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MUSICA - INTERVISTA

Astor Piazzolla raccontato dal suo migliore amico

L'11 marzo il grande innovatore del tango avrebbe compiuto 90 anni. Ripercorriamo la sua storia parlando con il violinista Fernando Suarez Paz, al suo fianco per molti anni. Che ricorda il complicato rapporto che il compositore argentino ebbe con la sua patria, da eretico rivoluzionario a leggenda nazionale


di Marco Buttafuoco


Due anni fa ad Astor Piazzolla fu addirittura intitolato un aeroporto fra i più importanti dell’ Argentina, quello di Mar del Plata. Il compositore, è d’altronde considerato da molti uno dei geni musicali del ‘900 e la sua musica è universalmente apprezzata a qualsiasi latitudine. In realtà la sua fama si diffuse prima all’estero che in patria. In Argentina Piazzolla incontrò nei primi anni della sua carriera non solo incomprensione, ma autentico disprezzo. Di questa storia tumultuosa e della carica innovativa dell’arte dell’autore di Libertango ho parlato con Fernando Suarez Paz, che di Piazzolla fu a lungo violinista ed amico e che recentemente ha suonato da noi con il suo quartetto "italiano". Per iniziare gli ho chiesto di inquadrare l’ ambiente in cui nacque la rivoluzione piazzolliana del tango nuevo.
 
“Il tango, come il jazz, ha origini africane. Lo dice il suono della stessa parola derivata, forse, dal nome di un tamburo, il tambo. Nacque da ritmi che gli schiavi neri portarono dalle loro terre, come il candombe. L’armonia è invece “europea”. Il tango, come tutte le musiche americane, è quindi frutto dell’ incrocio fra culture molto distanti fra loro. Nacque fra gli ultimi due decenni dell’ 800 ed i primi del 900, nella Buenos Aires dei bassifondi. Era una musica allegra, adatta ad un ballo molto sensuale. I versi, quando era cantato, erano pieni di doppi sensi grossolani. Il più famoso di questi brani era El Choclo - in italiano "la pannocchia" - non c’è bisogno di spiegare. Si suonava con chitarre, flauti, violini. 
 
suarez_piazzolla.jpgIl bandoneon venne dopo. Lo portò qualche emigrato tedesco. Lo costruì proprio in Germania un tale Band, che lo progettò come organo portatile da chiesa. Borges definì "vigliacco" quello strumento che uccideva a suo dire lo spirito baldanzoso e sfrontato del tango dei primordi. Per lui il tango era la colonna sonora della sua più o meno immaginata epopea dei “cuchilleros” degli accoltellatori, dei guappi dei quartieri popolari di Baires . Ai suoi tempi la situazione era invece cambiata, come era cambiata la composizione etnica della città. Erano arrivati gli italiani e avevano portato la loro malinconia, il loro senso del tragico. Il tango dagli anni ‘20 in poi è spesso un melodramma condensato in tre minuti.
 
C’è tutta una serie di luoghi comuni nelle parole di quelle vecchie canzoni, che peraltro sono e resteranno parte integrante della cultura e del sentimento degli argentini. Le donne dei tanghi sono quasi immancabilmente madri o amanti, in questo caso più o meno perverse. L’ uomo è quasi sempre uno sconfitto, qualcuno che ha dovuto rinunciare ai suoi sogni, che è stato tradito da una femmina , che ha pensieri di cinismo e rassegnazione. Tanto si radicò questo sentire nell’ anima argentina che il tango divenne sacro, intoccabile. Come il melodramma in Italia“.
 
In quegli anni, illuminati dalla stella di Carlos Gardel, Piazzolla trascorreva la sua infanzia a New York, a Little Italy per l’esattezza. Qui ascoltò il jazz che tanto lo avrebbe influenzato, ma anche le musiche che risuonavano nelle strade ribollenti della metropoli. Libertango (nato come jingle pubblicitario e scritto di malavoglia ) era ispirato al ritmo di un canto di festa ebraico, ascoltato nella sinagoga vicino a casa. Il talento di Piazzolla era direttamente proporzionale alla sua grinta ed alla consapevolezza di sé. Il piccolo Astor andò a rendere omaggio a Carlos Gardel di passaggio a New York e si fece ascoltare da lui come bandoneonista. Aveva cominciato a suonare a otto anni. Studiò poi musica classica con ottimi maestri. Durante un corso di perfezionamento a Parigi, nel 1955, Nadia Boulanger, celebre didatta, gli disse però esplicitamente che la sua strada musicale era già stata tracciata dal destino: “E’ nel tango che vedo il vero Piazzolla , non nelle sue composizioni classiche”. Tornò a Baires, deciso a rinnovare il linguaggio musicale della sua terra.

