Il premio Nobel francese scrive un libro breve e terribile, che ricorda il filone post-apocalittico anche se parla del passato. Il posto delle balene è un racconto illustrato che si ispira a un evento vero: un massacro di cetacei in una baia della California

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Se si volesse trovare un’anima gemella a Il posto delle balene, ultimo racconto del premio Nobel Le Clézio, sarebbe La strada di Cormac Mc Carthy. Non importa se uno è lungo 500 pagine e l’altro 60 (illustrazioni comprese) non importa se uno è ambientato nel futuro e l’altro nel passato, se in uno le vittime sono gli uomini e nell’altro i cetacei. Entrambi sono post apocalittici, in entrambi si respira l’angoscia della morte del mondo, la nostalgia per un tempo finito, il rimorso per essere arrivati a tanto.
 
Le Clézio racconta una storia vera, quella di un enorme massacro di balene iniziato nel gennaio del 1856 e durato mesi e mesi, in una baia delle Bassa California dove gli animali si riparavano per partorire. Al racconto si alternano due voci narranti, il capitano Melville Scammon (un nome da predestinato) che scoprì il luogo segreto e trasformò la caccia in carneficina, e un mozzo al suo primo incarico.
 
Tornati sul luogo dell’orrore quando, partiti marinai prostitute e commercianti, restano solo le carcasse sulla spiaggia, entrambi sono schiacciati dalla colpa e angosciati dalla consapevolezza di aver compiuto un sacrilegio. Come si può profanare il posto dove nasce la vita? Come si può distruggere un segreto? Come si può uccidere ciò che si ama? si tormenta il capitano.
 
È un racconto quasi infernale, fatto di sangue pece e grasso, cupo e senza speranza. Tanto fa la storia, che le illustrazioni sono poco più che un discreto accompagnamento musicale. A Le Clézio è riuscito un manifesto ecologista più potente di migliaia di saggi.

Oggetto recensito:

JeanMarie Gustave LE CLéZIO, IL POSTO DELLE BALENE, ILLUSTRAZIONI DI ELOAR GUAZZELLI, DONZELLI 2011, P. 60, EURO 13.50

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