La morte di Bin Laden li ha stanati un'altra volta. I dietrologi affollano la rete, sempre pronti a questionare sulle versioni ufficiali e a costruire verità alternative spesso ricche di fantasia. Eppure, che mondo sarebbe senza questi professionisti del dubbio?
di Marco D'Egidio
Come molte morti “eccellenti”, come ogni evento di risonanza mondiale che coinvolga Poteri, anche l’uccisione di Osama Bin Laden ad opera di un commando statunitense è diventata immediatamente terreno fertile per le tesi complottiste. A queste, la stragrande maggioranza di chi crede alla versione di Obama reagisce con insofferenza, con sufficienza più o meno ironica quando non con scherno.
Il tasso di fantasia di alcune teorie in effetti farebbe esplodere ogni termometro del buon senso. Ma anche il solo dubitare che le cose si siano svolte così come dice Washington, il solo avanzare delle obiezioni alla verità ufficiale basta per essere arruolati nell’esercito dei ribelli d’opinione e per essere descritti dai media come un’anomalia. Si è pure portati a ritenere che da questo corpo di disallineati scappi, uno su un milione, l’anarchico o il sovversivo. Il che basta a dipingere l’intera schiera dei complottisti con tinte fosche.
Proviamo allora un ragionamento per assurdo. A immaginare, cioè, il contrario, che non esista uomo al mondo toccato dal dubbio riguardo alla morte di Bin Laden o a qualsiasi altra verità di Stato. Un mondo in cui tutti credono sempre ai governi, non per imposizione dell’autorità o per ipocrisia, ma per propria intima convinzione e in libertà. Uno scenario simile sarebbe possibile solo a due condizioni, nessuna delle quali è minimamente desiderabile: che lo Stato sia totalmente trasparente e che il cittadino non si ponga comunque troppe domande.
Ma anche tenendoci lo Stato (democratico) che fortunatamente abbiamo, e i cittadini che fortunatamente siamo, ci piacerebbe davvero vivere in una società che ripone piena e indiscriminata fiducia nell’Autorità? Pensiamoci bene. Tutti noi, nella nostra vita quotidiana, esercitiamo spesso il dubbio. Può capitare in famiglia, con gli amici, al lavoro. I retropensieri ci accompagnano in molte decisioni, il sospetto che qualcuno a noi molto vicino non sia in buona fede può addirittura portare buon consiglio (“a pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci s’azzecca”, sosteneva, guarda caso, un politico).
Se non ci fidiamo di uomini in carne e ossa con cui abbiamo confidenza, perché mai dovremmo fidarci sempre dello Stato? La Storia ci impedisce di pensare che lo Stato abbia sempre ragione, e ci suggerisce che non sempre è in buona fede (Colin Powell insegna). Ecco perché diffidare della verità ufficiale: quando non è un esercizio sistematico (quale solo può dirsi quello inquinato dall’ideologia), è del tutto normale e può essere perfino considerato un segno di buona salute, su piccola scala, del cittadino, e su grande scala, della democrazia. Dell’equilibrio fra domanda (del cittadino sospettoso) e offerta (dello Stato sospettato) di trasparenza, godiamo tutti. E forse dobbiamo in parte ringraziare proprio i tanto maltrattati complottisti.
Tags: Bin laden, complottisti, dietrologia, dubbio, libera opinione, libertà di parola, Marco D'Egidio, recensione,
IL COMPLOTTISTA
Commenti
L' articolo è condivisibile,
L' articolo è condivisibile, ma occorrono alcune precisazioni. Il complottismo non viene deriso quando pone delle domande, ma quando ignora, tralascia e censura le risposte date (l' 11/9 ne è un caso esemplare, visto che bufale smascherate anni fa continuano a circolare). Non viene ritenuto paranoico quando fa notare quelle che sembrano delle incongruenze, ma quando bolla come cospiratori tutti quelli che ne danno spiegazione. E non bisogna dimenticare che nessun cospirazionista, pur accusando altre persone (centinaia, migliaia e finanche milioni) di crimini efferati, ha mai portato in tribunale alcuna prova di ciò che sostiene: questa è diffamazione, è una violazione del principale diritto umano (ognuno è innocente fino a prova contraria).
Caro D'Egidio, condivido in
Caro D'Egidio, condivido in larga parte le sue affermazioni, ma la sua chiusa un po' troppo polite chiude sul più bello la porta sul vero interrogativo e si arresta, per così dire, sull'orlo del precipizio: la definitiva sanzione che in questo mondo, e più che mai in questo mondo di oggi, l'equilibrio di cui lei parla, se mai c'è stato in passato da qualche parte, è una generosa illusione. Tra domanda inesausta e insufficiente offerta di trasparenza, non c'è il godimento della democrazia, c'è il vuoto in cui si ritrova Robert Redford nell'ultima impressionante sequenza de I tre giorni del condor. Che cosa è vero? Che cosa è falso? Chi lo decide? La verità ci è potenzialmente inconoscibile. Colpa e merito a un tempo del potere che troppo spesso mente e di chi, complottista per professione o smascheratore di veri complotti, a torto o, peggio ancora, a ragione lo sbugiarda. E così oggi siamo tutti più critici, per fortuna; il concetto della falsificabilità del senso comune è entrato nel nostro dna... ma le stesse prove che dovrebbero formare la nostra opinione, che dovrebbero aiutarci a capire chi mente e chi no e perché, intanto sono diventate di per sé infinitamente riproducibili, photoshoppabili, falsificabili, confutabili - e questo di pari passo, paradossalmente, con l'abbondanza stessa di fonti e prove. C'è una sola via d'uscita, il nostro buon senso, personale e collettivo; ma tutto ciò assomiglia sempre più a un disperato solipsismo del povero cittadino, sballottato tra dubbie verità ufficiali e molte altre, altrettanto o più plausibili, verità alternative.
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