Prima o poi doveva succedere. In qualità di "sito che recensisce tutto" non potevamo esimerci dal mettere nel mirino anche il nostro stesso "mestiere", quello del recensore. Lo facciamo cercando ci capire quanto sia cambiato e quanto ancora debba cambiare il ruolo di chi giudica le arti
di Marinella Doriguzzi Bozzo
Quando ci chiedono cosa ne pensiamo del tale o della talaltra, difficilmente rispondiamo limitandoci a descriverne il colore del vestito o degli occhi. Salvo identificarli come persone "strane" (un'abdicazione che non vuol dire assolutamente niente) in genere proviamo ad abbozzare un tentativo di interpretazione dei soggetti in questione. Invece, per quanto riguarda in particolare i libri e i film, che pure sono anche loro degli organismi viventi che spesso addirittura ci sopravvivono, il discorso torna al colore del vestito o degli occhi. Nel senso che con frequenza sempre più dilagante ci si limita al riassunto dei fatti narrati o filmati.
Ora, è assolutamente vero che un'opera ha al suo centro un qualsivoglia argomento, cui è bene accennare, possibilmente senza spiattellare tutto nei minimi dettagli, fino addirittura quasi a spingersi alla rivelazione dell'assassino. Ma è anche vero che chi concepisce un'opera, più o meno consciamente o programmaticamente si preoccupa di esporre e vestire i fatti secondo multiple angolazioni. Da qualsiasi parte cominci o finisca, un autore sa che deve dare una struttura alla narrazione, articolandola al suo interno secondo sequenze espressive univoche o variabili, ricorrendo alla descrizione, al dialogo, alle argomentazioni/riflessioni a margine... Lo stesso si preoccupa di fare per i personaggi, alcuni centrali, altri marginali, secondo diversi ruoli o funzioni: protagonisti, antagonisti, di supporto. Inoltre, gli piaccia o no, imprime al testo sia una dimensione spaziale che una scelta temporale, usando o mescolando anche diverse tecniche espressive, per non parlare del linguaggio o dello stile in termini di lessico, di forma, di registro. E si potrebbe continuare a lungo aggiungendo i concetti di genere, di messaggio, di intenzione, di confronto, di interdisciplinarità.
Ma questa non può né vuole essere una sprovveduta lezione, bensì una constatazione indolenzita. Ci si chiede: che cosa aggiunge a priori in specie di suggerimento o indirizzo una esegesi meramente descrittiva degli eventi? Come può corredare a posteriori i pensieri, le emozioni, la comprensione di un lettore o di uno spettatore un testo critico che si limita più o meno a constatare quello che gli utenti hanno già perfettamente individuato per conto loro, disponendo di cinque sensi?
Certo, la velocità della rete può contribuire allo scadimento, avendo come alibi il consumo immediato e vorace, che poi finisce con la sintesi di un pollice alzato o abbassato, spesso equivalenti ad uno scambio di pance e non di cervelli, dove il gradimento o la condanna, essendo inevitabilmente soggettivi - e non motivati - lasciano il tempo che trovano. Ma lo stesso fenomeno sta colpendo anche la carta stampata, in cui i critici di mestiere vanno scomparendo. Sostituiti da individui anche dotatissimi, che probabilmente hanno il superficiale pregio di "non intendersene" in termini specialistici (o almeno di lunga dimestichezza con la materia) e quindi di essere in questo senso più vicini allo spettatore medio. Che temiamo cominci a volersi confondere con mediocre. Con il risultato che tutto più o meno si limita ai fatti, alle stelle, alle palle, al Mi piace o Non mi piace.
Anche a prescindere da qualsiasi corruzione del giudizio in funzione di un mercato che tratta e imbonisce gli individui come meri consumatori persino in tema di cultura o di svago culturale, si ha la sensazione che si stia progressivamente abdicando a due fondamentali - e sempre alterne - modalità di porsi degli individui, basate di volta in volta tanto sullo sforzo di insegnare o spiegare come di apprendere, in qualunque campo. Con il risultato dell'appannarsi del concetto di competenza, che, guarda caso, ha la stessa radice del verbo competere. E non sembri un salto logico la constatazione che oggi il nostro paese si colloca agli ultimi posti e con l'acqua alla gola; molteplici sono le cause. Una fra tutte, però, crediamo sia da ascriversi al venir meno dell'educazione a riflettere secondo filtri critici, la cui assenza ha viceversa tollerato situazioni altrove e altrimenti impensabili.
In estrema sintesi, siamo dell'avviso che non si possa pensare ciò che non si sa. E che meno sappiamo meno pensiamo, abdicando così sia alla virtute che alla conoscenza, in funzione della via più facile o meno impegnativa. Avendo nel contempo sempre meno coscienza - ci troviamo nella società del "libero ego" - di diventare non-soggetti di fatto eterodiretti, spesso da personaggi peggiori di noi. E questo ha a che vedere anche con la critica letteraria e cinematografica.
Leggermente diverso sarebbe il discorso su quella artistica e musicale, che, anche se del tutto in apparenza, esigono strumentazioni più 'tecniche'. Secondo un vecchio vizio italico per cui le materie presunte umanistiche sono approcciabili da tutti, mentre quelle scientifiche - o presunte tali - no. Ma questo sarebbe un altro discorso. Anzi, è lo stesso discorso, ma declinato su fronti diversi.
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LA CRITICA
Commenti
Commento con piacere questo
Commento con piacere questo articolo che filosoficamente va ben al di fuori degli argomenti trattati, ma è bensì una vera e propria critica allo strumento e al metodo. Aggiungo inoltre che contemporaneamente alla crescita di spettatori dotti e commentatori spietati, in senso ironico, dovrebbe aumentare anche la capacità degli individui di discernere. Risultato: teoria della "sovrainformazione", interlocutore disorientato ed infine la cosa peggiore impulsività che richiude e riapre il ciclo.
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