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TEATRO

Le favole di Turturro non hanno il lieto fine

L'attore italo-americano mette in scena le Fiabe italiane di Calvino (e Basile). Critica e pubblico storcono il naso, ma forse c'è un equivoco di fondo


di Giulia Stok


A 150 anni dall’unità d’Italia e a 300 dalla sua inaugurazione, il teatro Carignano di Torino sceglie di festeggiare con Italian Folktales, spettacolo liberamente tratto dalle Fiabe italiane di Calvino, da quelle campane raccolte da Basile e quelle siciliane di Pitré, ma pensato e recitato da un manipolo di italoamericani. Dunque il pubblico in sala, ma anche la critica sui giornali, si domanda più o meno acidamente il perché di questa scelta, e si lamenta stizzito della recitazione in inglese e della difficoltà a seguire la storia.
 
In effetti, la trama è un po’ intricata: la mamma del ragazzo di Ari ari, ciuco mio, butta denari, quello che riceve due doni dall’orco, un ciuchino e un fazzoletto che creano monete d’oro, se li fa fregare entrambi, uno dopo l’altro, dallo stesso oste, e infine riceve dall’orco paziente un bastone, che glieli fa recuperare; ecco, la sua mamma è anche la principessa che salva il principe granchio, quello imprigionato nella corazza di granchio da una fata malvagia, principe granchio che a sua volta diventa il principe, per così dire semplice, assediato dalle tre (in realtà qui due) vecchie orrende che per convincerlo a sposare a una di loro si fanno costruire un dito posticcio per ammaliarlo. Nel mentre, scorre la vicenda di Francesco lo Zoppetto, il ragazzino storpio abbandonato dagli undici fratelli che avevano promesso di non lasciarlo mai, ma aiutato da una fata che gli dona un sacco magico, che lui userà tutta la vita per fare del bene. Unica fiaba a svolgersi intera, senza contaminazioni, questa scorre fino alla commovente morte del giusto, con la bella recitazione di Jess Barbagallo nei panni del protagonista e un convincente giovane Giuliano Scarpinato nella parte del diavolo.
Certo, è un liberamente ispirato e non ci si poteva aspettare che venissero dipanate tutte le fiabe, una per una, con interpreti tutti diversi; però, considerando questo intrico senza soluzione di continuità e l’effettiva complicazione data da lingua e sottotitoli, forse sarebbe stato più onesto dire al pubblico quello che Turturro ha dichiarato ai giornalisti in conferenza stampa: prima di andare a teatro, quelle fiabe bisogna leggerle.

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E allora forse tutti sarebbero riusciti a godere di più dei pezzi forti dello spettacolo: la musica dal vivo, presente in carne e ossa sul palco con i ragazzi della Paranza del Geco; la scenografia, fiabesca ma leggera, di Carmelo Giammello e gli oggetti di scena, geniali come sempre, di Daniela Dal Cin, storica componente dei Marcido Marcidoris (gruppo le cui sorti, peraltro, fanno ben sperare nella salute dei teatri stabili, poiché è riuscito a passare in pochi anni dalla nicchia del contemporaneo di ricerca ad appuntamento quasi fisso delle scene istituzionali torinesi, senza nulla perdere in originalità e provocatorietà). Proprio gli oggetti di scena riescono appieno a coniugare le due anime delle fiabe proposte: quella calviniana, contraddistinta dalla consueta lievità, e quella facente capo a Basile che, come scriveva lo stesso Calvino, aveva “il fascino per l’orrido e il gusto per l’immagine lambiccata e grottesca in cui il sublime si mischia col volgare e col sozzo”.
Turturro, che ricorda una madre di stile calviniano e un padre basilesco, non sembra però del tutto a suo agio nei panni dell’oste, del principe e del principe granchio, e rimane sempre uguale a se stesso. Tra gli altri interpreti, notevole invece Richard Easton nei panni del vecchio e dell’orco.
 
Di certo, Italian Folktales rispecchia perfettamente quel che Calvino aveva notato delle fiabe: la “natura tentacolare, aracnoidea dell’oggetto del mio studio (...) mi poneva di fronte alle sue proprietà più segrete: la sua infinità varietà e infinita ripetizione”. E’ altrettanto certo che le aspettative elevatissime, nate soprattutto dalla presenza di Turturro, probabilmente non gli hanno giovato. E ancora, è vero che lo spettacolo nel suo insieme patisce una certa freddezza, riuscendo davvero a commuovere solo nelle scene finali. Temo però che alla base della delusione del pubblico ci sia un fraintendimento di fondo sul significato della parola fiaba: le fiabe, e soprattutto quelle italiane, non sono storie di principi fate e castelli e bella vita, non è del fiabesco alla Pretty Woman che stiamo parlando; possono anche finire bene, ma raccontano dolori, prove e sofferenze, e si nutrono di una tradizione popolare fatta di grottesco e di scurrile, di miseria e crudeltà. Insomma, non aspettatevi uno spettacolo facile facile, non pensate di passare una serata rilassante sognando un mondo dorato.


Tags: federico fellini, giambattista basile, Giulia Stok, giuseppe pitré, italo calvino, john turturro, marcido marcidoris, paranza del geco, teatro carignano,
28 Gennaio 2010

Oggetto recensito:

FIABE ITALIANE (ITALIAN FOLKTALES), REGIA DI JOHN TURTURRO

Prossimamente: fino al 31 gennaio, Teatro Carignano, Torino; dal 2 al 7 febbraio al San Ferdinando di Napoli; dal 9 al 14 febbraio al Tetaro Strehler di Milano
Fiabe in gioco: Ari ari ciuco mio butta danari!La scuola della Salamanca, Il principe granchio, Le tre raccoglitrici di cicoria (nota anche come Le tre vecchie), Salta nel mio sacco, dalla raccolta di Calvino; Il racconto dell’orco, La vecchia scorticata, I due fratelli da Giambattista Basile, La Pupidda da Giuseppe Pitré
La lingua: c’è chi recita in americano e chi in italiano, ci sono parti cantate e inserti di siciliano e napoletano. Una mescolanza transoceanica che ripropone, in grande scala, il sovrapporsi di varianti della stessa storia in dialetti diversi su cui lavorò Calvino
Scritto da: Katherine Borowiz, Carl Capotorto, Max Casella e John Turturro
In scena: Jess Barbagallo, Katherine Borowitz, Max Casella, Richard Easton, Erika La Ragione, Aurora Quattrocchi, Giuliano Scarpinato, Aida Turturro, Diego Turturro, John Turturro
Katherine Borowitz: moglie di Turturro e artefice di queste Fiabe, poiché regalò al futuro marito un volume di quelle di Calvino quando erano fidanzati
Prima di Turturro: ci aveva provato Fellini, discutendo con Calvino negli anni ’70, ma il progetto non prese vita
giudizio:



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