POLITICA
Questo non è populismo
E' la definizione più spesso associata a berlusconismo e leghismo, ma in realtà non significa quel che tutti pensano
di Peppino Ortoleva
L’accusa di “populismo” è di questi tempi così frequente da diventare un refrain: sembra la definizione più ovvia per il berlusconismo e, mutatis mutandis, per il leghismo. Non hanno sempre in bocca il richiamo alla gente? E Berlusconi, non ha il vizio di citare l’articolo 1 della costituzione solo per quel che riguarda la sovranità che appartiene al popolo, dimenticando regolarmente che lui “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, al punto che glielo ha ricordato pure Fini? Ergo,populismo.
Eh no, piano con le parole. Perché hanno una storia e, con la storia, tante implicazioni e sedimentazioni che evochiamo, magari inconsapevolmente, pronunciandole. E anche perché, se le scegliamo in fretta e a casaccio, rinunciamo a trovarne di migliori, che invece potrebbero aiutarci. La parola “populismo”, intanto, ha almeno due ascendenti che non è il caso di denigrare: quel populismo russo su cui Franco Venturi pubblicò nei primi anni Cinquanta un magnifico libro di storia, e il populismo statunitense, il vasto movimento contro i grandi gruppi industriali e contro lo strapotere della finanza che raggiunse una grande popolarità negli anni Novanta dell’Ottocento. Movimenti, certo, diversissimi tra loro ma nati entrambi da una radicale volontà di mutamento: nel caso russo con il proposito di coinvolgere nella trasformazione del paese la stragrande maggioranza della popolazione, i contadini poveri; nel caso statunitense con quello di attuare a pieno la promessa democratica della repubblica, che aveva battuto militarmente lo schiavismo ma non sapeva limitare la potenza del grande capitale. Tutti e due oggetto di critica, a suo tempo, da parte della sinistra marxista, che pure in Russia trovò le sue leve migliori. E che criticava, nel populismo, proprio il riferimento all’idea democratica di popolo, considerata “interclassista”, sostenendo al contrario la sola classe operaia come “soggetto rivoluzionario” o quanto meno come agente principale della storia.
Che cosa c’è in comune tra Berlusconi, o la lega, e quelle tradizioni oggi lontane?Per quanto riguarda Berlusconi di una cosa possiamo star certi: che nessuno dei due movimenti avrebbe neppure concepito di poter dare credito all’uomo più ricco del paese, né tanto meno accettato che questi mischiasse il richiamo al popolo coi suoi interessi. Per la lega, c’è sicuramente molta più somiglianza coi movimenti e partiti razzisti: in America i Know Nothing di metà Ottocento, che col populismo hanno avuto ben poco a che fare, e poi il Ku Klux Klan, in sostanza i linciatori dei neri, i nemici degli ebrei e degli immigranti. E in Europa? Il nazismo. Se il paragone vi sembra troppo grosso confrontate i testi.
E c’è qualcosa in comune tra le parole d’ordine anti-populiste della sinistra marxista e le formulazioni di un Bersani? Più che altro c’è un’eco: la stanca ripetizione di slogan imparati qualche decennio fa, anche se nel frattempo tutto è cambiato. Del resto questo è stato il destino della tradizione comunista in Italia: perdere, pezzetto dopo pezzetto, di significato, senza mai interrogarsi sul serio sul perché, e continuando comunque a tenersi stretto il tesoretto (di voti, di posti, di poteri) che a quella tradizione era associato. Nessuno nel partito democratico osa neppure pronunciare la parola “classe”, ma il popolo sembra sempre un punto di riferimento spurio. Finendo così per regalare a Berlusconi il termine chiave di ogni democrazia: il demos appunto.
E pensare che una parola giusta per il Pdl e per la Lega ci sarebbe: è demagogia, la malattia mortale delle democrazie già secondo Aristotele. Il far leva sul popolo per un potere personale che somiglia alla fin fine alla dittatura, soprattutto perché in fondo il richiamo al popolo viene usato per far cessare quella regola che è alla base di ogni democrazia: il dovere per tutti di obbedire alle leggi, e l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Il “dare al popolo quello che vuole” (non è la parola d’ordine della Tv commerciale?) per farsi, all’ombra della democrazia, i fattacci propri.
E pensare che una parola giusta per il Pdl e per la Lega ci sarebbe: è demagogia, la malattia mortale delle democrazie già secondo Aristotele. Il far leva sul popolo per un potere personale che somiglia alla fin fine alla dittatura, soprattutto perché in fondo il richiamo al popolo viene usato per far cessare quella regola che è alla base di ogni democrazia: il dovere per tutti di obbedire alle leggi, e l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Il “dare al popolo quello che vuole” (non è la parola d’ordine della Tv commerciale?) per farsi, all’ombra della democrazia, i fattacci propri.
Tags: aristotele, Berlusconi, bossi, demagogia, filosofia della politica, lega, pdl, Peppino Ortoleva, politica, populismo,
23 Dicembre 2009
Oggetto recensito:
USO IMPROPRIO DI "POPULISMO"
giudizio:
(8 voti)
Commenti
Solo Di pietro è populista,
Solo Di pietro è populista, non gli altri.
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