Il nuovo spettacolo di Pippo Delbono racconta di un'opera lirica che in scena non ci andrà mai: la cronaca di un naufragio (culturale e sociale) che come tutti i naufragi lascia dietro di sé spaesamento e desolazione ma, questa volta, anche qualche speranza
di Nicola Arrigoni
Assistere a Dopo la battaglia impone una scelta radicale: Pippo Delbono lo si accetta del tutto oppure totalmente lo si rifiuta. Perché l’artista mette in scena se stesso, sempre e comunque, perché l’artista legge il mondo e in quell’atto di condivisione che è il teatro ne offre la sua visione.
Delbono, insomma, lo si ama o lo si odia: il suo teatro è di pelle, è fatto di pancia, un puro atto poetico che dà sempre l’impressione di farsi lì per lì, davanti all’occhio disorientato dello spettatore. Questo vale per tutta la produzione di Delbono, ma soprattutto per Dopo la battaglia: un atto teatrale volto a spalancare le porte sul buio dell’anima individuale e sopra il naufragio collettivo di un Paese, il nostro, e di una Civiltà, quella occidentale.
Fra le mura di un carcere o di un manicomio Pippo Delbono racconta la disperazione e la speranza, racconta degli atti mancati di un’opera lirica che non si farà, e di un processo teatrale che si costruisce di incontri: in primis quello con Bobò e i suoi attori presi dalla vita e chiamati a gestire il loro essere come un atto di continua e struggente creatività. Così la scena iniziale è potente, è un fermo immagine vibrante che racconta di un progetto naufragato, legato ai 150 anni dell’Unità d’Italia, sfumato come sfumato è il Paese, un naufrago che Pippo incoraggia con la richiesta: "Mah, sì qui mettici il mare…".
Ed è uno struggente sciabordare marino su cui si naufraga, con dolcezza ed emozione, un abbandonarsi alle onde in cui la rassegnazione pian piano fa spazio alla voglia di rinascita. E' questo in fondo che muove Dopo la battaglia, un’elegia che pone speranza e disillusione sullo stesso piano, che denuncia la pochezza della politica ma anche la voglia di trovare una speranza: quest'ultima rappresentata dalla presenza di Bobò, dall’innocenza poetica di quell’uomo formato dal manicomio, sta nel contrasto fra l’ètoile che danza al suo fianco, sta nella pinguedine di Gianluca o nell’eleganza stropicciata di Nelson che incoraggia la platea a battere le mani al ritmo del refrain del Pinocchio di Comencini.
E’ dalle relazioni e dagli incontri che bisogna partire: c’è lo sguardo di maestra della mamma di Pippo, c’è l’omaggio di Delbono a Pina Bausch, un omaggio danzato che l’attore balla con quella grazia scomposta della sua fisicità. Come sempre Pippo Delbono fa dialogare poesia, musica e immagini con una maestria unica, ci pone davanti agli occhi la complessità della vita, la sua poetica inafferrabilie, ci fa accettare il dolore e la morte, che della vita sono parti integranti. Al termine tutto si scioglie in un applauso festoso che fa dire che forse Dopo la battaglia si può sperare di rinascere e risorgere.
Tags: dopo la battaglia, Modena, Nicola Arrigoni, pina bausch, Pippo Delbono, recensione, Teatro Comunale pavarotti,
Dopo la battaglia, di e con Pippo Delbono
Il Resto della locandina: Costumi: Antonella Cannarozzi; Musiche originali: Alexander Balanescu; Luci: Robert John Resteghini
Produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Théâtre du Rond Point-Parigi, Théâtre de la Place-Liegi, Théâtre National de Bretagne – Rennes
Visto al: teatro Comunale Pavarotti di Modena, il 14 ottobre 2011
In scena: fino al 13/11 al Teatro Argentina di Roma. Tutte le altre date qui
Commenti
Invia nuovo commento