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LA TV IDEALE/1

I teleducati

Inizia con questo articolo una serie in cui intellettuali e scrittori italiani riflettono sui mali della televisione e su eventuali modi per costruire un'alternativa migliore. Cominciamo con la spietata analisi del romanziere Carlo D'Amicis, autore de La battuta perfetta 


di Carlo D'Amicis

 


Da quando Pinocchio, fino a quel momento refrattario a ogni intento persuasivo, decise di seguire Lucignolo nel Paese dei balocchi, è evidente che niente è più pedagogico dell’antipedagogico. La presunta innocenza della tv commerciale, fondata sulla pretesa di non essere altro che lo specchio della gente, costituisce una tesi così spudoratamente ingenua che solo una società e una cultura maliziose come le nostre possono fare finta di crederci.
 
In altre parole, è grottesco pensare che gli italiani abbiano trasformato la televisione senza riconoscere quanto, in cinquant’anni, la televisione ha trasformato gli italiani. Lo ha fatto intenzionalmente il servizio pubblico, ancora di più (proprio perché rigettano finalità educative) lo hanno fatto i network privati. Detto questo, il problema non è tanto il cambiamento (tutto, in fondo, ci plasma), quanto l’incapacità dimostrata dallo strumento televisivo di "lavorarsi contro".
 
Mi spiego meglio: la tv, per sua natura, è ipnotica, invasiva, omologante. Già per il fatto di essere fruita nell’al di qua del mondo che è la propria casa, la sua funzione è molto più voyeuristica che conoscitiva. Attraverso il suo schermo non guardiamo il mondo, ma lo spiamo. Da quel buco della serratura, ogni visione diventa morbosa. Molto più della qualità dei programmi è la qualità del telespettatore (soggetto non visto che vede) a determinare l’intrinseca mostruosità della tv.
 
Spegnerla? E’ una possibilità. Ma ancora meglio sarebbe decifrarne il pericolo e disinnescarlo. Perché una volta che l’atto di guardare la televisione prevede anche quello di guardare noi stessi che guardiamo la televisione, il rapporto cambia. E allora sì: anche davanti al programma più idiota è possibile un’esperienza. E quindi anche una crescita.
 
tvfamily2.jpgTutto si può ridurre, quindi, nell’esortazione a mantenersi lucidi? A mettere in campo le proprie categorie critiche? Non è così semplice. In primo luogo perché le palestre dell’addestramento critico (dalla scuola alla politica, dalla famiglia alla lettura) sono in crisi, e spesso il teleschermo è il primo e unico portale sul mondo di fronte agli italiani. In secondo luogo perché, per usare il proprio, c’è bisogno di un altro cervello: capace anch’esso, nel momento in cui si esprime, almeno di pensarsi, se non di ri-pensarsi. Ecco, questa è la vera ragione per la quale la tv italiana è diventata insopportabile a ogni italiano intelligente: non perché i programmi siano stupidi, o poco culturali, ma perché assomigliano a versi di animali che non sanno di essere ciò che sono, che esistono in quanto sono. 
 
Un esempio, a proposito di versi e di animali: le ragazze coccodè di Indietro Tutta, alla metà degli anni Ottanta, sapevano di essere stupide, volgari, trash. E il loro saperlo faceva sì che anche lo spettatore, potendo e volendo, lo sapesse. Le veline di oggi, contrariamente a quelle di Arbore, non lo sanno e quindi non possono comunicarlo: lo spettatore è solo, abbandonato a se stesso. Nemmeno una reazione ormonale di fronte alla loro nudità ha più senso. Nessuna relazione è più consentita: allo spettatore non è quasi più neanche consentita l’idea dello spettacolo. Semplicemente, la tv di oggi è. 
 
Questo intendevo quando parlavo dell’incapacità di lavorarsi contro. Ogni identità ha una piega, una tendenza: assecondarla a oltranza vuol dire cristallizzare se stessi fino al punto di perdere ogni alternativa, ogni possibilità di scelta, ogni libertà. Ecco: la televisione, nel perfezionare e nel compiacersi del suo Dna, sembra avere definitivamente smarrito la propria libertà di poter essere altro. E proprio per questo, realizzando compiutamente se stessa, può dirsi morta.
 
Sulle sue ceneri nascono palinsesti di 24 ore dedicati a caccia e pesca, o interamente colonizzati dallo sport: è una tv poco tv, che nega alcuni dei suoi principi fondanti (la condivisione dell’evento, il salotto di casa come villaggio globale). Mentre dall’altra parte, senza nemmeno aver raggiunto la maggiore età, in parte già tramonta, sotto il diluvio di parole senza senso che piovono dai social network, il sogno della rete come luogo del risveglio (auto)critico. E se tornassimo a leggere romanzi?



Tags: Carlo D'Amicis, educazione, intellettuali, pedagogia, programmi, social network, televisione, trasmissioni, tv ideale,
02 Novembre 2010

Oggetto recensito:

la tv ideale 

Altri articoli della serie: 
Tele dico chiare di Michela Murgia
Come TVorrei di Sandra Petrignani
A chi serve la tv di servizio? di Peppino Ortoleva
La rivoluzione non è una prima serata di Antonella Cilento
Fuori Orario di Roberto Alajmo
 
Interventi arrivati in seguito all'appello lanciato anche da questo articolo sul quotidiano online Affaritaliani
Pedagoghi, alla larga dalla mia cara, vecchia, stupida tv di Ottavio Cappellani

giudizio:



7.777062
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Commenti

Meglio leggere romanzi...in

7.02

Meglio leggere romanzi...in tv?

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