Donne senza uomini è l'esordio cinematografico della videoartista Shirin Neshat. Acclamato e premiato con il Leone d'argento, dimostra però che c'è ancora una differenza tra le due forme d'arte
di Remo Bassetti
L’identità del cinema è sottoposta, da tempo, a un duplice attacco: dal basso, con i videoclip musicali e certe forme di video pubblicitari commissionati dalle grandi marche (che non a caso vengono proiettati prima dei film al cinema), e dall’alto con la video arte. E’ chiaro che riuscire a tenere nettamente distinti i piani è condizione necessaria perché il cinema continui a costituire un’espressione artistica autonoma.
Perché per vedere Wim Wenders in dvd si pagano pochi euro e per possedere un video di Nam June Paik si paga uno schioppo? E’ solo perché uno è diffuso in milioni di copie e l’altro in tre? Ma allora se gli stessi film di Wenders fossero prodotti in tre copie, varrebbero quanto le opere del pioniere della videoarte? E l’eleganza formale di un Wong Ker-Wai non somiglia un po’ troppo allo stile di certi video che promuovono le automobili di lusso?
Non è questa la sede per cimentarsi col tema, però si può almeno buttar lì una valutazione empirica, dopo che una delle massime videoartiste del mondo, la grandissima Shirin Neshat, ha realizzato un film come regista, Donne senza uomini. Il mondo cinematografico l’ha accolta benissimo e alla scorsa Mostra di Venezia le ha consegnato il Leone d’Argento. Ma non sarà un nascente complesso d’inferiorità? Il timore di apparire provinciali, non conferendo adeguato valore all’indiscutibile purezza dell’immagine dell’iraniana, tanto universalmente riconosciuta nel suo campo?
Il dubbio viene, perché la Neshat si è sforzata veramente poco, forse nulla, per passare da un genere all’altro. Per capirci, Julian Schnabel, che è un artista da quadri e ceramiche, quando si è messo alla macchina da presa ha dovuto per forza cambiare mestiere, e ha ottenuto un risultato grandioso come Lo scafandro e la farfalla. La Neshat ha messo insieme dei video, e ha preteso che fossero cinema. E così, quelle sue sequenze visionarie sulle donne, irresistibilmente commoventi quando viste in mostra, peccano di artificiosità e formalismo una volta introdotte all’interno di un contesto differente e più articolato come il film.
Donne senza uomini è ambientato durante il colpo di stato della Cia in Iran nel 1953: siamo a cinquant’anni fa ma la psicologia complessiva di molti protagonisti sembra francamente più moderna. Protagoniste sono quattro donne che falliscono nel tentativo di riprendere in mano il loro destino, come stava fallendo l’Iran nell’opposizione alle potenze occidentali.
Le interpreti sono impeccabili, la scrittura (che liberamente reinterpreta l’omonimo romanzo della scrittirce Shahrnush Parsipur) è circolare e molto più allegorica che realista, e pure vagamente misandrica: ma le donne che si muovono all’interno non riescono a essere fino in fondo solidali tra loro. Questa incapacità, forse il dettaglio reso meglio nella pellicola, è la sfida più importante con cui il nuovo pensiero femminile deve confrontarsi ed è un tormento sempre più spesso alle radici della letteratura scritta da donne.
Tags: cia, cinema, donne senza uomini, iran, Julian Schnabel, lo scafandro e la farfalla, Remo Bassetti, Shahrnush Parsipur, shirin neshat, videoarte,
Donne senza uomini, di Shirin Neshat e Shoja Azari, Germania/Austria/Francia 2009, 95 m.
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Il tentativo critico di
Il tentativo critico di mantenere distinti, come su fronti opposti, il videoclip, il cinema e la videoarte mostra tutta la sua artificiosità in questo commento, che tenta di riportare una valutazione estetica ad un giudizio del mercato: il valore ed il senso artistico non possono essere affrontati in un modo che non sia il prezzo d'acquisto? L'opera cinematografica è qualcosa di profondamente complesso; come l'architettura, che condensa aspetti tecnici e tecnologici, spazi, luci, trattamento delle superfici, scultura, pittura e decorazione, così anche il cinema deve condensare aspetti tecnici e tecnologici, luci ombre e colori, musiche, composizioni spaziali e temporali. E' con la maggior apertura verso tutti questi aspetti che il cinema può crescere, non con il desiderio di alzare dei muri. A meno che non si voglia ricondurre un film ad un semplice raccontino, come alcuni razionalizzatori delle sceneggiature tendono a fare sempre più pesantemente.
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