Sogno di una notte di mezz'estate/2: la commedia di Shakespeare è ora in tournée con due nuovi allestimenti, nati da diverse traduzioni. Qui Massimiliano Civica gioca a contrapporre linguaggi e registri interpretativi
di Sergio Buttiglieri
Nel 2008 fu Massimiliano Civica a vincere il premio Ubu per la miglior regia dell’anno con un indimenticabile, asciutto quanto denso, Mercante di Venezia, benché Ronconi avesse diretto lo stesso spettacolo.
Quest’anno il giovane regista, fra le menti più fertili e interessanti del nuovo teatro italiano, ha portato in scena Un sogno della notte nell'estate, ennesima intelligente rilettura di un altro celeberrimo lavoro di Shakespeare. Rilettura che, frutto di una specifica nuova traduzione, ci mostra fin dal titolo un' inedita interpretazione di quella commedia che eravamo abituati a chiamare Sogno di una notte di mezza estate (un po’ come è recentemente capitato con La Montagna Magica che ha sostituito, nella nuova traduzione di Renata Colorni, la mitica Montagna Incantata di Thomas Mann, a cui tutti eravamo affezionati).
Ci aspettavamo la consueta ieratica immobilità dei suoi attori, alla quale ci aveva abituato fin dai tempi di Grand Guignol e de La Parigina, esemplari operazioni teatrali in cui Civica operava una cerebrale sottrazione: faceva stare i suoi personaggi immobili, algidi, impassibili, con le braccia stese, lo sguardo fisso, la dizione prosciugata di emozioni. Il suo teatro sa rifuggire dai rassicuranti codici linguistici con cui normalmente conviviamo, per farci meglio intuire altre realtà.
Questa volta invece Civica ha giocato con le polisemie del testo shakespeariano: da un lato il registro aulico, recitato da attori tutti vestiti di bianco, Teseo e Ippolita, Ermia, Lisandro, Demetrio ed Elena, Oberon e Titania, dalla gestualità controllata, impercettibile e codificata, come se fosse presa da illustrazioni ottocentesche; dall’altro i personaggi “bassi”, coloratissimi sconclusionati artigiani impegnati nella messinscena di un improbabile spettacolo che dovrà allietare le nozze dei nobili, che attorcigliano significati e gestualità riportando in vita tutta la potenza linguistica di Shakespeare. Da un lato gesti ieratici e posture convenzionali, come quella delle due coppie assopite in un sonno simbolico (restituitoci con un semplice trattenersi immobili, semi inginocchiati al centro della scena, che rimanda alle pose ingessate delle figure che popolavano i dipinti del nostro trecento, mutuate a loro volta dal teatro medievale), dall’altro l’affannarsi dei personaggi che sono fatti della sostanza dei sogni e che sperano di poter fare teatro davanti a quel potere che dovrebbe essere la loro dura realtà.
Che poi è anche la nostra, intessuta di canzoni di Modugno o di odiosi capireparto legnosi e insopportabili, come il sergente tratto di peso dal Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. E così siamo solidali con l’artigiano che dovrebbe interpretare il leone, anche se da lui non sentiremo che timidi miagolii, del resto coerenti con quella sua mise da studente assonnato e fuoricorso. E troviamo irresistibile il suo compare con il gel sui capelli, il completo grigio troppo grande e le mani che continuamente risciacquano il viso in una virtuale bacinella per passare da un personaggio immaginario all’altro. Per non parlare di quell’altro, vestito di rosa con i palloncini, che si fa chiamare Riccardo Scamarcio, e delle scene corali che richiamano, il più inverecondamente possibile, la gestualità operistica ottocentesca, e insieme la più recente frenesia da Febbre del sabato sera. Il regista contamina i generi con inaspettati linguaggi da ventriloqui e giochi da classico illusionista. Proprio per far emergere l’essenza “di questo ridicolo dramma che racconta la storia di due amanti finita in tragedia”.
Pur facendoci divertire come da tempo non succedeva a teatro, Civica, memore di Apuleio come delle Ricerche Filosofiche, infila nello spettacolo una serie di riflessioni alla Wittgenstein sul linguaggio e su ciò che rappresenta, o che può rappresentare: basta condividerne le convenzioni, ed ecco l’uomo può interpretare il muro e lo spiraglio da cui si parleranno gli innamorati, un muro che ci evoca, nonostante tutto, sole sabbia e sudore; ed ecco l’uomo che, a dispetto di ogni verosimiglianza, farà il leone, proprio perché è un attore che per statuto rappresenta qualcos’altro da se. Perché, sembra dirci Shakespeare assieme al divertito Civica, tutti dobbiamo essere qualcosa d’altro nella vita.
In fondo, ci ricordano i due furbacchioni masticatori di parole, il pazzo, l’innamorato e il drammaturgo vedono allo stesso modo deformato dall’immaginazione. E Civica si diverte a citare Shakespeare dentro Shakespeare: “un muro che cammina” dicono ad un certo punto gli spettatori, e tanto ci ricorda “il bosco che cammina” di Macbeth.
E noi, un po’ come Teseo e Ippolita, rimaniamo in posa senza fiato, come fossimo davanti al fotografo di quelli di un tempo, rapiti dalla perfezione del meccanismo teatrale di questa nuovissima notte di mezza estate.
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un sogno della notte nell'estate, di william shakespeare, regia di massimiliano civica
Visto: al teatro della Tosse di Genova dove, fra l’altro, Massimiliano Civica è stato direttore artistico dal 2007 al 2010
Interpreti: Elena Borgogni, Valentina Curatoli, Nicola Danesi De Luca, Oscar De Summa, Mirko Feliziani, Riccardo Goretti, Armando Iovino, Mauro Pescio, Alfonso Postiglione, Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Diego Sepe, Luca Zacchini
Produzione: Teatro Stabile dell’Umbria – Compagnia il Mercante, Roma Europa Festival 2010
Tournée: fino all’11 gennaio, Terni, teatro Secci; 13-16/1, Cagliari, Teatro Massimo; 18/1, Siena, Teatro dei Rinnovati; 19/1, Arcidosso (Gr), Teatro Comunale; 20/1 Marsciano (Pg), teatro comunale; 21/1, Gualdo Tadino (Pg), Teatro Comunale; 22/1, Umbertide (Pg), Teatro Comunale; 25-30/1, Catania, Teatro Verga; 2-4/2, Crotone, Teatro Apollo; 5-6/2, Rende (Cs), Teatro Comunale; 8-9/2, Lamezia Terme (Cz), Teatro Politeama; 11-12/2, Lecce, Cantieri Koreja; 22/2, Cervignano (Ud), Teatro Pasolini; 24-25/2, Modena, Teatro Storchi
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