Metti il pupillo di Miles Davis e l'asso della chitarra Pepe Habichuela una sera insieme a Granada. Il chiaro di luna, i balli e l'idea di un disco che omaggi la musica zingara per eccellenza: in Hands ci sono due storie e due culture diverse che si incontrano e si intrecciano
di Marco Buttafuoco
“Potremmo dire ora che io e Dave siamo due gitani, o meglio, Dave è diventato un gitano ed io quasi un inglese“: Pepe Habichuela, astro della chitarra flamenca riassume con queste parole semplici ed efficaci - certo sgradite a molti in questi grami tempi - il suo incontro musicale con Dave Holland.
I due si sono conosciuti attraverso un impresario spagnolo nel 2008. Nel 2009 provarono a suonare insieme. Il contrabbassista inglese, già pupillo di Miles Davis e alfiere del suono Ecm, racconta come una sera a Granada nel periodo pasquale i due ascoltarono casualmente una banda provare per strada, in preparazione delle fastose cerimonie della settimana santa Andalusa. “Dal quartiere gitano vedevamo l’Alhambra illuminata dalla luna ed eravamo immersi in tutto quel flamenco. Sentii che stava avvenendo qualcosa di speciale e pensai a come continuare la collaborazione con Pepe. Pensai a a questo disco”. Cosa mai può fare un chiaro di luna.
Hands è davvero un bel disco, di piacevolissimo ascolto. E’ chiaro che la parte del leone la fa spesso Habichuela che gioca in casa, ma Dave Holland non è certo musicista da far comparsate qualsiasi, nemmeno quando si trova su terreni non famigliari. I due danno vita ad un dialogo disteso ma intenso, avvincente. Un dialogo alla pari, in cui ambedue ricoprono il ruolo di accompagnatore e solista.
Il repertorio è frastagliato, si ascoltano vari stili di flamenco: vengono proposte ad esempio seguiriya e solea, ovvero esempi di quel cante hondo che dà all’espressività andalusa un carattere di drammatica malinconia, di lamento accorato. Ma spazio maggiore hanno i tango, le rumba, i fandango, varianti di flamenco meno aspre, più “leggere”. In due brani, Whirling Dervish e Joyride, è il mondo musicale di Holland a prevalere, sempre che abbia senso parlare di prevalenza in un contesto libero come questo. Chiude una decima traccia che racconta quella notte di luna di Granada.
E’ un disco, Hands, che trasmette agli ascoltatori la gioia da parte dei musicisti di improvvisare, di confrontarsi, di giocare con la propria storia, di sperimentare. Niente di più, ma è già molto in tempi come i nostri di musica banalmente transgenica. Da riascoltare e ascoltare con diletto e con motivato dispetto verso tutti coloro che in questi brutti giorni alimentano le fobie contro un intero popolo. L’arte, almeno quella, può fare a meno di loro.
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Pepe Habichuela e Dave Holland, Hands, Decca Records 2010
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