Dopo il diabolico 666 la compagnia madrilena Yllana porta in giro per l'Europa il suo nuovo spettacolo: la giungla in cui si avventura il loro improbabile gruppo di esploratori è fitta di citazioni "alte", ma pensata soprattutto per divertire i più piccoli
di Igor Vazzaz
Tra le categorizzazioni più ambigue che si diano, quella più equivoca è quella di arte (o film, o spettacolo) per bambini: con essa, difatti, s’ipotizza o una qualche menomazione cognitiva da parte dei cuccioli di homo sapiens sapiens o, per contro, una loro mai dimostrata propensione per verginità, purezza e candore d’animo. E anche qui, la passione per il Benigni d’annata si rivela proficua: allertando il pubblico d’un monologo dai toni blasfemi, il primo dei toscanacci si giustificava asserendo che il problema sarebbero stati gli adulti, poiché i bambini si trovano da sempre perfettamente a proprio agio con la comicità oscena.
Zoo, ultima fatica dei madrileni e squinternatissimi Yllana, non ha nessun rapporto con sconcezze o parolacce, neppure con le parole in senso proprio, ma, nondimeno, ha ricevuto il premio Max per le arti sceniche in Spagna quale miglior allestimento infantile del 2010 e, in effetti, il bel Teatro di Rifredi (Firenze) pullula di pargoli in sala, ove ad accoglierci troviamo un sipario aperto con alcuni addobbi botanici dalle vaghe reminiscenze di silvestre esotismo. Le luci calano e uno schermo sul fondale proietta i titoli d’apertura d’un filmato, a parodia di certe vecchie pellicole avventurose. Lo spettacolo, però, ha inizio in platea: quattro improbabili figuri agghindati da esploratori s’inoltrano con passo felpato e guardingo tra le poltroncine gremite e la sorpresa degli spettatori: cercano “la loro jungla”, punto d’approdo e svolgimento della loro traversia scenica, il palco.
La breve sequenza d’inizio ben illustra la linea della performance, improntata a una comicità che unisce clownerie, slapstick, assurdità e caratterizzazioni dei personaggi. Juan Francisco Dorado è il leader machista, capo escursione di bell’aspetto, invadenza pelvica e intrepido atletismo: i pugnali gli s’infilano puntualmente nello stesso albero a sinistra della scena, a prescindere dalla direzione verso cui li scagli, ottenendo rispetto e ammirazione dai compagni di ventura. Susana Cortés è la vivace, paffutella lady del gruppo, sospesa tra ammiccamenti ridicolosi e una vocalità sopra le righe. César Maroto è… il “calvo”: sessualmente incerto (ben dosate le sequenze in cui sembra ammaliato dalla mascolinità del capo), ha doti d’inatteso eclettismo, in chiave sia comica sia corporea, mentre Rubén Hernández è lo scienziato della spedizione, con ordinaria lente d’ingrandimento e assai poca baldanza.
L’allestimento procede a sequenze chiuse, i ruoli si mescolano: spassose le parti in cui gli attori recitano travestiti da gorilla (dirette citazioni kubrickiane), così come quelle del “ritorno” in platea con folte criniere leonine. Lo sketch migliore è, probabilmente, quello dei quattro uccelli, non si capisce di che specie, in cui buon gioco hanno le luci soffuse e gli azzeccati costumi che riprendono il classico “trucco del nano”, con le braccia degli attori infilate nei pantaloni del vestito.
È garbato, ben portato, questo Zoo di Yllana, ensemble che ricordavamo, ai tempi del luciferino 666, assai più sfrontato, coraggioso. Non guasterebbe, anche in quest’occasione, qualche rischio in più, a innervare lo spettacolo, rendendolo più sanguigno, foss’anche crudele, senza tradirne l’ispirazione. Yllana è una gran gruppo, la sua storia ventennale lo dimostra, ma in questo caso pecca di timidezza nel costrutto complessivo, rinunciando a una vera e propria stratificazione di riferimenti, privilegiando un concetto, comunque discutibile, di fruibilità: quella per bambini, appunto. Non si negano risate e applausi, ma giusto sarebbe attendersi qualcosa in più.
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Zoo, di Yllana
Il gruppo: www.yllana.com
Visto a: Teatro di Rifredi, Firenze
Prossimamente: qui tutti gli spettacoli della compagnia in giro per l'Europa
Le opere stratificate: quelle che non rinunciano a nessuno spettatore, sfruttando diversi livelli di lettura; ovvio che i fanciulli non riconoscano 2001 Odissea nello spazio, ma si potrebbe osare di più
Per capirsi: al di là dei riferimenti dichiarati dalla compagnia, in questo caso siamo molto più vicini a Aldo Giovanni e Giacomo (bravi, non diciamo di no) che ai Monty Python (divini)
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