Uno dei libri che hanno segnato il 2011 è ispirato al caso della donna tedesca (Elisabeth Fritzl) tenuta rinchiusa in un bunker e violentata per ventiquattro anni dal padre. Paolo Sortino tenta di astrarne la storia e analizzarla provocatoriamente "dal di dentro". Ma di cronaca nera morbosa se ne è letta troppa per non riconoscerla quando si ripresenta in un romanzo
di Katia Laurannino
Nonostante la fastidiosa tendenza a etichettare entro ristrette categorie qualsivoglia opera letteraria sia per molti (e anche per la sottoscritta) una pratica inutile oltreché noiosa, per Elisabeth dell’esordiente Paolo Sortino tale operazione potrebbe rivelarsi utile; quantomeno per capire che cosa l’autore abbia voluto dirci, e che posto la sua opera occupi per lui nel panorama letterario. Senza queste precisazioni, il romanzo appare privo di intenti, a parte quelli puramente estetici del volere impressionare il lettore a tutti i costi.
Perché, infatti, scrivere un romanzo su un fatto di cronaca di cui si tanto parlato nei talk show (i peggiori) e nei telegiornali nostrani (i peggiori), per poi affermare, che “nonostante sia diffusa all’interno del romanzo una certa aderenza al reale svolgimento dei fatti, la presente opera non possiede alcun valore documentario” ma sia soltanto “uno schema utile a raccontare esperienze universali”?
A parte il lecito dubbio sul fatto che quella di Elisabeth Fritzl (segregata per ventiquattro anni dal padre Josef in un bunker antiatomico e costretta da lui a continui rapporti, dai quali sono nati sette figli) possa rappresentare una vicenda universale, l’intento di narrare dal di dentro la vera storia di Amstetten o, secondo l’autore, la narrazione personale di eventi simili che nei fatti di Amstetten hanno una cornice identificativa, fallisce; la realizzazione letteraria di questa intenzione, infatti, si traduce in una ricostruzione artificiosa, finta, a tratti decisamente patetica delle situazioni e degli stati d’animo vissuti da Elisabeth Fritzl.
L’autore scrive della vicenda nello sfondo di una prospettiva provocatoriamente relativista, presentandola quasi come una storia possibile, così da poter analizzare minuziosamente le implicazioni di un rapporto che nella normalità è considerato malato, senza alcun condizionamento morale. Ma, in questo tentativo, diviene evidente quanto peso abbia nella resa narrativa l’impenetrabilità di un mondo che solo i protagonisti dell’incubo possono conoscere e quanto il fatto che quella di Elisabeth, del padre e dei suoi figli sia, e non possa che essere, una realtà aliena, inconoscibile; per questo l’indagine psico-antropologica portata avanti dall’autore attraverso la narrazione risulta malriuscita e, oltre che irritante, priva di senso. Il realismo delle descrizioni non pare altro che crudezza gratuita, che non lascia nulla al lettore, se non, forse, un senso di nausea e ripugnanza fine a se stesso (almeno a leggere tutto quello che riguarda la morte del piccolo Michael Friztl o le ripetitive descrizioni degli stupri subiti da Elisabeth nel corso degli anni).
Certo a volere spezzare una lancia a favore dello scrittore, oltre ad evidenziare una pregevole capacità linguistica (il che, di questi tempi, non è cosa da poco) ci si potrebbe anche convincere che un romanzo del genere nasca dalla genuina intenzione di ricordare alle anime belle che le peggiori efferatezze si nascondono spesso dietro le mura domestiche e che le vittime di queste siano in gran parte donne (invece di farsi tentare dalla malevola insinuazione che questo libro sia stato scritto esclusivamente per vendere tante copie o, quantomeno, far parlare in giro).
Un’ipotesi che però non toglie a quest’opera lo status di romanzo televisivo, che, sull’onda di quel morboso voyeurismo che si compiace della messa in onda di tragedie umane, meglio se familiari, vuole stupire per la crudezza dell’immagine descritta e impressionare il lettore/spettatore senza che da tutto questo possa conseguire alcuna riflessione (che, si badi, non deve per forza essere l’obiettivo fondamentale di un romanzo, purché vi siano altri elementi che lo rendano quantomeno interessante).
Elisabeth lascia l’amaro in bocca per tanti motivi, uno fra i quali la delusione per un autore decisamente capace e talentuoso ma facile ad un certo gusto per il perverso. E anche per la sensazione che quel certo gusto sia davvero tornato di moda.
Tags: cronaca nera, Einaudi, Elisabeth, Elisabeth Fritzl, Katia Laurannino, Paolo Sortino, Psicanalisi,
Paolo Sortino, Elisabeth, Einaudi 2011, p 216, euro 19,50
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