Alla fine degli anni '40 il futuro maestro del cinema era fotoreporter per la rivista Look: oggi in mostra al Palazzo della Ragione di Milano 180 scatti scelti tra migliaia: immagini in cui si intuisce il fascino per l'ambiguità e quella voglia di raccontare storie che lo spingerà verso la regia
di Barbara Fässler e Giovanna Canzi
“Ho sempre pensato che un’ambiguità artistica credibile, davvero veritiera – se possiamo usare un paradosso – sia la più perfetta forma di espressione. (…) Quindi, credo che, al contrario, l’affermazione letterale, semplice, chiara sia, a suo modo, una falsità che non avrà mai il potere che ha una ambiguità perfetta”. Queste dichiarazioni, rilasciate da Stanley Kubrick durante un’intervista del 1960, ma pubblicate dal Guardian solo nel 1999, esprimono perfettamente il senso che lega tutta la sconfinata opera fotografica del regista.
Lo si può capire visitando la mostra ospitata dal Palazzo della Ragione di Milano, a cura di Rainer Crone, che rivela uno sguardo del regista finora sconosciuto al pubblico. 180 fotografie, delle 20.000 che l’autore scattò dai diciassette ai ventidue anni per la rivista americana Look (e oggi conservati presso la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York), ci rivelano come per Kubrick l’ambiguità giochi sottilmente su più livelli.
Lavorando sui soggetti e sulla resa formale delle fotografie, il futuro cineasta non si stanca di ricordarci la fragilità della nostra esistenza. Ci porta a confrontarci con un mondo che ha appena preso consapevolezza della sua estrema precarietà (reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, dall’Olocausto e dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki) e che è da pochissimo riemerso dalla catastrofe. Non mancano, infatti, le situazioni capaci di esprimere, direttamente o sotto metafora, questa sensazione di pericolo.
La mostra si apre con un piano ravvicinato su un braccio che punta una pistola in direzione del Paddy-Wagon che trasporta uomini arrestati. Anche la serie di foto ambientate nel circo ci lascia sospesi in situazioni di spiccata tensione: per esempio, l’immagine del funambolo che avanza sul filo in bicicletta, con due trapeziste appese. Seguono, poi, acrobati immortalati durante un salto in aria, immagini di elefanti e tigri inferocite.
Se questa rappresentazione sulla precarietà dei soggetti non sorprende quando riguarda il mondo del circo, diventa meno consueta nel momento in cui si estende agli ambienti della moda e dell’università. Accade con gli scatti che ritraggono l'attrice Betsy von Fürstenberg cadere dalla bici, arrampicarsi su un albero o ballare su un muretto sul bordo dell’abisso. Nella stessa direzione l’immagine della donna che scende le scale dell’Università, tenendo in mano una pila di libri pericolanti talmente alta che le impedisce di vedere dove mette i piedi. Un’immagine che potrebbe alludere lontanamente alla scena drammatica della Corazzata Potemkin di Eisenstein, quando la carrozzina precipita giù dalle scale, o, sotto il profilo formale, a quelle fotografie delle scale di Rodchenko che un punto di vista inconsueto trasformava quadri astratti.
Il paragone con i costruttivisti russi prende ulteriormente forza se guardiamo alla composizione delle immagini. Certamente Kubrick ritrae situazioni che il suo sguardo incontra per caso, ma nonostante ciò, non si può non pensare che questi oggetti vengano manipolati e messi in scena dall’autore. Le immagini vengono spesso costruite seguendo forme geometriche rigorose e un’architettura meticolosamente progettata del piano rappresentativo dimostra come la fotografia non possa pretendere di produrre dei cloni di una presunta realtà oggettiva o di una qualsivoglia Verità.
Non esiste una realtà in sé, ma siamo noi a costituire continuamente il nostro mondo attraverso il nostro sguardo, il nostro pensiero e, infine, il nostro scatto. Un mondo vero, come qualsiasi affermazione univoca, è secondo Kubrick, lo abbiamo visto, una “falsità”. La verità, se esiste, va cercata proprio nelle situazioni ambigue o nelle contraddizioni apparenti. Kubrick lo dimostra bene nella foto che forse meglio di tutte riassume la sua filosofia: una ragazza di schiena che abbassa il braccio dopo aver scritto con il rossetto sul muro “I hate love”.
Già Hegel ci insegnò che le contraddizioni fanno girare il mondo. Non è un caso, dunque, che dopo cinque anni di intensa attività da fotoreporter, a Kubrick le immagini immobili non bastino più per esprimere i suoi pensieri. Così si rivolgerà al cinema, che gli consentirà di perfezionare il linguaggio e la drammaturgia adatti per esplicitare meccanismi esistenziali più profondi.
Ma visitando la mostra si scopre che il cinema era già presente in questi scatti della seconda metà degli anni quaranta. Lo capiamo osservando il ragazzo lustrascarpe, che ammira il poster de Il libro della giungla all’entrata del cinema, o di fronte ad alcuni soggetti, ritratti come se fossero dive del grande schermo. Ma il Kubrick futuro regista si rivela soprattutto nella sua voglia di raccontare delle storie: la struttura seriale che ordina alcune fotografie consente di intravedere un primo embrione di linea temporale. Un modo di procedere che nasce dalla richiesta della rivista Look di “inseguire” i soggetti, creando una sorta di fotoromanzo.
Strettamente legata alle problematiche rappresentative è, poi, la percezione, principio onnipresente nella ricerca di Kubrick, che lo accompagnerà dalla vita di fotografo a quella di cineasta. Non c’è quasi nessuno scatto in cui non venga tematizzato il principio della visione e dove gli sguardi non s’incrociano, disegnando delle linee che spesso addirittura mirano fuori dalla cornice per ingrandire lo spazio rappresentativo.
Le creazioni di Kubrick ci raccontano, dunque, del nostro modo di percepire ed elaborare la realtà circostante, del visibile e dell’invisibile, di ciò che viene mostrato e di ciò che è nascosto e, last but not least, del nostro eterno desiderio di afferrare e conoscere il mondo e i suoi risvolti.
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Stanley Kubrick fotografo. Gli anni di Look (1945-1950), Palazzo della Ragione, Piazza dei mercanti 1, Milano
Fino al: 4 luglio 2010
Orari: da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30, giovedì dalle 9.30 alle 22.30, lunedì dalle 14.30 alle 19.30
Ingresso: 8.50 euro, ridotto 7 euro, ridotto speciale scuole 3 euro
Curatore: Rainer Crone
Info: www.mostrakubrick.it
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