Un'altra prima teatrale, quella del Teatro Due di Parma che fino al 5 febbraio ospita Non si uccidono così anche i cavalli? Il testo di Horace McCoy portato nelle sale da Sidney Pollack diviene ora uno spettacolo dove la regia di Gigi Dall'Aglio incontra le coreografie e la scrittura fisica di Michela Lucenti, in un'America del '29 ancora molto attuale
di Sergio Buttiglieri
La storia è nota, durante la grande depressione USA del secolo scorso uno dei modi più cinici di sfruttare chi era senza ulteriori speranze per sopravvivere lo si era trovato: farli ballare per giorni e giorni, fino allo sfinimento, facendo divertire il pubblico, venuto a vedere chi “scoppiava” prima, e alle coppie disperate la pia illusione di farsi qualche dollaro alla fine della maratona.
Sidney Pollack alla fine degli anni ‘60 ne ricavò un bel film e Gigi Dall’Aglio, figura storica del collettivo di Parma, e colonna portante del gruppo ora divenuto Fondazione Teatro Due, ha provato a rileggerlo per il palcoscenico in collaborazione con quel "caratterino" di Michela Lucenti: la fondatrice di Balletto Civile è da sempre interessata a declinare il patrimonio di teatro-danza di Pina Bausch in una sua particolarissima poetica fatta di coreografie "sporcate" di parole, di corpi che raccontano storie o, al contrario, di storie che raccontano corpi.
Questa volta scopriamo anche l’invidiabile capacità canora della Lucenti, che, associata ad una sua precisa gestualità, ci sa restituire figure tanto derelitte quanto affascinanti: come quella ispanica imbranata, "spaiata" per l’arresto di un compagno italiano ricercato da tutte le polizie, e che si rivela all’improvviso una provetta cantante; oppure quella soubrette strepitosa che irrompe in scena, a mattanza quasi ultimata, accompagnata dal vivo da un efficace quartetto musicale che calamita tutti gli sguardi.
La regia ha tentato di farci percepire la fatica esistenziale di queste prede predestinate, disposte a qualsiasi umiliazione, compresa la corsa del sorcio, che reiterano il loro sfinimento, cercando di farlo meglio indossare a noi pubblico. Ma più la mimesi si protraeva, più si allentava la tensione in noi spettatori-giudici implacabili del cinico intrattenitore che tirava avanti la baracca, aiutato da un buttafuori, arbitro del declino dei partecipanti, con tanto di algida crocerossina armata di frustino.
Abbiamo visto anche momenti stranianti al ralenti, dove la situazione drammaturgica tentava una svolta non "naturalistica", come a simboleggiare la perdita di lucidità di un gruppo sempre meno coeso, sempre più pronto a farsi del male a vicenda: lo show deve andare avanti, e le concorrenti più illuse cercavano, per emergere, la scontata scorciatoia nello scannatoio privato del carnefice.
Ma non sto parlando dei nostri attuali reality show e non sto certo insinuando che qualcuno disposto a farsi umiliare pur di sopravvivere, esiste ancora e, soprattutto, è capace di farci divertire ogni sera davanti alla tv. No, questa è la realtà dell’America del '29, un attimo prima ubriaca di benessere, e tutto ad un tratto orfana di un ordine economico a cui noi occidentali stranamente saremmo riusciti a riabituarci, almeno fino a qualche anno fa.
Sono aumentati i gadget, sono esplose le possibilità di definire che cosa è la felicità in base a ciò che si è guadagnato producendo non necessariamente cose reali; ma il succo è il medesimo: qualcuno sta fottendo la nostra esistenza osservandoci “ballare” senza sosta, magari aumentando i minuti di pausa rispetto ai dieci concessi nel secolo scorso: quel tanto che ci permetta di ritornare in scena il mattino dopo, sempre più incazzati, sempre più desiderosi del fine settimana, in cui magari “sballare”, purchè si resti in grado di produrre il lunedì successivo, magari spostando un po' più in là l'età della pensione, giusto il tempo di transitare in una struttura ospedaliera intasata di storie speculari alla nostra, togliendo poi definitivamente il disturbo.
Questa maratona, vista alla Prima Nazionale al Teatro Due di Parma, forse più che fare sorridere malinconicamente delle miserie di questi sfiancati brocchi del secolo scorso, ci proietta violentemente nei disastri dei nostri giorni, in cui ci è lecito calpestarsi a vicenda pur di raggiungere la scialuppa di salvataggio.
Uno spettacolo-maratona, dicevamo, forse da scorciare di qualche decina di minuti per far meglio assaporare il cerebrale e progressivo disfacimento dei protagonisti, tutti interpretati dal gruppo di giovani attori usciti dalle fucine della Fondazione e del Balletto Civile, da sempre impegnate a diffondere la cultura teatrale in una delle città più ricettive dell’Emilia Romagna come Parma.
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Non si uccidono così anche i cavalli?, di Horace Mc Coy, regia di Gigi Dall'Aglio
il resto della locandina: scrittura fisica: Michela Lucenti, assistente alla scrittura fisica: Carlo Massari
regia Gigi Dall’Aglio, assistente alla regia Agnese Cesari
Prossimamente: fino al 5 febbraio 2012 al Teatro Due di Parma. Al sito del Teatro per altri aggiornamenti
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