono con le prospettive e i cubisti smembrano la realtà, in Belgio un pittore pensa soltanto a se stesso: è James Ensor. “Ho anticipato tutti i movimenti moderni”, dice di sé l’artista, che nel 1887 si dipinge come un Cristo in croce attorniato dai suoi detrattori: un simbolismo non propriamente velato della considerazione che egli aveva del suo genio e degli altri artisti, del pubblico e della critica che, di volta in volta, gli riservavano giudizi negativi, rifiuti e indifferenza.
La parabola di quest’uomo tormentato ed egotista rivive oggi a Parigi: il Musée d’Orsay ospita l’ampia retrospettiva James Ensor che, organizzata in quattro sezioni, raccoglie il lavoro del pittore belga in ordine cronologico, dedicando spazio ai suoi numerosi disegni ed esponendo anche alcuni oggetti che l’artista conservava nello studio.
Sebbene manchi all’appello l’opera più nota, L’entrée du Christe à Bruxelles, parte della collezione del Getty Museum di Los Angeles, la selezione dei dipinti è convincente e molto chiara nel mostrare l’evoluzione e le ossessioni di un outsider. Nelle sale di Orsay, si comincia con le opere giovanili del pittore (tutte ambientate in scenari domestici), si prosegue con la sua scoperta della luce e della tensione mistica, e si continua con il macabro dei tanti dipinti che mettono in scena composizioni di scheletri e maschere. (Di fianco, Les Masques scandalisés, 1883). La mostra si chiude con la consistente produzione di autoritratti del pittore belga, nato nel 1860 e morto sessant’anni fa.
Osteggiato e rifiutato dai Salon ufficiali di Francia e Belgio per tutta la sua giovinezza, Ensor finisce per essere escluso anche dal circolo di avanguardisti belgi da lui fondato, il Groupe des XX, di cui chiaramente punta a essere il caposcuola. Le prime esposizioni organizzate dal gruppo accolgono opere di Van Gogh, Gauguin, Whistler e Sargent, dimostrando la lungimiranza dei XX. Ma persino in questo clima, capace di incubare e cogliere alcune tra le tendenze più innovative del periodo, non c’è spazio per Ensor: L’entrée du Christe a Bruxelles, ambientato nella Bruxelles contemporanea, è ritenuto troppo caustico e visionario dagli altri membri del Groupe. Ensor è messo alla porta.
In tutta la carriera, l’isolamento di James Ensor non è soltanto artistico e culturale, è anche geografico e personale. Fatta eccezione che brevi soggiorni a Parigi, Londra e Amsterdam, e per un biennio in cui è uno studente insofferente all’Accademia di Bruxelles, il pittore trascorre tutta l’esistenza nella sua città natale, Ostende, sulla costa fiamminga, all’epoca stazione balneare piuttosto in voga. Oltre a qualche bagnante che ritrae con intento derisorio, nella cittadina Ensor non trova modelli e soggetti al di fuori della stretta cerchia famigliare; dipinge il padre e la sorella, ma l’interesse per i modelli viventi si esaurisce presto.
Il pittore va in cerca di soggetti interessanti nel negozio della madre e della nonna, commercianti di chincaglierie, cineserie e maschere: in un primo momento, questi oggetti vengono ritratti in nature morte; dopo il 1887, le maschere diventano una delle ossessioni tematiche di Ensor, insieme agli scheletri e al proprio volto. (Qui sopra: La mort et les masques, 1897). In questa penuria di soggetti degni di considerazione, l’artista sceglie ancora una volta di dedicarsi a sé. "Sarebbe sorprendente se Ensor, il quale ama più di ogni altra cosa al mondo la sua arte e di conseguenza mette su un piedistallo colui che ne è l'artefice, in altre parole se stesso, non avesse moltiplicato all'infinito la propria effigie", scrive il poeta e critico Emile Verhaeren nel 1908. Sono 112 gli autoritratti che il pittore realizza dall’adolescenza alla morte: oltre che nelle vesti di Cristo, Ensor si dipinge nello studio, allo specchio, con la Vergine Maria, circondato da maschere, con il viso ridotto a teschio; instancabile, per i suoi autoritratti utilizza il disegno, l’incisione, l’olio su tela.
Tra umorismo nero e visionarietà, tra intento satirico e autoesaltazione, per tutta la seconda metà della sua vita Ensor non si sforza più di prestare attenzione o di dipingere altri uomini. Si dedica soltanto alla sua effigie e a figure antropomorfe immaginarie e deformi, divertendosi in quell’antico gioco caricaturale che, esasperando i tratti, esalta caratteristiche e atteggiamenti in modo surreale, con la doppia finalità della critica e dello scherno: tanto nei confronti dei concittadini e dei contemporanei quanto nei riguardi dell’intera condizione umana. (Qui, Mon portrait aux masques, 1937)
Il tanto perseguito obiettivo del successo è raggiunto da Ensor negli anni Venti quando, in un crescendo di onori, la critica benedice l’opera del belga e la città di Ostende gli dedica un monumento e una retrospettiva. Ottenuto finalmente il riconoscimento bramato per decenni, Ensor si dedica alla musica: a chi si complimenta per la sua pittura, adesso Ensor risponde di aver preso una strada sbagliata, spiega che la sua vera vocazione è la composizione. Dopo la città natale, anche Parigi si accorge di lui: il 1932 è l’anno di una retrospettiva al Jeu de Paume; nel 1990, a quarant’anni dalla morte, la sua pittura è nuovamente esaltata dal Petit Palais. Con ogni probabilità, Ensor non si direbbe soddisfatto della mostra in corso a Orsay: è allestita nel museo universalmente noto come tempio di quegli impressionisti che l’artista definiva “millantatori della pittura en plein air” e cui riteneva la propria opera nettamente superiore. E poi, che cosa può importargli di una mostra personale: lui è un musicista.
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26 Gennaio 2010
Oggetto recensito:
JAMES ENSOR, Musée d’Orsay, 62 rue de Lille, Parigi
Fino al: 4 febbraio 2010
Info: www.musee-orsay.fr, 0033/(0)140494814
giudizio:
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