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TEATRO

La solitudine di Hitler

L'allucinatorio dittatore portato in scena da Francesco Manetti per la regia di Antonio Latella: A.H. è il ritratto onirico, in forma di monologo, di uno dei più grandi misteri della nostra storia


di Sergio Buttiglieri

Foto di Brunella Giolivo


Uno spettacolo che inesorabilmente ci riduce in pezzi l'anima, esattamente come fa, ad un certo punto, il bravissimo attore Francesco Manetti, solo in scena, strappando minuziosamente in mille pezzetti, in una lenta e calcolata estenuazione del pubblico, il grande foglio bianco su cui aveva appena dipinto il segno grafico Bet, seconda lettera dell'alfabeto ebraico (da questa lettera, lui ci svela, nascerà tutto il mondo), e prima lettera della parola Bereshit, "in principio", prima parola della prima frase della Genesi, "in principio Dio creò", che nel Vangelo di Giovanni diventa "in principio era il Verbo", esplicitando il potere menzognero della parola. Da tale immaginifica analisi terminologica precipitiamo dentro il vortice della menzogna identificata nella figura di Adolf Hitler. 
 
I mille pezzetti, meticolosamente raccolti in un telo nero, saranno poi da lui sparsi addosso alla platea con un gesto di grande efficacia teatrale, così come la finale crocifissione dell'attore ignudo, come in un celebre Tintoretto dell'Accademia, e insieme con il viso cristallizzato nell'Urlo di Munch, avvolto in una nuvola di borotalco magistralmente illuminata per emozionarci ancora... Dopo aver assistito ad una sorta di terrificante abaco enciclopedico dei gesti con cui l'uomo ha, nel corso dei secoli, elaborato il male infliggendo dolore agli altri con i più disparati strumenti di morte. Una interminabile reiterata mimica rappresentazione che ci toglie il fiato per la sua implacabile efficacia nello smascherare la pazzia dell'uomo. 
 
Lui per tutto lo spettacolo ci guarda, con una precisa gestualità attraverso la quale disarticola il suo corpo tra rivoli al contempo comici e tragici: ci osserva mimando un binocolo, ci ascolta come se fosse un vecchio sordo, ci fa la lingua come se fosse un ragazzino, per poi, subito dopo assumere gli atteggiamenti ieratici dell'archetipo del dittatore. Da un apparente nulla, all'improvviso compare la rappresentazione del potere assoluto che subito dopo si liquefarà nella innocua gestualità di un cagnolino, per poi ricomporsi, tramite inquietanti voci fuori campo, nella selezione razziale degli animali, presa a fondamento di quella ariana. Alla fine, per effetto della dicotomia insita nel male, lui si rivela insieme vittima e carnefice che, dopo aver deciso, in accordo con l'etimologia del termine, di "fare a pezzi la sua anima di uomo" e sbarazzarsene con sommo spregio dandola in pasto al "gregge", finisce per perdere dignità, proprio come l'oggetto della sua crudeltà. 
 
La menzogna del corpo di A. H. è espressa con della semplice, spiazzante, Nutella che, stesa con le dita, ricrea sul suo volto il famoso riporto e gli iconici baffetti che tanto assomigliano al grafico punto contenuto nella lettera Bet. Nutella che poi scorrerà sul suo viso come fosse sangue, dopo le viscerali performances di questo arduo nuovo monologo ideato da Antonio Latella e incentrato sulla menzogna del linguaggio. 
 
Si, ad un certo punto ascolteremo gli inni nazisti, i proclami hitleriani, le urla di dolore di chi viene seviziato, ma soprattutto assisteremo allo svelamento della nostra impotenza, alla manipolazione del nostro pensiero, ben esemplificata dal piccolo manichino in primo piano che saprà facilmente muovere come un Pinocchio da manovrare e da imitare come se noi fossimo degli aspiranti mimi. Latella/Manetti è bravissimo nel farci percepire come il muro invisibile su cui appoggia le mani sia impenetrabile, invalicabile, come per noi che, rigidi come il manichino stesso, con le nostre vite mancate, rimaniamo immobili e non andiamo oltre i nostri limiti, che non esistono ma che ci sembrano maledettamente veri solo perché lui ce li fa sembrare veri. La nostra esistenza, in un tempo in cui l'immagine è l'altare su cui tutto si sacrifica, è una grande menzogna che riteniamo vera: smascherarla ci metterebbe in crisi e perciò preferiamo tenercela addosso, come una rassicurante coperta di Linus che di volta in volta assume le sembianze di un uomo che ci salverà da tutti i mali. 
 
A.H. è uno spettacolo che disorienta, che magari lascia aperte tante finestre, ma che sicuramente non lascia uscire leggeri e rilassati. D'altronde, Latella da sempre ama far vibrare di interrogativi il suo pubblico, a volte utilizzando il tormentato teatro di parola di Pasolini, altre la maestria affabulatoria di Shakespeare, oppure sondando le ossessioni di Testori o le fantasticherie di Cervantes, ma sempre indissolubilmente tramite il corpo dei suoi attori che sanno magnificamente restituire in scena tutta la lacerante tensione intellettuale delle sue coraggiose regie.


Tags: A.H., adolf hitler, antonio latella, Federico Bellini, Francesco Manetti, Sergio Buttiglieri,
06 Febbraio 2014

Oggetto recensito:

FEDERICO BELLINI/ANTONIO LATELLA, A.H., REGIA DI ANTONIO LATELLA, CON FRANCESCO MANETTI

Prossimamente: Palermo, Teatro Garibaldi, 8/3 
Il resto della locandinaGraziella Pepe, elementi scenici e costumi; Simone De Angelis, luci; Francesca Giolivo, assistente alla regia; Giuseppe Stellato, fonico; Brunella Giolivo, organizzazione; Michele Mele, management; stabilemobile compagnia Antonio Latella in co-produzione con Centrale Fies, KanterStrasse, Valdarno Culture

Visto: nel delizioso Teatro Francesco di Bartolo a Buti (Pisa), sempre egregiamente diretto da Dario Marconcini

giudizio:



6.03
Media: 6 (2 voti)

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