Precursore della psichedelia, Roky Erickson ha avuto la vita (e la carriera) segnata da una permanenza in manicomio criminale. Ora riemerge grazie agli Okkervil River, gruppo più nerd che acido, con cui dà una nuova veste al suo repertorio
di Simone Dotto
Mettete insieme tutto ciò che vi fa venire in mente la parola “psichedelia” e poi associatelo al volto, al nome e alla storia di Roky Erickson. Lui che, appena quindicenne, alla testa dei suoi 13th floor Elevators (la band che prometteva “viaggi” fin dal nome) fu il primissimo a stampigliare quella parola magica sulla copertina di un disco: The Psychedelic Sounds of the 13th floor Elevator, ora oggetto di culto per i collezionisti, ai tempi piombato in un’indifferenza quasi generale.
Per questi e altri motivi, anche quando si trattò di assaggiare il retrogusto amaro dell’avventura lisergica Erickson fu in prima fila: incamminatosi sulla via della perdizione in netto anticipo persino su Syd Barrett - quasi uno spirito gemello d’oltreoceano – il nostro non fa in tempo a lasciarsi alle spalle la sua prima band che subito inciampa in una sfortunata serie di ostacoli. In rigoroso ordine cronologico: (abuso di) droghe, qualche notte al fresco per possesso di stupefacenti e tre anni all’ospedale psichiatrico per criminali di Rusk State, dove farà la conoscenza tutti gli ultimi ritrovati tecnologici dell’epoca in fatto di trattamenti mentali (dall’elettroshock in su).
In quali condizioni uscirà, nel ’72, da quel lunghissimo “trip” forzato, non è difficile da indovinare. Chi avesse voglia di mettere mano alla sua sgangherata e (per forza di cose) discontinua carriera solista ci ritroverà dentro un vivaio di vampiri, alieni, zombie, cani bicefali e compagnia bella. Visioni che sono vere e proprie paranoie, ereditate dal soggiorno all’ospedale psichiatrico e alle quali Erickson dà forma ora tra le pareti domestiche, ora negli studi di una major discografica, a seconda di come gira la fortuna. Ma se negli anni ’80 ancora lo si trova qualcuno che si incapriccia di questo suo immaginario da b-movie, più tardi le sue sortite pubbliche vanno diradandosi: quindici anni di assenza dalle scene, fino a quando Will Sheff, a sua volta chitarrista e cantante, non ha scelto di tirarlo fuori dalla sua casa di Pittsburgh.
Sheff e la sua band, gli Okkervil River, sono gli altri protagonisti di questa storia a lieto fine: tutta un’altra pasta rispetto alle generazioni dei 13th floor Elevators. Al confronto, questi sono nerd all’ultimo stadio, del tutto estranei alle sostanze allucinogene e dipendenti soltanto dalle collezioni di dischi di papà. Eppure è proprio questo gruppo di secchioni del rock, questa “banda badante” che si prende il disturbo di stare dietro al grande vecchio mentre spulcia nel suo archivio. Ci ritroverà vecchie registrazioni, che risalgono all’epoca infelice del Rusk State Hospital; quei nastri gracchianti aprono e chiudono il disco, mentre tutto ciò che sta in mezzo viene riveduto e corretto con la nuova formazione.
Di psichedelico fra queste tracce è rimasto ben poco: si viaggia dalle parti di un tranquillo folk-rock della redenzione, il tipo di musica - per intenderci - che Bruce Springsteen potrebbe fare oggi, se non fosse troppo impegnato a suonare la fanfara ad ogni congresso dei Democratici e si decidesse una buona volta a far pace con i suoi sessant’anni. Ma, anche da cantore dei loser, il Boss è pur sempre un vincente, uno che sul palco ci monta con il petto all’infuori. Erickson invece, ha la malinconia del reduce ed è anche per questo se versi così semplici in bocca a lui suonano subito così credibili, quasi commoventi. Una galleria di flash dalla sua vita così come l’abbiamo riassunta fin qui, ma senza più la violenza orrorifica dei dischi precedenti.
Alle figure mitologiche che rispuntano dalla sua memoria (il terribile e sanguinario John Lawman, un misterioso judge a cui chiedere la grazia…) si alternano messaggi di pace & serenità, e proprio il tono malinconico li salva dal buonismo. A chi a 62 anni e rotti trova la forza per cantar di sé in questo modo si perdona anche un titolo ingenuamente predicatorio come True love cast out all evil: “il vero amore scaccia via tutto il male”, un motto paurosamente vicino a quello di un altro guru psichedelico di casa nostra. Quello, in compenso, sembra ancora in pieno trip…
Tags: 13th floor elevators, anni '60, anti, bruce springsteen, folk, horror, okkervil river, psichedelia, recensione, rock, roky erickson, Simone Dotto, true love cast out all evil,
Roky Erickson & Okkervil River, True love cast out all evil, Anti 2010
Commenti
Invia nuovo commento