Parla Patrizio Fariselli, tastierista della storica formazione progressive rock italiana che fu di Demetrio Stratos, recentemente tornata in attività con un disco dal vivo Live 2012. Un po' di nostalgia per l'aria di fermento degli anni '70 ma anche la determinazione a misurarsi col presente: "Lo spirito d’avventura che ci guidava allora è ancora vivo"
di Marco Buttafuoco
A fine novembre gli Area hanno pubblicato un doppio cd Live 2012 (Art up Art). La prima parte è dedicata alla riproposizione di alcuni dei loro successi degli anni 70. Naturalmente non c’è più una voce solista: sarebbe stato improvvido tentare di sostituire quella di Demetrio Stratos e solo in un brano, Cometa Rossa, Maria Pia de Vito prende, degnamente, il posto dell’indimenticabile vocalist. Nel secondo volume, invece, il nucleo storico del gruppo percorre strade nuove e inedite. La musica degli Area è stata una traccia importante nella ricca colonna dell’epoca della contestazione generale. Con Patrizio Fariselli, tastierista della band, abbiamo parlato di quegli anni ruggenti e lontani e di quelli appassiti ed attuali.
IERI E OGGI
“Il nostro progetto non è riproporre gli Area, perché gli Area, anche nei tanti anni che non hanno suonato insieme, non si sono mai sciolti. Il gruppo c’è sempre stato, è un marchio impresso a fuoco nella nostra vita, nella nostra esperienza. Abbiamo avuto perdite pesanti e dolorosissime come quelle di Giulio Capiozzo e Demetrio Stratos, per non citare Edy Busnello e Larry Nocella, due sassofonisti che pur non facendo parte della formazione stabile hanno a lungo collaborato con noi. Necessariamente qualcosa è cambiato nella nostra proposta artistica, è impossibile che quarant’anni passino senza lasciare tracce. Ma siamo gli Area e non i nuovi Area, e proseguiamo quel ragionamento musicale iniziato nel 1971. La nostra non è una ricerca archeologica su quello che siamo stati negli anni 70".
LO SPETTACOLO CONTINUA
"Nei nostri ultimi concerti, ed in quelli che faremo nel tour che sta per cominciare, la parte iniziale, almeno un’ora, è sempre riservata alla nostra ricerca attuale. Di solito comincia Paolo Tofani con le sue chitarre e le sue diavolerie elettroniche. Paolo ha avuto un percorso di vita un po’ insolito: è stato monaco buddista, pur continuando a ricercare nuove sonorità elettroniche, ora suona una sorta di chitarra a tre manici con la quale fonde il suono arcaico delle corde sfregate con le infinite possibilità della tecnologia. Subito dopo entriamo in scena io o Ares Tavolazzi, e suoniamo in duo con Paolo, che dopo un po’ lascia la scena. Conduciamo per un’ora un gioco di triangolazioni sonore, solo, duo, trio, nella quale cerchiamo di far emergere la nostra anima di improvvisatori. Poi partiamo con i vecchi brani e lì tiriamo fuori tutta la potenza antica del nostro suono, tanto legato agli anni '70".
QUEGLI ANNI IMPORTANTI
"Purtroppo le formule giornalistiche funzionano e certe espressioni sono rimaste nella coscienza collettiva. Quegli anni’ 70 sono quindi diventati gli anni di piombo, quasi a volerli rinchiudere in una specie di sarcofago dal quale non potessero più uscire tutte le energie positive che si liberarono in quel decennio. Io non nego che la memoria di quell’epoca possa essere difficile da condividere, non nego che accaddero allora cose terribili. Ma in quegli anni l’Italia era in ebollizione, cercava nuove strade, era terribilmente viva. Non ci fu mai, culturalmente parlando, un periodo tanto creativo nella nostra storia recente. Erano tempi in cui qualcosa accadeva sempre, in cui ci si apriva al mondo. La musica italiana non era più solo quella del Festival di Sanremo. Accadevano cose strane, allora. Ricordo una serata in cui all’Arena di Milano c’erano migliaia di persone a sentire John Cage, gente abituata più ai Black Sabbath che non alle elaborazioni delle avanguardie. Ne venne fuori un happening scombinato ma indimenticabile. Si cercavano nuove strade, in ogni città c’era qualcuno che tentava di far qualcosa di nuovo. E spesso queste cose erano buone, anche se sono rimaste senza seguito.
L'AVANGUARDIA CHE FU
"Io non credo minimamente alla leggenda che racconta l’immancabile successo delle persone di talento. Il mercato, questo dio dei nostri giorni, spesso scarta e tritura il talento stesso. Per un Massimo Urbani che riuscì ad emergere prima della sua morte precoce, ci sono decine di altri musicisti rimasti nell’ombra: era vero allora, quando tutto sembrava cambiare, figuriamoci quello che accade in questa epoca di omologazione totale. Oggi sono quattro major a spartirsi la torta. Alla produzione indipendente sono rimaste le briciole e per rimanere a galla molti cercano di stare sul sicuro, da un punto di vista artistico. Anche chi si autoproduce cerca quasi sempre di lisciare il pelo per il verso giusto al Mercato. Nel jazz c’è una pletora di proposte neo-bop o mainstream in generale. Sono pochi quelli che vogliono rischiare. Non si tratta di parlare d’avanguardia o di musica di ricerca. Avanguardia è un termine vecchio e militaresco; vuol dire che qualcuno detta la rotta e gli altri seguono. E' un residuo del novecento.
MUSICA DI RICERCA
"Musica di ricerca è un espressione futile. Un artista o cerca qualcosa o non è tale. Le scelteinnovative rimangono affidate all’onestà intellettuale dei singoli i quali però, sono soffocati dal gusto dalla banalità e dalla superficialità dei discografici, degli organizzatori di eventi: dal Mercato. Oggi ripeto, domina l’appiattimento.
GLI DEI SE NE VANNO, GLI ARRABBIATI RESTANO
"Qualcuno dice, e sono abbastanza d’accordo, che quegli anni d’oro della creatività finirono con la morte di Demetrio Stratos e che il concerto tenuto a Milano il 29 giugno del 1979 è una data simbolica del passaggio all’epoca del disimpegno e della piattezza culturale. Quell’evento doveva servire a raccogliere i fondi per aiutare Demetrio a trovare le cure per la sua rarissima malattia. Ma qua e tutti gli artisti di riferimento. Ma lui morì proprio un giorno prima del concerto. Nell’aria già da tempo c’erano segnali che dicevano dell’approssimarsi di una nuova, insipida, stagione artistica. Comunque, come dicevo all’inizio gli Area non sono finiti con lui, anche se non possiamo nemmeno pensare di sostituirlo. Lo spirito d’avventura che ci guidò quarant’anni fa è ancora vivo.“
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Intervista a Patrizio Fariselli
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