“Parlava di Tango Nuevo. Voleva innestare le sue tante esperienze sulle radici della tradizione tangueira. Gli stessi ritmi base del tango uscivano alterati e rinnovati dalla sua penna. C’è un pezzo molto celebre e a me molto caro, visto che lo scrisse per me. Si chiama Escualo e oltre ad una scrittura impervia per il solista, con dissonanze molto ardite, ha un ritmo indistinto e strano, tra milonga e candombe (senza essere nessuno dei due), elaborato però anche secondo procedimenti tipici della struttura di Bach.
 
Il jazz gli servì invece per ampliare la sua tavolozza di colori musicali: usò strumenti inconsueti per il tango, come la batteria, il sax, la chitarra elettrica. C’è di più, qualcuno ha detto che il tango è un pensiero triste che si balla. Astor di questo non voleva nemmeno sentire parlare. Voleva che la sua musica fosse solo ascoltata. Voleva anche rinnovare il linguaggio letterario del tango. Nel 1968 incidemmo un disco basato su alcune liriche di Borges e con la collaborazione del poeta stesso. Storie di coltello e coraggio. Le cantava Edmundo Rivero”.
 
Ma Baires a lungo non lo capì, e gli dichiarò guerra. I suoi concerti erano vuoti. Alcuni sputavano al suo passaggio. Un giorno un automobilista affiancò la sua auto ad un semaforo e gli indirizzò un sonoro “Hijo de p…”. Astor non era tipo da accettare insulastorpiazzolla.jpgti e lo prese a pugni. Negli archivi della televisione Argentina è conservata la sequenza di una rissa con un suo detrattore, durante una diretta.
“Ma lui non si arrendeva. Ad un festival di tango in Messico disse di no alla richiesta di un tremebondo organizzatore gli chiedeva di suonare un pezzo di Gardel: “Io suono solo cose mie“. Gli feci notare che il festival era intitolato a Gardel e che era inutile scatenare putiferi anche lontano da Baires. Eppure amava il tango tradizionale. Negli intervalli delle sedute di incisione improvvisavamo io e lui sui brani più noti degli anni 20 e 30. Adorava Gardel come tutti gli argentini. Gardel stesso lo avrebbe voluto con lui, come bandoneonista, in quella tournèè del 1935 in Colombia nella quale trovò la morte, in un incidente aereo. Ma il padre di Astor non permise al figlio quattordicenne di partire“.
 
Poi, lentamente, il vento cambiò. Nel 1969 una sua canzone Balada para un loco furoreggiò in Sudamerica. I versi erano di Horacio Ferrer, con il quale avrebbe composto tanti altri capolavori. L’incontro con il produttore italiano Aldo Pagani gli aprì le porte dell’ Europa e lo rese famoso e ricco. La battaglia era vinta. Nel 1972 si aprirono le porte del Teatro Colon di Baires. Nel 1982 il suo quintetto suona nella capitale argentina con Roberto Goyeneche, cantante-leggenda del tango tradizionale. “Una union de amor, una union nacional”, così un commosso Piazzolla presenta, nel disco, l’evento. 
 
“Era un uomo cocciuto, imprevedibile. La sua musica lo rappresenta perfettamente: turbolento e dolcissimo, iracondo ed a volte infantile. Amava fare scherzi ai colleghi, era capace di svegliarti nel cuore della notte per chiamarti in sala di incisione. Non tutti, fra i tanti che oggi lo reinterpretano, riescono a far rivivere l’emotività debordante che lui sapeva riversare nella sua musica. Ma il suo genio ha trasformato il tango da espressione etnica in linguaggio universale".
 
(intervista originariamente pubblicata su L'Unità del 9 gennaio 2011)



Tags: argentina, Astor Piazzolla, balada por un loco, Carlos Gardel, Fernando Suarez Paz, intervista, Libertango, Marco Buttafuoco, tango,
10 Marzo 2011

Oggetto recensito:

INTERVISTA A FERNANDO SUAREZ PAZ

giudizio:



7.585713
Media: 7.6 (7 voti)

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