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ATTUALITA'

Un prete in prigione non è la risposta

I casi di pedofilia scoperti all'interno della Chiesa hanno provocato reazioni molto dure da parte dell'opinione pubblica e dello stesso Ratzinger. Ma che la gerarchia cattolica accetti di sottoporsi alla giustizia penale non è necessariamente un buon segno


di Luisa Muraro


Mettere in prigione un prete non è una risposta. Avrete capito che sto parlando dell’ondata di scandali, causata dai molti casi di pedofilia scoperti anche in Europa, che ha colpito principalmente la Chiesa cattolica. 
  
I fatti scandalosi li conosciamo e sono di due ordini: gli atti di pedofilia da una parte e, dall’altra, la copertura offerta ai colpevoli da coloro che avevano la responsabilità di difendere le vittime. Tra i due livelli di scandalo, il secondo (la copertura) è il più grave. Ma l’uno non è separato dall’altro e, soprattutto, bisogna pensare meglio a tutta la faccenda. Ragionare è faticoso, ma qualche volta bisogna farlo. E non tirate fuori scuse tipo “non ho studiato filosofia”: siamo esseri umani e tanto basta al lavoro del pensiero.
 
Sotto la pressione dello scandalo, il capo della Chiesa è arrivato a fare affermazioni estreme e (secondo me) spietate sulla gravità della pedofilia, senza più quelle sfumature e quelle distinzioni che pure sarebbero necessarie, e di cui i preti sono stati maestri. La pedofilia infatti è un nome generico che copre comportamenti ben diversi fra loro, dai toccamenti allo stupro; senza contare che alcuni di questi perversi potrebbero essere dei malati da curare. 
Ma non c’è stato né tempo né modo per ragionare come si deve. Lo scandalo è andato crescendo con un moto vorticoso, in parte perché le notizie arrivavano sui media a pacchi, via uno ne arrivava un altro, in parte perché le risposte fornite dai responsabili, nel tentativo di arginare l’ondata crescente, non bastavano mai e bisognava quindi rincarare la dose del pentimento, fino ad arrivare a quelle dichiarazioni estreme e spietate che dicevo. 
  
Pare che, al momento, il magazzino dei pacchi sia vuoto. O forse è esaurita la capacità d’indignazione dell’opinione pubblica. Provvisoriamente, almeno. Approfittiamo della pausa per ragionare. 
   
Ricordiamoci, per cominciare, che le creature piccole, bambine e bambini, possono diventare pretesti per operazioni ambigue che fanno leva su emozioni non bene interrogate, come mostra la storia della caccia alle streghe e della persecuzione degli ebrei. Non è dietrologia riconoscere, d’altra parte, che gli avvocati delle vittime in cerca di risarcimento hanno giocato un ruolo attivo non secondario in quel vortice. Lungi da me l’idea di criticarli, è il loro mestiere. 
Ma che si sappia. L’avvocato a caccia di cause ha interesse a suscitare conflitti per ottenere il massimo dei soldi ottenibili. L’avvocato a caccia di cause, ovviamente, non solleva scandali dove non ci sono soldi. La cronaca ogni tanto c’informa di episodi gravi, gravissimi, di pedofilia all’interno delle famiglie, rivelando qualcosa di una realtà purtroppo molto più estesa. La quale continua a restare semisommersa per tanti motivi, fra i quali uno è che lì non c’è una sicura prospettiva di risarcimenti finanziari per le vittime (e i loro avvocati).
 
Gli avvocati sono solo un aspetto della faccenda. Ci sono aspetti di altro tipo che hanno giocato un ruolo importante. Uno è la fine del patriarcato. Nel regime patriarcale, che è durato fino a ieri, l’uso e abuso sessuale di donne e bambine/i era generalmente tollerato. C’erano delle regole e delle misure, beninteso, ma quelli che dovevano farle rispettare erano praticamente gli stessi che usufruivano di quel regime. Le tremende invettive dei nostri commentatori contro il doppio scandalo dell’abuso sessuale di bambini nei collegi cattolici, tipo “proprio loro, uomini consacrati ai quali quei bambini erano affidati”, eccetera, sono semplicemente ridicole: la scoperta dell’acqua calda, come si dice. Il patriarcato era proprio questo, un regime di soggezione di donne e bambini in cui l’uomo faceva tutte le parti. 
 

Il patriarcato è finito, l’uomo cioè ha finito di fare tutte le parti e deve fare i conti con soggetti umani altri da lui. La Chiesa comincia appena a scoprirlo, con un ritardo che ora deve pagare anche con una perdita di prestigio e di credibilità, e che dovrà continuare a pagare e pagare, se non prenderà coscienza del cambiamento in corso. Le risposte escogitate di volta in volta, si sa che non tengono.
 
Insomma, lo scandalo della pedofilia praticata da una minoranza, sì, ma largamente tollerata tra gli uomini di Chiesa, ci parla della fine di una civiltà. Ma questo scandalo e questa fine non riguardano solo la Chiesa, riguardano infatti l’intera società, compresi i famosi laici-laicisti fra i quali non sono mai mancati i patriarchi, i violenti e i molestatori.
L’uso e abuso delle persone più giovani oggi è sentito come qualcosa di odioso. Non vuol dire però che sia finito! Il problema è che, alla fine della civiltà patriarcale, è subentrato un grande disordine nei fatti e nei ragionamenti.
 
