Il grande chitarrista jazz Bill Frisell firma con Sign of life il suo atto d'amore verso la tradizione musicale degli Stati Uniti: sonorità ispirate alle cultura country come alla colta contemporanea. Solo le sei corde, accompagnate da un trio d'archi e quasi senza effetti elettronici
di Marco Buttafuoco
L’America non è mai stata innocente, ha scritto James Ellroy: "Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio d’andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto… La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito”. Forse solo la musica può ridarci il senso dell’ antico mito del sogno americano. Lo pensa sicuramente il chitarrista Bill Frisell che da tempo medita sul grande continente, lo sogna, lo canta. L’ultimo episodio di questa ricerca, Sign of life, è fatto d
Immune dalle tentazioni di riunire i Led Zeppelin, il vecchio leone del rock rispolvera il marchio Band of Joy, il nome del suo gruppo degli esordi. E parte alla riscoperta di brani folk, country e indie: leggero e senza nostalgie
di Simone Dotto
Un giorno arriverà il diluvio a fare giustizia di questi tempi musicali strabici: dei ventenni che rovistano di nascosto tra le collezioni di dischi dei genitori e delle vecchie glorie strizzate in completi di pelle acquistati cinquanta primavere prima. Un giorno arriverà il diluvio a fare piazza pulita, e quando comincerà a piovere qualcuno correrà a salvare Robert Plant. Graziato, per non averci mai fatto pesare i suoi sessant’anni e il suo luminoso passato. Per non esser mai caduto nella tentazione di qualche squallido revival e – soprattutto –
Esce Ain’t No Grave, l’ultima opera del folksinger americano scomparso nel 2003. Un disco in cui c'è il senso della fine imminente, ma anche un'intensa vitalità. E un pizzico di ironia
di Simone Dotto
La tentazione, quando si ha un’opera postuma fra le mani, è più o meno sempre la stessa: cercare di farne un testamento. Spulciarne i solchi alla ricerca delle fatidiche ultime parole da riportare nei memoriali, concludere la trama con un finale degno, trovare la giusta battuta d’uscita. Un giochetto, lugubre quanto basta, che l’ultima fatica di Johnny Cash rende sin troppo facile: Ain’t no grave inizia a seminare riferimenti espliciti alla morte fin dal ritornello del suo primo brano, il blues che gli dà il titolo: “Ain’t no grave can h