L'arpa tradizionale del Mali incontra il violoncello: un'entusiasmante fusione di rock e minimalismo, jazz e musica araba. Perché tutto ha origine in Africa
di Dario De Marco
Nell’immaginario world music contemporaneo la kora – sorta di arpa tipica dell’Africa occidentale – è associata alla tradizione dei cantastorie (griot) di Senegal e Mali, alla riscossa della musica afro-africana, alla contaminazione-ritorno alle radici con il blues.
La registrazione di un album in cui la kora è in duo con un violoncello, allora, rischia di essere accolta con stupore misto a noia, dato anche il titolo abbastanza piatto di Chamber music: uno si aspetta atmosfere intimiste, dialoghi notturni, esili fraseggi, sussurri e silenzi.
Invece il maliano Ballaké Sissoko e il francese Vincent Segal danno vita a un disco entusiasmante, in cui non c’è mai un’ovvietà, mai un attimo di stasi.
I punti di riferimento sono molteplici, e a volte sorprendenti: spesso i pezzi hanno una introduzione suonata da un solo strumento, che per assenza di ritmo ed essenza di melodia ricorda gli analoghi incipit (taqsim) della musica classica araba. Ma anche al di là dell’intro, molti brani (Chamber music, Houdesti) hanno andamento e temi più vicini all’Africa del nord che a quella nera: d’altra parte tra Mali e Maghreb in mezzo c’è “solo” il Sahara...
Poi c’è la black music occidentale: il jazz, il rock, il funk. Spesso nel libero fluire del discorso che sta portando avanti, uno strumento si incaglia in una frase, e inizia a ripeterla sempre uguale, trasformandola in un riff, su cui l’altro strumento improvvisa (Histoire de Molly). E i pezzi basati su tempi medi – ché di lenti o rarefatti non ce ne sono – si alternano a veri e propri momenti swing (come il bel groove di Wo yè n'gnougobine).
In certi casi la ripetizione è strutturata e rigorosa (Oscarine), con esplicito richiamo al minimalismo più intransigente, fatto di piccoli gruppi di note suonati in loop e accavallati. Ma anche qui si può parlare di un ritorno alle origini: Six marimbas, capolavoro di Steve Reich in cui l’ascoltatore sperimenta una sensazione quasi di levitazione, non era forse un chiaro tributo all’Africa nera? E’ l’iterazione ossessiva dei balafon (antenati degli xilofoni) che dalla Tanzania al Gambia conduce alla trance. Come a dire: ragazzi, non si scappa, che siano i riff del rhythm’n’blues o la ciclicità del minimalismo, è qui che tutto ha avuto inizio.
Il tutto è realizzato con abilità strumentale deliziosa: non parliamo di virtuosismo, perché buffonate strappa-applausi non ce ne sono. Segal alterna sul violoncello archetto e pizzico: a volte è un suono classico, maestoso, quasi orchestrale; altre volte più moderno, sincopato, tribale; in un paio di occasioni tira fuori addirittura una voce straziante, una specie di urlo soffocato. E la kora di Sissoko è di multiforme ingegno: ora sembra un’arpa, ora una chitarra, poi un clavicembalo, poi ancora un liuto arabo.
Ma ora basta: passiamo all’ascolto
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BALLAKÉ SISSOKO e VINCENT SEGAL, CHAMBER MUSIC, Ponderosa Music & Art/universal
Gli autori: Sissoko ha suonato con Taj Mahal e il pianista Ludovico Einaudi, Segal è stato accompagnatore, arrangiatore o produttore di Cesaria Evora, Sting, Marianne Faithfull e vari altri
Il cd: esce oggi
Il tour italiano: inizia domani, affrettatevi!
Sabato 6 Febbraio, Venezia, Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista.
Domenica 7 Febbraio, Roma (S. Lorenzo), Dimmi di Sì.
Lunedi 8 Febbraio, Milano, Salumeria della Musica.
Martedi 9 Febbraio, Torino, Folk Club
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