Nel misero sud del dopoguerra, un dodicenne di nome Salvatore e la sua passione per il cinema: la trama vi ricorda qualcosa? Ma non bastano né Maria Grazia Cucinotta né Alessandro Haber a salvare Un giorno della vita, opera prima di Giuseppe Capasso
di Andrea B. Previtera
Iniziamo questa recensione con un nome: Ugo Menegatti. Un nome che magari non vi dirà nulla, ma che va menzionato con sottolineatura doppia, perché sia tra i salvi. Perché sia salvato dalla mattanza incombente. Curatore della magnifica fotografia di Un giorno della vita, merita un raggio di sole tutto per sé. Poi, la pioggia torrenziale.
Il regista Giuseppe Papasso, in un'intervista dell'anno scorso, ci informava di aver scritto il soggetto di questo film "pensando a un film francese della Nouvelle Vague, I quattrocento colpi". Oggi scopriamo che era probabilmente intenzionato a risolvere la crisi energetica mondiale, perché Truffaut si starà girando nella tomba a un'intensità sufficiente da collegarlo a una turbina e mandare in pensione le centrali nucleari.
La storia di una passione, quella di Salvatore, dodicenne d'un suditalia miserello e periferico, innamorato del Cinema. Eh? Un attimo: un bambino. Di nome Salvatore. Nel suditalia eccetera eccetera. Innamorato del cinema. Citofonare Giuseppe Tornatore, Via del Nuovo Cinema Paradiso numero uno.
Ad ogni modo, si diceva: la storia di una passione, con tutti gli elementi prevedibili dalle premesse e qualche cosa in più: tanta ignoranza, un pizzico di moderata povertà, e il conflitto tra parrocchie e circoli del Partito Comunista Italiano, tutto inquadrato ad altezza di bambino. Mancano solo il sindaco burbero e il prete che mena le mani.
Una storia raccontata facendo ricorso innanzitutto alle solite splendide distese di grano sotto il sole riprese con una bella ottica generosa, i grilli che friniscono tra le spighe, le strade polverose e le biciclette sferraglianti. Eh, siamo al Sud Italia. Poi, qualche scenetta da avanspettacolo con tanto di "zan-zan" di sottofondo musicale. Ah, il sottofondo musicale! Non ci abbandonerà mai. Mai. Una colonna sonora orchestrale incredibilmente stucchevole commenta ogni singola scena. Ogni. Singola. Scena. Prima che scorrano i titoli di coda ci sarà spazio persino per un ralenti di cinghiate al sedere con sottofondo di archi strazianti.
Prima che scorrano i titoli di coda, però, c'è un intero film. Un film che, torniamo al principio, racconta la passione di un dodicenne per il cinema. E il conflitto tra chiesa e partito comunista. E il difficile rapporto tra un padre e un figlio. E una madre. E le aspirazioni di un giovane infervorato. E le buone azioni di un giornalista caparbio. Se c'è un messaggio, se il perché di questa storia resta in ogni caso da ricercarsi nella questione passionale, questa viene esposta per lo più attraverso bravate e furtarelli, e l'attenzione scivola via sul pasticcetto di trame parallele.
In quest'opera prima, alla fine, emerge soprattutto una costante. Nessuno sa bene quello che fa, e tutti cambiano idea su tutto. Persino il regista, che a tre quarti del racconto rovescia d'un tratto il metodo narrativo, e manca tra l'altro anche l'occasione di un finale sobrio.
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Un giorno della vita, di Giuseppe Papasso, Italia, 85 m.
Commenti
Io invece concordo in pieno
Io invece concordo in pieno con la recensione di Previtera. Un film da insufficienza piena, con veri e propri 'buchi' di sceneggiatura e una storia già vista e prevedibile. La semplicità e i buoni sentimenti non bastano, al cinema, se non sei capace di sorprendere lo spettatore e di mettere in scena una realtà soltanto parallela alla vita di tutti i giorni, un qualcosa che abbia le fattezze del quotidiano ma contenga anche quelle dell'inverosimile, mescolandole armoniosamente in un tutt'uno. E questo Papasso non riesce proprio a farlo, crogiolandosi nella costruzione di un'operina tutto sommato retorica e sostanzialmente inutile.
A risposta collettiva dato il
A risposta collettiva dato il tono unanime delle considerazioni sulla recensione:
Non era mia intenzione fare sfoggio di alcuna "sapienza", nè tantomeno di voler apparire il primo di una qualche ipotetica classe. Qual'era allora la mia intenzione? Semplicemente dire la mia, esprimere la mia opinione. Accade poi, che il gioco delle parti di questo "contenitore" faccia sì che tale opinione appaia corredata di immagini, di un titolo, e venga detta recensione.
E la mia opinione può essere aspra: sono certo che sarà capitato anche a voi di vedere un film che non vi sia assolutamente piaciuto. Come probabilmente vi sarà capitato che un amico sia uscito da una sala cinematografica sconsigliandovi vivamente lo spettacolo a cui aveva appena assistito.
Sono ragionevolmente certo che non avrete aggredito quell'amico per la sua opinione nè lo avrete bersagliato di frecciate su cugini, sapienza, ignoranza o quant'altro. Semplicemente lo avrete ascoltato, oppure no. Avrete sostenuto le vostre idee, oppure no. Vi sarete fatti convincere, oppure no.
La mia espressione critica su un film potrà tornare ancora a essere feroce come in questo caso, con tanto di sarcasmo e un pizzico di cattiveria. Mai e poi mai, invece, mi esprimerei a mia volta in questi toni sulle opinioni di un terzo, che considero sacre. Come le vostre, che sono tutte validissime e certamente vere in quanto personali.
Andrea
ps: e tutto questo - ma sì - sia valido anche in regime di messaggi a nomi multipli spediti dalla stessa email e finanche dallo stesso computer... come in questo caso ;-)
Un giorno della vita è un
Un giorno della vita è un film bello! Ben fatto. Il resto non mi interessa...
Francamente questo "critico"
Francamente questo "critico" è fortemente prevenuto. Perchè Truffaut dovrebbe girarsi nella tomba? Io al cinema ci sono andato, e non ho visto tutte queste problematiche. Il film è una belle favola, semplice, raccontantata da attori bravi e convincenti. Mah! Che dire? Una cosa è certa, senza offesa, di cinema Previtera capisce ben poco. E lo dimostra con questo articolo, che vorrebbe essere una critica ma che è un inno all'ignoranza! La Sua!
Menegatti sarà un cugino di
Menegatti sarà un cugino di Previtera! Non esageriamo! il direttore della fotografia è bravino, ma non è il massimo della vita. In alcune scene ci sono pecche "fotografiche" grandi come una casa! Ho visto altri film nei quali Menegatti fa errori ancora più grandi, come nel film di Insegno. Insomma, lasciamo perdere...Robetta!
Previtera fa sfoggio della
Previtera fa sfoggio della sua sapienza per sminuire un film delicato e commovente, si sforza di apparire il “primo della classe” risultando solo molto cinico. Il film mi ha emozionato senza essere pesante, ho apprezzato la semplicità e la leggerezza con cui sono raccontati fatti e tempi ormai lontani. Da un giornalista "esperto" mi sarei aspettata quantomeno una critica più costruttiva. Luisa
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