Tra i fatti, cito solo il turismo sessuale, che è l’analogo della delocalizzazione industriale: quello che la morale e il diritto non consentono qui, ce lo prendiamo da un’altra parte… che bella trovata! I ragionamenti sono rimasti indietro per una troppo lenta presa di coscienza da parte degli interessati. Che non sono solo i preti, lo ripeto. Ci metto anche quelli che li hanno incalzati fino a ottenere che la Chiesa cattolica si impegnasse a collaborare con la giustizia penale dello Stato nella punizione dei colpevoli di quel reato. Questa mossa, condivisa ingenuamente dai più, secondo me ha qualcosa di sbagliato, perché riduce le distanze tra Stato e Chiesa.
 
Non sono la prima a sostenerlo, lo ha già detto Francesca Rigotti, una pensatrice con la quale solitamente non mi trovo d’accordo quando si tratta di Chiesa cattolica, un’istituzione che lei giudica più severamente di me. Ma su questo punto c’è fra noi due un accordo doppiamente significativo. Scrive la Rigotti: attenzione a questo recente cambiamento nella posizione della Chiesa sulla pedofilia, che ora chiama reato mentre prima lo chiamava peccato. Attenzione, perché, coerentemente con questa mossa, potrebbe pretendere di vedere trasformati in reati penali altri peccati, cioè altre trasgressioni alla legge divina. Il suo articolo s’intitola significativamente “Dei reati e dei peccati” (da L’Unità del 20 aprile 2010).
 
Forse, nello stato attuale della nostra civiltà, la legge penale e la prigione sono necessarie (sebbene non sfugga a nessuno quante ingiustizie si consumino all’ombra di questa “giustizia”). Ma non è necessario che tutto e tutti concorrano a far valere questo tipo di risposta. La società religiosa può sviluppare un suo ordine penale che prevede anche il pentimento e il perdono. Anzi, mi risulta che la dottrina cristiana si caratterizzi per questo tipo di ordine simbolico. Nella dottrina cristiana, risposta non è che uno finisca in prigione ma che arrivi a pentirsi e a convertirsi, e ottenga possibilmente di essere perdonato dalla vittima. Di questo parla il racconto della conversione dell’Innominato nei capitoli 21-24 dei Promessi Sposi, racconto ammirato e ammirevole non solo dal punto di vista letterario. 
  
Penso che, a prescindere dal credo personale, ci sia un interesse generale a tenere aperto l’orizzonte a risposte alternative. Questo mi sembra essere il senso della dottrina cristiana in materia penale, dottrina che la Chiesa non ha praticato con la necessaria coerenza (si pensi alla continue richieste fatte allo Stato per sanzionare più duramente l’aborto) ma non ha dimenticato: finora infatti aveva saputo difendere il suo privilegio di non denunciare i reati di cui veniva a conoscenza. Ma ecco che, premuta dallo scandalo, sulla pedofilia ha ceduto. Ora io penso che di ciò non ci sia da rallegrarsi.
 
La violazione delle creature piccole è un crimine nefando che ferisce l’umanità, e meno male che oggi questo giudizio sta entrando nel sentire comune. A questa accresciuta sensibilità facciamo però corrispondere una meditata presa di coscienza. La risposta degna di questo nome non comincia con la prigione. Comincia con il pregiare e onorare l’infanzia praticamente e ogni giorno. La recente campagna antipedofilia era una somma di emozioni fra le quali c’era anche, e se non c’era dovrebbe esserci, un senso di colpa collettivo per le condizioni in cui facciamo crescere le nostre creature nelle città dell’asfalto e delle automobili: come polli d’allevamento, senza libertà fisica, senza tempi e spazi vuoti, senza avventure personali… I pedofili in prigione, i bambini in gabbia: triste chiusura del cerchio.



Tags: abusi, chiesa cattolica, francesca rigotti, giustizia, infanzia, Luisa Muraro, papa, patriarcato, pedofilia, preti pedofili,
22 Giugno 2010


giudizio:



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Commenti

La Signora Muraro è una chef

1.08

La Signora Muraro è una chef sopraffina. Solo ad alcune abili mani è concesso di dare il massimo col minimo: rivoltare la frittata -già di per sè rivoltante, il questo caso- e usare un argomento laico, l'opposizione alla coincidenza peccato-reato non già per evitare che il peccato divenga reato ma per l'esatto contrario, per opinare che un reato -un rivoltante abuso- sia considerato e trattato come reato, senza sconti neppure per i preti. Mi chiedo solo: se la Signora avesse subito le attenzioni di qualche Povero Prelato con gli ormoni in subbuglio, o le avesse subite qualche suo congiunto, si sentirebbe così disposta al Perdono? Io ho una mia risposta, per quanto mi riguarda, ed è NO.

Forse sarebbe il momento di

1.08

Forse sarebbe il momento di fermarsi a pensare anche per la signora Muraro. Pensare, per esempio, che quando si afferma "La società religiosa può sviluppare un suo ordine penale che prevede anche il pentimento e il perdono" si è completamente fuori dal concetto di società e di uguaglianza, e si avalla la legalità di un doppio sistema che prevede di fatto per uno dei due l'impunità asoluta. L'ordine penale è e può essere solo dello Stato, la signora Muraro confonde la carità cristiana con l'amnistia. Si direbbe in Toscana, il culo con le quarant'ore...

Di solito non voto, non mi

9

Di solito non voto, non mi piacciono i voti, ma la riflessione di Luisa è perfetta e interessante. Offre un quadro chiaro della situazione e una direzione personale per proseguire in questa riflessione.

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