La mostra si intitola Gli anni di Venezia, ma passa dal realismo classico alle sperimetazioni romantiche, attraversando simbolismo e fauvismo. Tutte le anime di un pittore ingiustamente identificato con il fascismo
di Chiara Di Stefano
La sempre affascinante sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti fa da cornice ad un’altra mostra a tema veneziano. Felice Carena e gli anni di Venezia promette un’antologica del pittore italiano con particolare riferimento agli ultimi anni della sua vita, trascorsi dopo la fine della guerra e l’esilio intellettuale nella città lagunare.
L’opera di Carena (Torino, 1879 – Venezia, 1966) non è notissima ai più se non sotto il cartellino di Novecento: la mostra invece si rivela un utile compendio di Storia dell’arte da metà dell’Ottocento fino al secolo successivo. Nelle sale colme di broccati scorrono i vari periodi di questo artista, pienamente inserito nel suo tempo: da un tardo simbolismo dei primi anni, si passa ad una matrice fauve, che strizza più di un occhio a Gauguin e Derain in coincidenza degli Anni Dieci, pur mantenendo una pienezza di volume italico mai sopita del tutto.
Carena è un protagonista assoluto della Biennale di Venezia, alla quale è legato fin dal 1912 e dove, nel corso della sua carriera, espone tantissimo, vincendo il gran premio per la pittura nel 1940. In questo periodo la sua arte non è molto differente da quella del realismo più classico, anche nella scelta dei soggetti, spesso in riferimento diretto a grandissimi del passato, quali Ingres e Cézanne - anche per la scelta del soggetto “bagnanti”, il cimento classico per definizione. (Sopra, Bagnanti, 1938)
Durante gli anni del Fascismo, Carena non presta più di tanto l’orecchio alle sirene della politica e il suo stile è più influenzato da un’innata ricerca di armonia delle forme che non da quella maniera fascista della quale si tentava una definizione. A riprova dunque della ingiustificata damnatio memoriae della quale è stato oggetto nell’immediato dopoguerra, l’unica tela ispirata ad eventi legati alla dittatura è La Battaglia di Dogali (1936, a destra) della quale, per volontà dello stesso autore non rimane che una parte: vi si ritrae un’umanità dolente e lacerata, una raffigurazione delle retrovie che ricorda nell’approccio il Giovanni Fattori del Campo italiano alla battaglia di Magenta.
Il grande tema di Carena è dunque l’uomo totale, inteso come carne e spirito, un tema che emerge negli ultimi anni della guerra, dove si avvicina ad un colorismo che ricorda le innovative sperimentazioni romantiche di Delacroix anche nei soggetti (L’angelo lotta con Giacobbe, 1939) e che torna indietro su se stesso, a quel colorismo veneto che - ci insegnano a scuola - si distingue dal disegno della maniera fiorentina.
In questo senso Carena è protagonista di queste due anime della pittura italiana. Proveniente da Firenze nella sua seconda formazione, non dimentica il segno che diviene, in questo tormentato periodo, segno-colore e che negli anni veneziani si arricchirà di una spiritualità trascendente: un percorso che lo conduce infine ad una ricerca sulle nature morte alla Morandi ma senza mai accantonare del tutto la pennellata pastosa, che affonda l'essenza della sua pittura nelle acque della laguna.
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Felice Carena e gli anni di Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Campo Santo Stefano 2842, Venezia
Fino al: 18 luglio
Orari: dalle 10.00 alle 18.00
Biglietti: euro 9, ridotto euro 7,50, scuole euro 4
Curatrice: Virginia Baradel
Info: www.felicecarena.it
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