In previsione del centocinquantenario, Mario Martone rilegge l'unificazione nazionale in chiave anticelebrativa. Lungo e accurato, è il ritratto di una patria lontana soltanto nel tempo
di Andrea B. Previtera
Ma che vi credete, che sia facile raccontare il Risorgimento? Raccontare, dico io, la storia di quando l’Italia non era ancora neanche Italia, questo mondo rurale di illuminazione a olio, agricoltura, nobiltà e carboneria. Ah, la fa semplice il sussidiario delle scuole elementari: la barbetta di Mazzini, il barbone di Garibaldi, gli occhialetti di Cavour, i cannoni, e poi uno sfondo indistinto di figurine da presepe e cartapesta.
No che non è facile. Noi Credevamo ci prova con lo sbobinamento di tre ore e un quarto di pellicola. Tre ore e tre storie – con la s minuscola ma solo per rispetto della grammatica – le storie di tre amici e confratelli su e giù per la spina dorsale del paese. E un’ottica tutta nuova, anzi, lo smantellamento di un’ottica: via quelle macchine da presa puntate sull’eroismo, giù l’illuminazione, giù tutte le teste.
Dunque ecco l’Italia risorgimentale secondo Mario Martone: un pasticcio di fallimenti e atmosfere cupe di un giorno mai davvero nitido. Un guazzabuglio di piani amatoriali dall’esecuzione affidata a sbruffoni e mitomani. Questo Mazzini fantomatico, irraggiungibile e attraversato da idee febbrili senza una direzione ben determinata. E, a ricordarci che un secolo e mezzo non è certamente sufficiente a modificare la firma di un popolo: i grandi interessi ed il bene comune costantemente minati dalla minutaglia di controversie personali e individualismi dell’ultimo momento.
Con una fotografia e un’attenzione al costume storico magistrali, sulla forza lirica di Verdi, Rossini e Bellini, ecco tutte splendidamente in equilibrio tra ambiguità, violenza e patriottismo le interpretazioni di Toni Servillo (Giuseppe Mazzini), Luca Zingaretti (Francesco Crispi), Luigi Lo Cascio e Valerio Binasco. Con una lode particolare a quest’ultimo, volto meno visto al cinema, ma semplicemente eccezionale, letteralmente posseduto dal personaggio di Angelo. Peccato invece per la singola nota stonata, ma stonata davvero - non potrete non digrignare i denti – della Cristina di Belgioioso secondo Francesca Inaudi: una recitazione teatrale, dozzinale, che stacca dal contesto come un pupo siciliano in un film della Pixar.
La formula del triplice racconto funziona. Separazioni e riunioni, piccole spedizioni avventurose, mentre su ogni cosa grava angosciante il peso della Storia. Anni che scorrono, capelli che ingrigiscono, mentre tutti in sala malcelatamente aspettano con il fiato sospeso la grande battaglia finale, la parentesi eroica che continua ad essere elusa: lo stesso Garibaldi rimarrà un’ombra sulla cima di un colle illuminato dal plenilunio.
Tuttavia, tre ore. Tre ore, in effetti, sono proprio tante, e finiscono inevitabilmente con il diluire la qualità momenti di vero genio registico che preferiamo non disvelare in anticipo. Tre ore che sono tali anche per necessità, e diventano quasi quattro nella versione smembrata in puntate a uso fiction televisiva che andrà in onda sui circuiti Rai. E dunque non possiamo non domandarci: uovo o gallina? Lungometraggio stiracchiato per farne mini serie, o mini serie ricompattata per pigiarla dentro il grande schermo?
Poi, tutto si esaurisce con una strana accelerazione finale. Al traguardo non c’è alcuna gloria, eppure non ne siamo sorpresi. C’è così tanta Italia in questa storia, in questa Storia, in queste storie di centocinquant’anni fa, che quel Parlamento vuoto fatto di eleganti tube ben riposte su uno scaffale non sorprende. La strizzata d’occhio è più che altro un amaro colpetto sulla spalla, e la chiarezza dell’operazione si fa retroattiva: saprete anche voi perché siete andati a vedere Noi credevamo, e ne coglierete infine la giusta intonazione.
Tags: 150 anni, Andrea B. Previtera, Cavour, Francesca Inaudi, Giuseppe Garibaldi, giuseppe mazzini, Mario Martone, Noi credevamo, recensione, risorgimento, toni servillo, unità d'italia, valerio binasco,
Noi credevamo, di Mario Martone, Italia Francia 2010, 170 m.
Commenti
Io trovo che Francesca Inaudi
Io trovo che Francesca Inaudi in queso film sia davvero brava
A Previtera, se scrivi che
A Previtera, se scrivi che Francesca Inaudi è una nota stonata, devi stare messo male d'orecchie...usa Amplifon, fa miracoli!
Sono d'accordo
Sono d'accordo
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