Incrociando due tendenze stagionali, quella dei film tratti da una pièce da un lato e quella della commedia francese dall'altro, Alexandre La Patellière esce nelle sale estive con Cena fra amici, in originale Prènom. Una "tavolata" discute su come battezzare un nascituro, in uno scambio di battute vivace che fugge la trappola del cinema teatrale
di Marinella Doriguzzi Bozzo
Sostiene Ambrose Bierce nel suo Dizionario del diavolo che un bambino viene bagnato durante il battesimo perché il nome gli resti appiccicato. Dopo aver ricevuto l'annuncio di nascita di due nuovi, ignari e italianissimi infanti - rispettivamente Haraan e Bélisse - auspichiamo che l'acqua possa anche sortire il beneficio opposto... In ogni caso, abbiamo deciso di propugnare ad oltranza una legge che consenta agli sfregiati di scegliersi il nome che più loro aggraderà, a partire dal compimento del diciottesimo anno.
Nel contempo, consigliamo agli artefici del "delitto" e agli aspiranti tali di andarsi a vedere questa piacevole commedia francese, il cui titolo originale è appunto Le prénom. Titolo a sua volta scempiato in Cena fra amici, a riecheggiare - in forma di crasi - i successi de La cena dei cretini (1998) e Quasi amici. Nonché a perpetrare il vezzo tutto italico di massacrare i titoli sia dei film che dei libri, con l'unica eccezione, a nostra memoria recente, de Il tempo è un bastardo, affascinante romanzo di Jennifer Egan, la cui versione italiana è per una volta meglio dell'originale (A visit from the goon squad).
Come Carnage (leggi recensione) di Polanski, anche questo film è tratto da un testo teatrale ma, a differenza del primo, se ne avverte venialmente l'estrazione solo a partire dalla metà, attraverso la legnosità un po' enfatica di alcuni dettagli. Per il resto, si tratta di una pièce più affettuosa, meno supponente, meno atteggiata, a cui giovano non solo la maggior simpatia degli interpreti e le minori pretese della regia, ma anche un'atmosfera amichevole, tra il cazzeggio e la perfidia, capace di esorcizzare la monotonia dell'unità di tempo, luogo e azione che viceversa costringevano Carnage ad un tour de force innaturale, secondo una matrice scenica decisamente paludata e superata.
Inoltre, questo è un divertimento genuino, per certi aspetti più sofisticato e per altri molto meno paradigmatico, in quanto privilegia l'osservazione dei costumi piuttosto che l'analisi e i messaggi, e sa giovarsi agilmente di una rodata, trentennale frequentazione di amici e parenti, con tutti i sottintesi, le famigliarità, gli aculei e la tenuta di fondo delle consuetudini che nascono nell'infanzia e permangono nel tempo. E il pezzo iniziale, con la tirata sulla scelta del nome di un nascituro, non solo è acuto, gustosissimo e dotto, ma è anche la lunga trasposizione cartesiana della famosa e lapidaria sintesi di Troisi sul come chiamare un bambino in Ricomincio da tre (1981). In aggiunta, è il nocciolo del film ed al tempo stesso il motore dei discorsi e degli equivoci successivi, che diventano via via più seri, fino a toccare disvelazioni quasi drammatiche, per poi recuperare il loro fisiologico superamento nel finale.
Un'abile trasposizione dunque, che riesce a non cadere nella trappola del cinema di teatro grazie al professionismo della regia, alla verosimiglianza dei caratteri in gioco, alla dinamica delle spiritosaggini come delle rivendicazioni serie, nonché alla bravura degli attori. Una commedia che è anche una specie di inusuale sorpresa estiva (ancora una volta ben lontana dai registri o dalle tentazioni decisamente pecorecci in cui si sta vieppiù avvitando il genere nostrano) e quindi in grado sia di strappare la risata come di proporre spigolature argute, consentendo allo spettatore di immergersi nell'atmosfera riassuntiva di convivialità memorabili tra compagni di vita.
Si notano anche alcune evidenti difficoltà del doppiaggio, ma il tocco di una grazia che taglia i tempi morti e mantiene i suoi ritmi sino alla fine secondo un ben calibrato succedersi degli eventi: ancora una volta lo spettatore non viene né imbonito né sottovalutato, mentre in Italia è spesso considerato - e allevato - come un bipede da cortile, incline a godere molto della parolaccia e poco della parola.
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Cena fra amici di Alexandre de La Patellière, Francia-Belgio 2012, 109 m
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