Un'antologia di musicisti su carta: si chiama Cosa volete sentire ed è pubblicata da Minimum fax. I nomi più o meno giovani della scena alternativa e della nuova canzone d'autore italiana che una volta tanto mollano la chitarra e impugnano la penna per buttare giù i propri "appunti dall'underground"
di Giuseppe De Marco
Se parliamo di canzone italiana, e ci concediamo un approccio comodamente nostalgico, verrebbe la tentazione di affermare che in proporzione all’aumento della complessità della struttura musicale (in termini di tecnologia, non certo di creatività) sia andata scemando l’intensità del racconto in versi. Che è sempre stata l’anima vera della canzone d’autore.
Ma alle facili tentazioni, si sa, è bene resistere. E infatti quanto appena affermato viene smentito dall’esistenza di un binario sotterraneo, misconosciuto e oscuro dove la musica d’autore continua a camminare. Lontano dalla corrente mainstream (ammesso che esista ancora) legata alle grandi case discografiche (ammesso che esistano ancora), cantautori di ogni tipo hanno continuato a credere che quel microfono davanti a loro avesse un significato almeno pari alla strumentazione intorno. Se proprio dobbiamo darle un’etichetta, chiamiamola pure scena indie. Cioè indipendente. Da chi? Dalle grandi case discografiche di cui sopra, anzitutto. E, per estensione, dal successo facile. Dall’ammiccare commerciale.
Sono gruppi di solito confinati in un auditorio di nicchia; solo di rado arrivano al grande pubblico (Afterhours, Marlene Kuntz, Baustelle). La loro stessa esistenza è una provocazione e lo si capisce sin dai loro nomi: Le luci della centrale elettrica, Brunori Sas, Dente, Non Voglio Che Clara. È proprio a questi antieroi del rock nostrano che Chiara Baffa, editor di Minimum fax e già titolare di un’agenzia di promozione musicale, ha chiesto di abbandonare per un momento gli strumenti e concentrarsi ancora di più sulle parole. Per raccontare, e raccontarsi, del loro modo di vivere la musica. All’appello hanno risposto in tredici. Cantautori, parolieri, musicisti di altrettanti gruppi dell’indie nostrano.
Il salto dal pentagramma al libro lo hanno già fatto in tanti (con risultati non sempre esaltanti), anche nel mondo delle etichette indipendenti (da Boosta, dei Subsonica, a Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, fino allo stesso Vasco Brondi, presente anche in questa antologia, che ha già pubblicato una raccolta di racconti nel 2009).
La novità sta nella formula antologica. Tredici brani di carta non fanno un’enciclopedia della musica, ma offrono comunque uno spaccato di un pianeta terribilmente suggestivo. È un mondo che si muove tra i locali di provincia, dove Milano è lontana come Manhattan. Un mondo che si srotola lungo autostrade deserte alle tre di mattina, a bordo di improbabili furgoni da rock’n’roll tour. Fatto di alberghetti squallidi o giacigli improvvisati, dove spesso ci si addormenta coi vestiti di scena ancora addosso. Una dimensione che oscilla tra una malinconica rabbia punkettara e la scanzonata paraculaggine adolescenziale. Un mondo che non avrebbe senso se non ci fosse a tenerlo in piedi quella passione per le sette note che porta ad esibirsi per un chiosco di gelati come fosse l’Olimpico.
Ognuno dei tredici autori che hanno accettato la sfida l’ha affrontata a modo suo. Il più delle volte attingendo con autoironia allo scalcinato bagaglio di esperienze legato ai primi approcci con la musica (Simone Lenzi dei Virginiana Miller) o alle prime esibizioni (Giuseppe Peveri, in arte Dente, Antonio Di Martino) o alla difficile strada verso il successo (Rossano Lo Mele dei Perturbazione). È un profilo basso in cui sembrano riconoscersi quasi tutti. Come a dire Restiamo coi piedi per terra, anche perché con questo successo di nicchia dove vuoi volare?
In questo approccio così istintivo, in questo concedersi ad una passione che secondo i moderni canoni verrebbe considerata quantomeno "improduttiva", c’è qualcosa di così profondamente estraneo al comune sentire da rasentare un folle eroismo. L’unico punto di contatto con il mondo esterno è nel fatto che anche qui si registra la consueta predominanza di uomini sulle donne. Per questo il brano-racconto che più merita è forse proprio quello scritto dall’unica femmina del gruppo: Letizia Cesarini, in arte Maria Antonietta. Una giovanissima marchigiana che parla (e fa parlare) di sé scrivendo canzoni rabbiosamente autobiografiche, che oscillano tra Pj Harvey e Carmen Consoli. Quello stesso spirito di disarmante e dolorosa sincerità si ritrova nelle pagine del suo scritto, Santa Caterina al Sinai. Vivo, intenso, visionario. Il pezzo forte di un album che merita la classifica.
Tags: afterhours, baustelle, Francesco Bianconi, Giuseppe De Marco, indie, le luci della centrale elettrica, Marlene Kuntz, Minimum fax, musica, riserva indie,
Aa.vv., Cosa Volete Sentire, a cura di Chiara Baffa, Minimum Fax 2011, p 191, 10 euro
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